DOSSIER AGENDA ONU – OBIETTIVO 14 Conoscere l’ecosistema oceanico per proteggerlo Ricerca, monitoraggio e interventi per l’impatto delle attività umane e la diminuzione della resilienza

DOSSIER AGENDA ONU – OBIETTIVO 14 Conoscere l’ecosistema oceanico per proteggerlo

Ricerca, monitoraggio e interventi per l’impatto delle attività umane e la diminuzione della resilienza

“Dobbiamo investire massicciamente nella scienza […]”, ha affermato l’8 giugno il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres in occasione della Giornata mondiale degli oceani, perché diventa fondamentale saper misurare, monitorare, prevedere e quindi gestire l’impatto dei cambiamenti climatici sulla resilienza dell’ecosistema oceano.

La comprensione del nostro rapporto con l’ecosistema oceano è alla base di qualsiasi azione volta a tutelarlo e a utilizzarne in modo sostenibile il grande potenziale. 

Non a caso “L’Ocean Literacy”, l’alfabetizzazione oceanica, definita come “la comprensione dell’influenza umana sull’oceano e dell’influenza dell’oceano sugli esseri umaniè al centro del Programma della Commissione oceanografica dell’UNESCO per il  Decennio Onu delle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile (2021-2030).

Prevenzione e resilienza

Per proteggere gli oceani servono prevenzione e resilienza, ha detto la presidente della Banca centrale europea (Bce), Christine Lagarde, al recente Blue Economy and Finance Forum nel principato di Monaco. 

I traguardi previsti dal goal 14 dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile  si concentrano sulla limitazione e razionalizzazione di tutte le attività antropiche che rappresentano uno stress pericoloso per gli oceani: l’inquinamento marino (l’80% di esso viene prodotto a terra); il riscaldamento e l’acidificazione dei mari; lo sfruttamento eccessivo, illegale e distruttivo delle risorse ittiche (si pensi ad esempio al bycatch, la  cattura accidentale di specie durante le attività di pesca); l’ estrazione di risorse minerarie dal fondo degli oceani (più del 30% dell’olio e gas globale prodotto è estratto in mare aperto); l’impatto ambientale del trasporto marittimo (utilizzato dal 90% del commercio globale) e dell’industria marittima mondiale che é responsabile del 3% di tutte le emissioni globali di gas a effetto serra. 

Dati WWF Italia (©WWF)

Per ridurre le emissioni di zolfo derivante dal traffico navale è in discussione la proposta di designazione del Mediterraneo come area Sulphur Emission Control Area – SECA. 

La resilienza sta diminuendo

E poi c’è la resilienza ecologica dell’ecosistema blu. È la capacità di un sistema di mantenere le stesse funzioni e strutture anche quando sottoposto a stress esterni senza raggiungere una condizione irreversibile di tipping point o punto di “non-ritorno” . Uno dei tipping point dei nostri mari è considerato lo sbiancamento della Grande barriera corallina in Australia, causato dalle più alte temperature dell’Oceano Pacifico negli ultimi quattro secoli.

Uno studio pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori svizzeri dell’ETH Zürich e delle università britanniche di Exeter, Cardiff, Cambridge e Royal Holloway ha dimostrato come la resilienza del sistema climatico della Terra sia cambiata nel tempo e sebbene gli oceani in passato fossero più resilienti di quanto pensassimo, attualmente lo stanno diventando sempre meno . 

Fino a quanto la resilienza dell’ecosistema oceano può continuare ad assorbire lo stress di natura antropica? Come sottolinea António Guterres, è arrivato il momento di «[…] sostenere ciò che ci sostiene, l’illusione che l’oceano possa assorbire emissioni e rifiuti senza limiti deve finire».

Nella  risoluzione 72/73 del 2017,  le Nazioni unite hanno ritenuto importante dichiarare il 2021 – 2030 il “Decennio delle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile”. L’intento della risoluzione è quello di rimettere al centro la salute degli oceani sensibilizzando e mobilitando la società civile, i governi, la comunità scientifica e il settore privato verso politiche e programmi comuni di salvaguardia,  di ricerca e di innovazione tecnologica per un oceano pulito, sano, sicuro, sostenibile e resiliente.  

Nella stessa direzione va il Patto per l’oceano adottato dalla Commissione UE. Tra le varie azioni, il Patto prevede un pacchetto di misure economiche per fronteggiare le criticità esistenti, tutelare e preservare l’economia delle comunità costiere, proteggere gli ecosistemi marini e monitorare e migliorare la sicurezza delle infrastrutture sottomarine. 

Monitorare e gestire l’impatto dei cambiamenti climatici sulla resilienza degli oceani

Uno studio dell’Università di Padova propone il modello CUSPRA (Cusp Resilience Assessment) come approccio interessante per misurare la resilienza di un ecosistema in risposta all’effetto sinergico di due o più pressioni esterne; si tratta di un nuovo metodo statistico attraverso cui è possibile da un lato quantificare la resilienza di un ecosistema calcolandola come la distanza da un cambiamento irreversibile e dall’altro di ottenere un indicatore semplice per la gestione dei cambiamenti indotti da stress

Un altro studio pubblicato ad aprile di quest’anno da un gruppo di ricerca dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nzionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ismar) e la Stazione zoologica Anton Dohrn” di Napoli (SZN) evidenzia che il riscaldamento della superficie del mare appare globalmente più veloce (circa 0.022 °C/anno anziché 0.014 °C/anno) con un impatto importante sulle correnti marine, gli scambi verticali, il rinnovo delle acque oceaniche profonde, la salinità e l’immagazzinamento del calore da parte degli oceani. 

Ma lo studio ha aperto anche a nuove interessanti prospettive di studio dell’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini e di monitoraggio degli oceani utilizzando le tecniche del machine learning e lo studio del DNA e dell’ RNA degli organismi 

La ricerca di soluzioni alternative ecologiche, frutto di ricerca e innovazione, rappresenta una chiave strategica fondamentale anche per contrastare l’inquinamento da plastiche

Esempi di rilascio della plastica nell’ambiente (©European Environment Agency)

A livello internazionale il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (UNDP) ha lanciato l’8 gennaio 2020 l’OIC, Ocean Innovation Challenge (supportato dalle agenzie svedese e norvegese Sida e Norad), una serie di sfide ambientali con l’obiettivo di accelerare i progressi nel raggiungimento del Goal 14 dell’Agenda 2030. 

Si tratta di erogare finanziamenti a progetti di salvaguardia degli oceani, che abbiano una durata variabile da sei mesi a due anni, attuati in Paesi in via di sviluppo.

Quale futuro per gli oceani?

Siamo davvero arrivati al tipping point finale per la salute dell’ecosistema oceano? Per il WWF non è ancora troppo tardi per invertire la tendenza e ritrasformare i nostri oceani in habitat puliti e ricchi di risorse. 

Ma devono essere richiamati all’ordine governi e aziende perché siano emanate dai primi e rispettate dalle seconde quelle normative urgenti che riguardano lo smaltimento dei rifiuti e delle sostanze chimiche. E per promuovere la creazione di nuovi e più estesi ecosistemi marini protetti sottoponendo a severi controlli la pesca e le trivellazioni. E poi resta aperto il cosiddetto “obiettivo 30×30” concordato nel quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal e sostenuto dal recente Trattato dell’alto mare (UNOC3, Nizza 9-13 Giugno 2025) che si prefigge di tutelare entro il 2030 almeno il 30% degli ecosistemi marini del Pianeta, compresi quelli dell’alto mare, consentendo la protezione della biodiversità di tutte le aree marine, anche quelle non coperte dalle giurisdizioni dei singoli stati.

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