La guerra del pesce si gioca sul fondo del mare In Europa e UK ambientalisti e industria si scontrano sulla pesca a strascico

La guerra del pesce si gioca sul fondo del mare

In Europa e UK ambientalisti e industria si scontrano sulla pesca a strascico

Forti tensioni attraversano l’industria della pesca in Europa e nel Regno unito, mentre gli obiettivi 2030 sulla biodiversità marina si fanno più lontani e difficili da raggiungere. Per pescatori e associazioni di categoria l’aumento del prezzo dei carburanti, effetto del conflitto in Ucraina, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dando il via a proteste, rivendicazioni e scioperi. 

Già da tempo, infatti, nel settore si registra malumore, generato dalla decisione dell’Unione europea di ridurre il numero di giornate in cui sarà concessa la pesca a strascico nel 2022 (- 6% per il Mediterraneo). In marzo, a questa misura è seguita come risposta l’istituzione dell’Alleanza europea per la pesca a strascico (European Bottom Fishing Alliance, EBFA). “Siamo pronti a combattere con la scienza e i dati tutti i miti che circondano le nostre attività – ha dichiarato Iván López van der Veen, presidente dell’EBFA -. L’eliminazione graduale degli attrezzi a strascico non è la risposta, in particolare se l’UE è seriamente convinta della necessità di ridurre la dipendenza dai prodotti alimentari importati.”

In Italia, all’Alleanza hanno aderito Federpesca, Alleanza Cooperative Italiane Pesca, Coldiretti Impresa Pesca, Unci Agroalimentare, che, nel loro insieme, rappresentano oltre 20mila pescatori e 7mila imbarcazioni. I temi della sicurezza alimentare, dell’occupazione e delle importazioni sono centrali nel dibattito, proprio come negli scontri tra ambientalisti, lobby e parte del mondo produttivo sul futuro dell’agricoltura. Le istituzioni vengono accusate di scarsa concretezza e appaiono agli occhi dei prodotti scollegate dal tessuto industriale e incapaci di cogliere le conseguenze sociali di nuove restrizioni.

“La pesca a strascico oggi è definita altamente distruttiva ed è, pertanto, regolamentata e limitata a poche zone di pesca storiche, senza considerare che tale sistema di pesca rappresenta un segmento significativo per tanti lavoratori e imprese del comparto – ha dichiarato in proposito ad Agenda17 Gennaro Scognamiglio, presidente di Unci Agroalimentare -. Inoltre, attualmente le navi sono più selettive, utilizzano tecniche meno invasive e hanno un consumo di carburante ridotto. Da anni i pescatori si sforzano di introdurre sempre nuove tecniche e accorgimenti per aumentare la compatibilità con gli equilibri ecologici, consapevoli dell’importanza degli stessi per il futuro dell’ambiente e delle risorse marine”. 

Gennaro Scognamiglio, presidente di Unci Agroalimentare (© unciagroalimentare.org)

Questi sforzi non sono giudicati sufficienti dalle istituzioni europee. Le nuove regole dell’Unione sulla pesca a strascico si inseriscono in un importante pacchetto di azioni, elaborato per raggiungere gli obiettivi della Strategia Biodiversità 2030 limitando proprio quella che per la Commissione europea resta “the most damaging activity to the seabed”. Secondo la Commissione infatti questo metodo di cattura causa gravi problemi ambientali, tra cui l’impoverimento degli habitat e il fenomeno del bycatch, portato recentemente all’attenzione dei media in Italia dalle denunce di Lipu – BirdLife. 

La Berta delle Baleari è una delle specie più danneggiate dal bycatch (© Getty Images)

Con il termine bycatch si indica lo scarto del pescato, ossia la cattura accidentale di specie durante le attività di pesca. La portata del fenomeno è significativa quando si utilizzano attrezzature moderne e tecniche che, come la pesca a strascico, permettono di coprire aree estese ma non di catturare gli animali in modo selettivo. 

“La necessità di ridurre il bycatch è da tempo ampiamente riconosciuta – dichiara Giorgia Gaibani, responsabile Difesa del territorio e Natura 2000 della Lipu – L’Unione europea ha emanato diverse misure e regolamenti, dalla Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino del 2008, al Piano d’azione per ridurre le catture accidentali di uccelli marini nella pesca del 2012, fino alla Strategia Ue sulla biodiversità per il 2030, che prevede l’eliminazione, o la riduzione ai livelli minimi, delle catture accidentali. Purtroppo, però gli obiettivi sono ben lontani dall’essere raggiunti”. 

Giorgia Gaibani, responsabile Difesa del territorio e Natura 2000 della Lipu (© Twitter)

La pesca a strascico continua così a uccidere o danneggiare gli invertebrati e a immettere in mare pesce già morto, impoverendo anno dopo anno la biodiversità dei nostri mari. Solo nel Mediterraneo, 130 specie sono considerate particolarmente vulnerabili al bycatch, tra mammiferi marini, tartarughe, squali, razze e uccelli. Animali come la Berta delle Baleari (Puffinus mauretanicus) potrebbero addirittura estinguersi in un arco di tempo di circa sessant’anni proprio a causa di questo fenomeno. 

Altri sistemi di pesca, artigianali e rispettosi dell’ambiente, si sono dimostrati non solamente sostenibili dal punto di vista ecologico, ma anche vantaggiosi economicamente per le comunità che li praticano.

Alle denunce su questi fenomeni, le associazioni di categoria rispondono così: “Essendo una pesca multi specie, la pesca a strascico non comporta il depauperamento di un unico stock ittico, inoltre, molte specie interessate da questo tipo di pesca, non si trovano sul fondo e, pertanto, la rete non viene trascinata sul fondale, creando danni – spiega ancora Gennaro Scognamiglio .- Non riteniamo, quindi, possa essere una risposta definitiva e risolutiva l’eliminazione graduale degli strumenti a strascico, come da più parti si propone. Il rischio è che sull’onda di scelte emotive, si assumano decisioni che creerebbero seri problemi al comparto della pesca e ai suoi addetti, senza apportare benefici determinanti all’ambiente, soprattutto se l’Ue è seriamente convinta della necessità di ridurre la dipendenza dai prodotti alimentari importati”.

La pesca a strascico viene praticata anche in aree protette (© Getty Images)

Complessa anche la situazione nel Regno unito post Brexit. Qui, uno studio uscito pochi giorni fa e diffuso dal The Guardian ha rivelato come nel 90% delle aree marine protette nazionali si continui a praticare la pesca a strascico. Il Global Fishing Watch (GFW) e l’organizzazione non governativa Oceana hanno spiegato che la pesca a strascico oggi riguarda ben cinquantotto Marine Protected Areas (MPA) lontane dalla costa su sessantaquattro. Al momento, il divieto sussiste solo per due MPA. 

Oceana ha contestualmente diffuso un video documentario dal titolo “What can the UK learn from Sussex’s inshore bottom trawling ban?” girato al largo del Sussex, dove il Governo ha approvato un regolamento che vieta la pesca a strascico in oltre 170 km2. Il video contiene testimonianze dirette dell’impoverimento dei fondali e degli habitat marini.

La permanenza della pesca a strascico in tante aree naturali è particolarmente interessante se si considera che il Regno unito prevede di contribuire agli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite guidando la Global Ocean Alliance 30by30. Questa Alleanza – che comprende anche l’Italia – si prefigge di proteggere in maniera efficace il 30% degli oceani entro il 2030, proprio attraverso la costituzione di nuove MPA e Other Effective area-based Conservation Measures (OECM), che dovrebbero garantire una tutela piena della biodiversità.

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