Nuovi equilibri internazionali. Con l’allargamento dei BRICS si va verso un multilateralismo conflittuale, secondo l’economista Paolo Pini di Unife L’Europa è debole, succube delle politiche Usa, e le sanzioni hanno danneggiato noi invece della Russia

Nuovi equilibri internazionali. Con l’allargamento dei BRICS si va verso un multilateralismo conflittuale, secondo l’economista Paolo Pini di Unife

L’Europa è debole, succube delle politiche Usa, e le sanzioni hanno danneggiato noi invece della Russia

“Dagli anni Settanta alcuni grandi Paesi hanno iniziato a non ragionare più in termini di dominanza dell’area atlantica e hanno cercato di costruire alleanze con altri Paesi: la Cina ne è stato il principale esempio, ma prima di lei Giappone, India, Russia e alcuni Stati del Sud America. 

Oggi questa situazione presenta una forte instabilità, con un potenziale conflittuale la cui origine risiede proprio nei cambiamenti avvenuti nello scenario internazionale del commercio e della gestione dei flussi finanziari. Quindi a Johannesburg sono successe cose importanti, ma l’origine di tutto va guardata in prospettiva” afferma ad Agenda17 Paolo Pini, docente di Economia politica presso l’Università di Ferrara.

Recentemente si è tenuto a Johannesburg, in Sud Africa, il quindicesimo vertice dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), una partnership di cinque Paesi emergenti che rappresentano oltre il 42% della popolazione mondiale e il 18% del commercio globale.

Già nel titolo dell’incontro (Brics and Africa: Partnership for Mutually Accelerated Growth, Sustainable Development and Inclusive Multilateralism) si pone attenzione all’importanza della cooperazione per una crescita comune, uno sviluppo sostenibile e un multilateralismo inclusivo. Qual è dunque il loro principale obiettivo

La Cina prima potenza commerciale: le radici storiche

Per rispondere occorre anzitutto guardare al grafico sottostante, che mostra una situazione totalmente ribaltata in soli vent’anni, con la maggior parte dei Paesi a livello mondiale che sono passati a commerciare più con la Cina che con gli Stati Uniti. 

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Com’è cambiato lo scenario commerciale internazionale in vent’anni (©ispionline.it)

“In tale scenario – afferma Pini – i Paesi come Cina, Giappone, Germania, Canada, Arabia Saudita, Russia, che hanno una posizione netta sull’estero, cioè vendono più di quello che acquistano, finanziano quelli che acquistano più di vendere – tra cui Stati Uniti (Usa), Regno Unito, Francia, Australia, Messico e Brasile.

Le basi di questa situazione risalgono alla Seconda guerra mondiale, quando a Bretton Woods gli Usa impongono un sistema internazionale costruito sul dollaro, all’epoca strettamente legato all’oro (cioè un Paese che deteneva dollari poteva chiedere oro in cambio alla Banca centrale americana): tale ancoraggio permetteva in qualche modo di calmierare la supremazia statunitense.

Nel 1971 Nixon decide però di bloccare la convertibilità con l’oro. Gli Usa diventano doppiamente liberi di stampare dollari senza limite e lo fanno perché vendevano più di quello che acquistavano: erano loro a finanziare il Mondo.

Quando però vanno in deficit nel commercio internazionale, iniziano ad avere bisogno dei capitali esteri: possono continuare ad acquistare in dollari beni e servizi dall’estero, ma producono meno di quello che consumano. Ad aiutarli sono i Paesi europei, poi il Giappone, e infine la Cina, la cui produzione supplisce alla carenza americana nel mercato interno e il cui acquisto di titoli di Stato americani ne finanzia l’economia.

Questa strategia per gli Usa andava benissimo, finché la Cina si è chiesta perché usare il proprio risparmio per finanziare l’economia americana anziché la propria crescita interna, ma soprattutto perché dover usare il dollaro per gli scambi internazionali. È su questo terreno, oltre al guadagno nelle relazioni commerciali, che nascono i BRICS e che oggi si vogliono espandere.”

L’allargamento dei BRICS: ci sarà un cambiamento epocale, ma traumatico

Tra le novità più importanti che emergono dalla dichiarazione finale del summit, infatti, spicca l’allargamento ad Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a partire dal 1 gennaio 2024. A quel punto i BRICS coprirebbero circa il 30% del Prodotto interno lordo (Pil) globale. Inoltre, altri sedici Paesi hanno posto la loro candidatura all’organizzazione. 

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Il vertice BRICS ha aperto a nuove adesioni dal 2024, quando la presidenza passerà alla Russia (©Brics2023.gov.za)

“Cosa ci si può aspettare? Guardando alla storia – prosegue Pini – mi aspetto un’altra fase di cambiamento epocale in cui i Paesi che crescono di più, cioè in gran parte i BRICS, diventeranno quelli che governano il Mondo. Purtroppo però la storia ci insegna anche che queste fasi difficilmente sono non traumatiche. 

Attualmente da un lato abbiamo l’Europa, un continente in declino dal punto di vista demografico ed economico, e l’America, spaccata tra il Sud che va in una direzione (l’Argentina potrebbe entrare nei Brics in base all’esito delle prossime elezioni interne) e il Nord in un’altra.

Dall’altro ci sono Arabia Saudita, Iran, Sud Est asiatico, India, e infine l’Africa, su cui si gioca da decenni una partita fondamentale perché, pur non essendo per ora vista come mercato di sbocco, è importante in quanto possiede le risorse.

È difficile dire se gli attuali movimenti contro l’Europa siano il risultato di autonome scelte della popolazione o qualcosa di eterodiretto. È chiaro però che Russia e Cina hanno avuto molta più capacità di ingresso nella politica e nel territorio africani rispetto agli Stati Uniti, che non sono intervenuti in modo sistematico, per cui è rimasto un continente più facile da ‘aggredire’.”

Verso un multilateralismo conflittuale 

Quali dunque le prospettive future? “Quello che emerge – afferma il docente – è un multilateralismo a crescente conflittualità. Si è passati infatti da una fase in cui i Paesi atlantici usavano le risorse dei Paesi emergenti a quella in cui i Paesi emergenti vogliono usare le loro risorse e i Paesi atlantici vanno in crisi. 

Paolo Pini, docente di Economia politica presso l’Università di Ferrara (©unife.it)

In tutto ciò l’Europa è un continente ormai quasi irrilevante. Sono critico verso l’Unione europea (Ue) perché, con il cambiamento di politica statunitense nel 1971, ha intrapreso politiche liberiste ed ora è totalmente schiacciata dalle scelte dell’amministrazione americana.

Anche l’Europa, infatti, è ormai passata al cosiddetto friend shoring, cioè un commercio libero ma sicuro, da effettuare solo con i Paesi ‘amici’. Il che comporta la crescente attuazione di sanzioni verso Paesi come Cina e Russia.”

All’Europa manca una forte volontà politica 

“È quindi evidente – conclude Pini – che la fase della globalizzazione non c’è più: il Mondo è diviso e, con la scusa della guerra in Ucraina, gli Usa hanno costretto anche l’Europa a non commerciare con la Russia, pur avendone noi (e soprattutto la Germania) un grande vantaggio.

Se non riusciamo a sganciarci da questo meccanismo è soprattutto per mancanza di volontà politica. Le scelte che l’Ue dovrebbe fare sono moltissime, ma mancano quelle che vuole fare perché la crisi in Ucraina è stata usata dagli Usa per mettere in crisi il modello tedesco, basato sulla ricerca di uno scambio con l’Est europeo.

Ora invece acquistiamo il gas americano, che costa molto più di quello russo, e stiamo facendo una politica che segue le direttive statunitensi e ammazza l’economia europea. Le sanzioni ad esempio non hanno danneggiato la Russia, che vende il gas ad altri Paesi, rafforza i rapporti con i BRICS ed è stata uno degli artefici principali dell’incontro a Johannesburg perché, visto l’allargamento della North Atlantic Treaty Organization (NATO) già a partire dal crollo dell’Unione sovietica, serve un’alternativa, che si trova guardando ad Asia, America latina e Africa.”

articolo aggiornato il 12 settembre alle 20.15

9 thoughts on “Nuovi equilibri internazionali. Con l’allargamento dei BRICS si va verso un multilateralismo conflittuale, secondo l’economista Paolo Pini di Unife

L’Europa è debole, succube delle politiche Usa, e le sanzioni hanno danneggiato noi invece della Russia

  1. Ottima analisi. Il problema dei Brics: sono disposti a dare alla Cina il ruolo di paese-guida? E la Cina, che finora si è mostrata meno imperialista degli Usa (o almeno: ha comprato invece di mandare le cannoniere) vorrà e saprà mantenersi su questa linea? La possibilità di un’alternativa al dollaro dipende dall’esistenza di un’area con un paese-guida. Ma la debolezza dei Brics è la loro disomogeneità politica. Il Brasile di Lula non ha molto in comune con la Cina di Xi, e dubito che l’India voglia rinunciare a rapporti con gli Usa. Vedremo…

  2. Credo che Clericetti, noto giornalista economico nonché studioso, abbia sollevato punti importanti. Il presente e’ incerto e non definito. Occorre vedere chi ne esce vincitore.
    Io credo pero’ che le contraddizioni in seno agli Usa ed i suoi precari equilibri economici segneranno la fine dell’egemonia geopolitica statunitense e l’emergere di nuovi soggetti leader. La Cina e’ il candidato piu’ rilevante e si trascinerà dietro paesi area Brics in espansione. E’ successo nel passato con la fine del colonialismo ottocentesco e poi con la supremazia del Regno Unito sino ad inizio novecento. Percorsi e cambiamenti che sono stati anche traumatici. Il presente e’ incerto, il futuro meno incerto ! Una nuova egemonia si affermerà, forse piu’ pluralista forse meno. Certo meno atlantica e piu’ multipolare. La Storia lo dira’ !

  3. Ottimo intervento. Alcune considerazioni a latere: l’UE conta come ‘terra di conquista’, come luogo in cui concentrare una parte della domanda di beni e servizi, e come insieme di stati da riportare all’ovile dello zio Sam, e, forse, come luogo dove scaricare le tensioni fra potenze atlantiche e potenze orientali. L’India ha una posizione ambigua. L’ampliamento dei BRICS è qualcosa che va decifrato bene: può trasformarsi in un’alternativa alla attuale globalizzazione, ma rappresenta anche una coalizione fra paesi molto diversi, anche sotto il profilo strutturale, alcuni dei quali più legati degli altri agli Usa e ai loro alleati. Infine la centralità del dollaro nel commercio internazionale e come valuta di riserva internazionale è superabile solo in un periodo molto lungo e probabilmente pieno di tensioni anche militari.

  4. Vi e’ infatti molta incertezza sul posizionamento dei Brics e sulle relazioni tra loro. Hanno anche interessi contrastanti. Ma sono accumunati dal rigetto del dollaro come valuta internazionale. Può essere una cooperazione forzata dalla ricerca di una alternativa. Potrebbe riemergere l’idea di un Bancor? Difficile che accada, piu’ facile pensare ad aree valutarie non antagoniste. Ma sono congetture allo stato attuale.

  5. Non c’è dubbio che la UE sia la grande perdente per la sua incapacità prima (diritto di veto) e impossibilità ora di rompere il vassallaggio verso gli Usa. Sicuramente la Nato ha contribuito, ma sono i meccanismi decisionali, fondati sul primato degli Stati membri e non sulle istituzioni comuni, in primis il Parlamento, che ha portato alla paralisi. In particolare il modello sociale europeo è ormai irriconoscibile.
    I Brics inoltre raggruppano le due grandi superpotenze di domani mattina, che saranno inevitabilmente in conflitto. Oggi appare prevalere la Cina, che però è in gravissima crisi demografica, forse irreversibile, che le impedirà di affermare una leadership netta. Sarà un equilibrio estremamente delicato e precario

  6. Ottima ricostruzione geoeconomica. Dal punto di vista storico-sociologico, gli USA decisero di assumersi la responsabilità di subentrare all’egemonia dell’Impero britannico in disfacimento solo dopo un doloroso mutamento culturale delle élite e dei cittadini comuni che passò per le doglie della crisi del ’29, la visione di F. D. Roosevelt e la Seconda guerra mondiale. Ora negli USA il processo va chiaramente nel senso inverso, con una forte polarizzazione politica interna e lo sguardo rivolto al passato, a una “seconda ri-militarizzazione e bipolarizzazione del mondo” (Cantaro, in https://fuoricollana.it/__trashed/). L’alternativa di un’egemonia cinese capace di fungere da equivalente funzionale è dubbia, per i motivi sopra evidenziati da Clericetti e Lucarelli. Il multipolarismo geopolitico e geoeconomico è un orizzonte inedito per l’economia capitalista monetaria: ma a quell’ideale guardava già un padre del pensiero contemporaneo come Adam Smith…

  7. Questi commenti sono ricchi di spunti di riflessione. I temi sono complessi e restano tanti interrogativi aperti, che costituiscono sicuramente stimolanti spunti per ulteriori approfondimenti da parte nostra. È nostro impegno tenere monitorata la situazione attraverso le osservazioni di esperti e studiosi della materia, a cui Agenda17 offre il proprio spazio per contribuire a un dibattito pubblico informato e consapevole.

  8. Riconosco il taglio del Prof. Paolo Pini. Effettivamente si sta riscrivendo la nuova geografia economica, si pensi a Krugman, e in questo “squilibrio”, necessario per lo sviluppo capitalistico, si scontrano aree economiche di rilievo. Il punto non è solo la questione “credito-debito”, sebbene qualcosa sul punto ci sia, piuttosto sono in gioco le prospettive.
    Pini introduce temi che dovrebbero essere discussi in profondità. Penso che stia cambiando il paradigma tecno-economico e la domanda effettiva (potenziale) abbia un ruolo fondamentale. E’ una domanda che non appartiene solo al reddito disponibile. Usciamo un attimo dalla logica di Marx e di Keynes. E’ necessario ampliare la bibliografia e arricchirsi degli studi sulla demografia per comprendere la domanda effettiva potenziale. Serve molto di più Smith e Malthus per comprendere cosa stia veramente accadendo, aggiungendo una punta di Minscky e Schumpeter. Aggiungo l’apprezzamento della analisi su Europa. Senza Europa si potrebbe ripiombare in un mondo bipolare con rapporti di forza invertiti rispetto alla storia recente. Se desideriamo un mondo migliore l’Europa deve diventare adulta, così come l’euro. romans

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