DOSSIER AGENDA ONU – OBIETTIVO 17 Il protezionismo USA ostacola il Patto Onu per il futuro. Ci rimettono soprattutto i Paesi poveri Un ruolo fondamentale dovrebbe averlo il WTO,  secondo l'economista Frattini di Unife

DOSSIER AGENDA ONU – OBIETTIVO 17 Il protezionismo USA ostacola il Patto Onu per il futuro. Ci rimettono soprattutto i Paesi poveri

Un ruolo fondamentale dovrebbe averlo il WTO, secondo l'economista Frattini di Unife

“La svolta protezionistica nell’economia globale peserà soprattutto sui Paesi in via di sviluppo, che sono per definizione i meno resilienti. Tutti questi shock mettono infatti potenzialmente più sotto pressione le economie emergenti, perché chi è più ricco ha più alternative tecnologiche, un’economia più varia, maggiore potere contrattuale e la possibilità di adattarsi prima e meglio.” afferma Federico Frattini, docente di Economia dello sviluppo presso l’Università di Ferrara, intervistato da Agenda17 Plus sulle conseguenze della politica economica della nuova amministrazione americana in relazione ai traguardi dell’Obiettivo 17 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Onu, rilanciati dall impegnativo e ambizioso Patto per il futuro. 

Tra gli impegni che l’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu) si è assunta con il Patto per il futuro c’era anche la necessità di “riformare l’architettura finanziaria internazionale in modo che rappresenti e serva meglio i Paesi in via di sviluppo”: dare quindi loro più voce nel processo decisionale, mobilitare maggiori finanziamenti da parte delle banche multilaterali di sviluppo e rafforzare la rete di sicurezza finanziaria globale per proteggere i più poveri in caso di shock finanziari ed economici. La politica protezionistica cui si assiste oggi, invece, sembra andare nella direzione opposta, con gli impatti maggiori per le economie emergenti.

“Il ritorno al protezionismo – prosegue Frattini – è fuori dal tempo e presenta una serie di stonature. Anzitutto ricordiamo che il processo di globalizzazione ha alle spalle una lunga storia: non si risolve negli ultimi vent’anni con l’ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO), ma è iniziato con gli europei e gli Stati uniti ne sono stati uno dei primi prodotti. Uno dei primi salti in termini di globalizzazione è infatti stato compiuto da alcune potenze europee, in particolare la Gran Bretagna, che recuperava materie prime dall’Asia e forza lavoro dall’Africa per portarle nel Nord America, dove produrre altre materie prime: sentire provenire dagli Stati Uniti questo sentimento è quindi una prima stonatura”. 

Inoltre, gli stessi Stati Uniti hanno contribuito al superamento del protezionismo dal secondo dopoguerra, quando si affermarono i principi del multilateralismo e del libero commercio. “La seconda stonatura – afferma il docente – risiede in un ritorno al passato che non ci riporta, come molti sostengono, alle contrapposizioni della Guerra fredda (solo con la Cina al posto dell’Unione sovietica) ma più indietro, a logiche che ricordano piuttosto l’Occidente di fine Ottocento-inizio Novecento, quando non c’era più nessun territorio da colonizzare e non si poteva più estendere la fornitura di risorse e a un certo punto si è fatta la guerra.”

I dazi servono solo per il gap iniziale dei Paesi in via di sviluppo, non per gli USA

Infine, una terza stonatura. Secondo Jeffrey Sachs, economista statunitense, con la svolta protezionista gli Stati Uniti rischiano di perdere competitività e leadership a livello globale, a vantaggio soprattutto della Cina, che potrebbe diversificare il suo commercio verso il resto del Mondo e candidarsi con i Brics a giocare un ruolo sempre più importante. “Non posso fare previsioni – commenta Frattini – ma temo che la direzione che identifica Sachs possa diventare credibile. 

Storicamente, i benefici del protezionismo sono stati riservati alle economie in via di sviluppo. Poiché infatti un’economia industrialmente o tecnologicamente arretrata, per produrre un certo bene ha costi maggiori, metteva dei dazi affinché il prezzo internazionale delle economie sviluppate eguagliasse quello interno, che diventava così competitivo. 

Sul lungo periodo l’auspicio era che i dazi potessero poi essere ridotti man mano che le capacità interne cominciavano a raggiungere quelle internazionali, fino a tornare al libero scambio. 

Federico Frattini, docente di Economia dello sviluppo presso l’Università di Ferrara (©unife)

Uno dei prerequisiti perché il protezionismo possa produrre benefici di lungo periodo è dunque che ci siano dei gap da colmare, ma per gli Stati Uniti potrebbe essere controproducente perché non sono un’economia in via di sviluppo. 

Quello che Trump non dice agli americani è che sono loro a pagare le tariffe nel breve periodo, sostenendo piuttosto l’idea che nel medio-lungo periodo il protezionismo potrebbe, ma non è detto, portare dei benefici. La sua scommessa è infatti rivoluzionare l’ordine globale attuale, del quale gli Stati Uniti sono una delle egemonie, perché troppo costoso per loro: per questo l’amministrazione sta tagliando tutto e si introducono i dazi. 

In tutto questo, però, le economie meno resilienti hanno minore possibilità di adattarsi e il loro sviluppo sarà rallentato, oltre che più costoso. La prospettiva statunitense è ridisegnare l’ordine globale, ma non ci sono i presupposti né le condizioni di contesto perché possa funzionare”.

L’Onu ha un ruolo politico, ma è il WTO il garante del multilateralismo

Cosa fare dunque? “Più che l’Onu – osserva Frattini – potrebbe avere un ruolo la WTO. L’Onu infatti ha un ruolo in termini politici: favorire il dialogo e monitorare l’evolversi della situazione. La WTO, invece, è un’organizzazione sui generis perché è l’unica che produce accordi legalmente vincolanti per tutti i membri.” 

La WTO nasce nel 1995 come evoluzione del GATT (General Agreement on Trade and Tariffs) con l’obiettivo di promuovere un più libero commercio globale. Si fonda sugli stessi principi del GATT, che era stato un elemento fondamentale della collaborazione economica internazionale nel dopoguerra e una garanzia contro il ritorno di tentazioni protezionistiche.

“Oggi, se sei membro della WTO – conclude Frattini – sei vincolato alle sue decisioni. Attualmente, l’Unione europea (Ue) sta comprensibilmente rimanendo in attesa di sapere le condizioni di Trump, ma da subito ha detto che avrebbe portato la questione alla WTO perché Trump sta disattendendo dei vincoli contrattuali: mettendo le tariffe, infatti, sta prendendo libertà che portano ad annullare il valore stesso della WTO.

Questa decisione sarebbe perciò utile a limitare il caos che, di fatto, al momento regna. Nell’economia globalizzata, Il protezionismo ha sempre avuto una logica di temporaneità, è uno strumento che deve essere giustificato: se protezionismo deve essere, che sia ordinato e regolato. 

Ritengo quindi possa essere importante giocarsi la carta WTO e a poterlo fare è soprattutto l’Ue: quantomeno per riportare la situazione economica globale a uno stato di maggiore ordine e regolazione”.

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