“A prova di tempesta” è il titolo dell’incontro che Alessandra Marin architetto e urbanista, e Carmela Vaccaro, geologa, presso l’Università di Ferrara, terranno nel corso dell’ incontro che si terrà, in collaborazione con Agenda17 Plus, sabato 4 ottobre alle ore 14,30 presso l’Aula magna della Facoltà di Economia di Ferrara nell’ambito del Festival di Internazionale.
Al centro della riflessione delle studiose ci sarà un’analisi degli strumenti e dei processi di progettazione urbana e del territorio per prevenire e gestire i rischi climatici, in una situazione caratterizzata da sempre più frequenti alluvioni e catastrofi che rimettono in discussione le politiche territoriali.
Alessandra Marin anticipa alcuni temi che affronterà nel corso dell’ incontro.

La crisi climatica porterà ad alluvioni più frequenti e più violente. La pianificazione territoriale può solamente contenere i danni o essere elemento determinante nella gestione in sicurezza del territorio?
“Una risposta ai problemi prodotti dalla crisi climatica può certamente essere individuata negli strumenti di pianificazione territoriale e urbana e, a scala e con strumenti di maggiore dettaglio, nel progetto urbano.
Ma è evidente che le grandi questioni che coinvolgono il futuro del Pianeta sono prioritarie, e gli assetti geopolitici sempre più instabili e conflittuali degli ultimi anni – così come l’attacco mai scemato degli interessi economici di lobby molto potenti a risorse non rinnovabili come le grandi foreste e gli ecosistemi marini, l’acqua, il suolo fertile, l’energia fossile – ci raccontano come molti fattori di crisi dipendano proprio dall’incapacità di orientare verso l’attenzione all’ambiente le scelte di coloro che determinano l’evoluzione degli scenari globali.
Se i due grandi temi relativi alla risposta alla crisi climatica sono quello della mitigazione e quello dell’adattamento, appare quindi evidente che il piano urbanistico e il progetto urbano possono intervenire in modo efficace soprattutto nel secondo caso, applicando strategie e azioni di progetto adeguate a promuovere la capacità dell’ambiente urbano – e a più ampia scala del territorio antropizzato – di adattarsi agli eventi estremi e favorire il benessere ambientale.
Strategie e azioni che sono per lo più da individuarsi nella ormai ampia compagine delle Nature Based Solutions, che si articolano in forme le più varie e vanno a coinvolgere la risposta alle ondate di calore, alla scarsa qualità dell’aria, all’eccesso concentrato di piogge o alla siccità, e via dicendo.
Da questo punto di vista, quindi, l’urbanistica può individuare soluzioni adatte non solo a contenere i danni, ma anche a gestire in sicurezza il territorio.

L’azione locale attraverso gli strumenti di piano e progetto non potrà mai però essere veramente efficace in mancanza di politiche abitative, economiche, infrastrutturali, ecc., adeguate a indirizzare e accompagnare il cambiamento.
Se queste politiche – che coinvolgono processi decisionali che hanno il livello a noi più prossimo nelle Regioni, ma si strutturano soprattutto a scala nazionale e sovranazionale – non vengono immaginate in forma coerente, e orientate a supportare un processo di mitigazione dei cambiamenti in atto, l’asticella si sposterà sempre più in alto, e con essa il livello di incertezza in merito alla possibilità di rispondere con il solo adattamento ad eventi estremi la cui evoluzione non riusciamo a prefigurare.
Quali sono le cose più urgenti che andrebbero fatte per mettere in sicurezza il territorio?
“Anche in questo caso, le azioni devono essere immaginate a scale diverse. Non c’è dubbio che questione prioritaria in un territorio fragile come quello italiano è quella della difesa del suolo, della gestione delle acque e più in generale – incrociando questi due temi anche con altre questioni come la sismicità o gli eventi meteoclimatici estremi – la risposta a un’annosa e complessa situazione di dissesto idrogeologico.
Attivare un programma di grande respiro e finanziamenti come il PNRR prioritariamente su azioni di questo tipo avrebbe avuto, a mio avviso, certamente senso, perché avrebbe agito sul sistema strutturale del Paese, consentendo poi di affiancare a queste attività altre di maggiore interesse per le differenti parti del territorio nazionale, e legate ai settori nei quali un’area o l’altra fossero più bisognose di intervento proattivo.
A questo voglio aggiungere la necessità di investire in azioni dedicate all’informazione dei cittadini, alla produzione di consapevolezza e conoscenza in merito a come comportarsi in caso di eventi eccezionali in territori vulnerabili e quali siano le modalità più efficaci e tecnicamente realizzabili di difesa del territorio, attraverso la realizzazione di opere di maggiore o minore rilevanza. Strumenti che possono servire sia nel momento di crisi, sia per costruire percorsi condivisi di rigenerazione dei luoghi in un’ottica di adattamento e resilienza.”
Quali sono gli elementi di pianificazione territoriale su cui lavorare nel medio periodo non solamente per tamponare le urgenze ma per una buona gestione del territorio che tenga conto del cambiamento climatico in atto?
La questione non è definire quali piani territoriali siano più importanti di altri, ma capire in che situazione ci troviamo e agire di conseguenza utilizzando gli strumenti adeguati.
Agire in una città densa e popolosa, in piccoli centri arroccati sulle pendici collinari o nelle valli montane, sulle coste oggetto di erosione o in un territorio di bonifica subsidente rispetto agli alvei fluviali, richiede strumenti e scelte molto diverse tra loro, che però si ricollegano, in generale, alle questioni già accennate nelle mie risposte precedenti.
Lavorare all’adattamento ai rischi prodotti dalle differenti vulnerabilità territoriali richiede attenzione alle risorse fondamentali – suolo, acque, vegetazione – e innovazione nel pensare al progetto della città esistente, cambiando il modo di costruire gli edifici e di collocarli nello spazio, la loro relazione con lo spazio aperto e il progetto stesso di strade, piazze, giardini, ecc., il modo di muoversi e di vivere lo spazio urbano o di coltivare le campagne, o di fare turismo lungo le coste o in montagna.
Non è un caso se il concetto di sostenibilità è nato, ormai quarant’anni fa, integrando le questioni ambientali, economiche e sociali, oltre a quella della necessità di pensare al tempo lungo, quello delle generazioni future. E ancora, dieci anni fa, l’enciclica Laudato sii ha aggiunto a questi fattori anche quello culturale e la difesa dei beni comuni, prospettando una “ecologia integrale” che molto ha da insegnarci, sul modo di utilizzare i saperi scientifici e tecnici, specialmente le tecnologie.
Ecco, partire dalla consapevolezza delle necessità di un approccio progettuale integrato e adattato ai singoli luoghi, non imposto dall’alto ma costruito con le comunità e che non si appelli in modo fideistico alla tecnologia, mi sembra un possibile punto di vista da considerare.”
