DOSSIER ANTIBIOTICO RESISTENZA: IL RITORNO DEI FAGI  Predatori perfetti contro l’antibiotico resistenza

DOSSIER ANTIBIOTICO RESISTENZA: IL RITORNO DEI FAGI Predatori perfetti contro l’antibiotico resistenza

[English below] “Credo che siamo nel bel mezzo del rinascimento dei fagi” afferma ad Agenda17 Steffanie Strathdee, epidemiologa, vice presidente di Global Health Science, docente presso l’Università della California-San Diego (UCSD) e co-fondatrice del primo centro dedicato alla fagoterapia in Nord America. Il ruolo dei batteriofagi nel combattere le infezioni da batteri antibiotico resistenti sta infatti riemergendo, complice lo sviluppo di nuove tecnologie e il pericolo di trovarci presto nell’“era post-antibiotica”.

Oltre a cercare di sviluppare nuove classi di antibiotici, la ricerca sta ora rispolverando i batteriofagi (o fagi), uno strumento scoperto già da tempo, ma poco considerato nell’ultimo secolo dalla medicina occidentale. Secondo un’analisi della letteratura scientifica pubblicata su Frontiers in Microbiology nel 2023, il numero di articoli sulla phage therapy è cresciuto drasticamente negli ultimi vent’anni: da sessantuno lavori usciti nel 2001 a 937 pubblicazioni nel 2021. 

Virus cacciatori di batteri: nascita e caduta della fagoterapia

“La parola fagi deriva dal termine greco “phageÎn”, che significa “mangiare” o “divorare”. I batteriofagi sono un tipo particolare di virus the ‘mangia’ i batteri, iniettando il loro DNA e trasformandoli in un’officina per la produzione di altri fagi. In questo processo, distruggono i batteri dall’interno causandone la lisi (o rottura), e rilasciando centinaia di nuovi fagi.” Così scrive Strathdee nel suo libro-memoir “Il predatore perfetto. La corsa di una scienziata per salvare il marito da un batterio letale”, raccontato su Agenda17.

Steffanie Strathdee, epidemiologa, vice presidente di Global Health Science, docente all’Università della California, San Diego (UCSD), co-fondatrice e co-direttrice del Center for Innovative Phage Applications and Therapeutics (IPATH) (©Wikipedia).

Come suggerisce il nome, i batteriofagi infettano principalmente i batteri e non le cellule degli esseri umani. Si trovano praticamente ovunque, tanto da essere considerati le entità biologiche più numerose sulla Terra. 

Le prime osservazioni dell’esistenza di un’entità in grado di eliminare i batteri risalgono a fine Ottocento da parte del batteriologo Ernest Hankin. Il ricercatore notò una curiosa diminuzione delle particelle di vibrio cholerae, patogeno causa dell’infezione intestinale detta colera, nelle acque nel fiume Gange. 

Nel 1915, il microbiologo inglese William Twort pubblicò ulteriori osservazioni relative della lisi di colonie di Stafilococco, ma fu Felix d’Herelle, microbiologo autodidatta franco-canadese, che nel 1917 comprese la vera natura del fenomeno e battezzo’ queste entità sconosciute “batteriofagi”. Fu sempre d’Herelle il primo a sfruttarli contro le infezioni batteriche, dando il via alla “phage therapy”, o fagoterapia, che utilizzò per trattare i soldati affetti da dissenteria durante la prima guerra mondiale.

Gli anni seguenti videro i fagi al centro di una controversia scientifica, e di un conflitto di ambizioni personali, interessi economici e scontri politici che segnarono il declino della terapia fagica, praticata quasi solamente in Unione Sovietica.

Eventi che hanno marcato la storia della phage therapy (nero e verde) e degli antibiotici (blu e giallo). (©Agenda17) 

In seguito, la guerra fredda esacerbò ulteriormente l’isolamento della ricerca sui “fagi sovietici”, che rimase a lungo in una bolla, guardata con sospetto dalla medicina occidentale.

Come antibiotici sorpassano i predatori invisibili

Secondo Mariagrazia Di Luca, professoressa associata in Microbiologia presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e co-fondatrice della prima startup italiana di ricerca e sviluppo dedicata alla phage therapy (Fagoterapia LAB), diversi fattori hanno favorito l’utilizzo degli antibiotici rispetto ai fagi per il trattamento delle infezioni. In primis, la più facile produzione e standardizzazione degli antibiotici, dovuta alla “possibilità – dichiara ad Agenda17 – di avere una molecola di sintesi, sempre uguale a se stessa a differenza dei batteriofagi, che sono comunque dei virus che quindi possono cambiare nella loro composizione.” 

Mariagrazia Di Luca,  professoressa associata in Microbiologia presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e co-fondatrice della startup Fagoterapia LAB (©Researchgate)

Oltre all’efficacia e l’ampio spettro d’azione, il cui abuso si è però rivelato un’arma a doppio taglio, un altro fattore ha giocato contro i batteriofagi: “Quando sono stati scoperti, di fatto, non si sapeva neanche quale fosse l’entità biologica, vi parlo dei primi del Novecento. Solo dopo gli anni Quaranta, con l’avvento della microscopia elettronica, è stato finalmente possibile vedere cosa fosse questo principio” spiega Di Luca. 

Infatti, i microscopi disponibili fino a quel momento storico non possedevano la risoluzione necessaria per vedere entità piccole come i virus, che possono raggiungere dimensioni fino a venti volte inferiori ai batteri. 

Il microscopio elettronico ha permesso la scoperta e descrizione di virus come i batteriofagi, che hanno dimensioni nell’ordine dei nanometri- un milionesimo di un millimetro. Questo strumento fu inventato dai tedeschi Ernst Ruska e Max Knoll nel 1931, e il primo modello commerciale fu prodotto dalla Siemens nel 1939 (adattata da Snax Mikn, wikipedia).

Inizialmente, si era infatti aperto un acceso dibattito tra gli scienziati su cosa fossero queste entità invisibili in grado di eliminare i batteri. Mentre d’Herelle sosteneva l’esistenza di qualche entità minuscola, una sorta di “ultramicrobo”, altri ricercatori sostenevano che la lisi fosse causata da enzimi dei batteri stessi, cioè sostanze di natura proteica in grado di velocizzare determinate reazioni negli organismi viventi. 

Il rinascimento dei fagi 

“Negli scorsi 100 anni circa, da quando sono stati scoperti, ci sono stati altri rinascimenti, che sono però naufragati. Questo principalmente perché erano presenti diverse limitazioni nella pipeline” commenta Strathdee. 

Ma ora abbiamo a disposizione nuove tecnologie che ci permettono di superare questi ostacoli, come spiega Di Luca: “tecniche di biologia molecolare, bioinformatica, analisi dei genomi sequenziamento, che un tempo non esistevano e che oggi ci fanno comprendere meglio qual è la biologia di questi virus e quindi anche come poterli utilizzare.” 

Nel 2016, Strathdee ha sperimentato personalmente il prezioso potenziale della fagoterapia, quando, al termine di una vacanza in Egitto, il marito Thomas Patterson ha scoperto di avere una pericolosa infezione da Acinetobacter Baumannii, che fa parte del gruppo di patogeni denominati ESKAPE, pronti a sviluppare molteplici resistenze ai farmaci. 

Una volta esauriti tutti gli antibiotici disponibili, Strathdee e i medici hanno tentato in extremis la phage therapy

Grazie alla collaborazione di un laboratorio in Texas, colleghi dell’Università di San Diego e della Marina militare americana, sono riusciti a identificare alcuni fagi, che in combinazione con gli antibiotici, sono riusciti a risolvere l’infezione e salvare Thomas.

In seguito, l’epidemiologa ha aperto il Center for Innovative Phage Applications and Therapeutics (Centro per applicazioni innovative di fagi e terapie) presso l’Università di San Diego, di cui ora è co-direttrice. 

La fagoterapia ridà efficacia agli antibiotici

Come nell’esperienza di Strathdee, spesso la fagoterapia viene utilizzata in combinazione con gli antibiotici. “Qualcuno usa lo slogan ‘I fagi rendono gli antibiotici grandi ancora/ make antibiotic great again’ – commenta  Di Luca -. Perché, fondamentalmente, è stato visto che i batteri possono sviluppare cloni resistenti anche ai batteriofagi e questo però avviene a un costo.” 

Il batterio per diventare resistente a un fago deve cambiare qualcosa di sé, per esempio modificare una sua porzione coinvolta nell’interazione con il virus, per impedire di essere riconosciuto. Ma questa mutazione non è senza conseguenze e può riportare il batterio ad essere suscettibile ai farmaci, oppure ridurne la virulenza, rendendo più facile il lavoro di eliminazione del patogeno al nostro sistema immunitario.


ANTIBIOTIC RESISTANCE DOSSIER: RETURN OF THE PHAGES The perfect predators against antibiotic resistance

By Valentina Fajner

“I do think we are in the midst of a phage renaissance,” says Steffanie Strathdee, epidemiologist,  Associate Dean of Global Health Science, professor at the University of California-San Diego (UCSD), and co-founder of the first center dedicated to phage therapy in North America. The role of bacteriophages in combating infections caused by antibiotic-resistant bacteria is indeed reemerging, thanks to the development of new technologies and the looming danger of the “post-antibiotic era.”

In addition to developing new classes of antibiotics, research is now dusting off bacteriophages (or phages), a tool that has long since been discovered but largely overlooked by Western medicine in the past century. According to an analysis of the scientific literature published in Frontiers in Microbiology in 2023, the number of articles on phage therapy has increased dramatically over the past twenty years: from sixty-one papers published in 2001 to 937 publications in 2021.

Bacteria-hunting viruses: rise and fall of phage therapy

“The word ‘phage’ comes from the Greek term ‘phageÎn’, which means ‘to eat’ or ‘devour’. Bacteriophages are a specific kind of virus that ‘eats’ bacteria, by injecting their DNA into them and turning them into phage manufacturing plants. In the process, they destroy bacteria from the inside and cause it to “lyse” (break open), releasing up to hundreds of new phages”, writes Strathdee in her memoir The Perfect Predator: A Scientist’s Race to Save Her Husband from a Deadly Superbug.

Steffanie Strathdee, epidemiologist,  Associate Dean of Global Health Science, pprofessor at the University of California, San Diego (UCSD), co-founder and co-director of the Center for Innovative Phage Applications and Therapeutics (IPATH) (©Wikipedia).

As the name suggests, bacteriophages primarily infect bacteria, not human cells. They are found virtually everywhere and are considered to be the most numerous biological entities on Earth.

The first observations of an entity capable of eliminating bacteria date back to the late 19th century by bacteriologist Ernest Hankin. The researcher noticed a curious decrease in the particles of Vibrio cholerae, the pathogen causing cholera disease, in the waters of the Ganges river. In 1915, the English microbiologist William Twort published further observations about the lysis of Staphylococcus colonies, but it was Felix d’Herelle, a self-taught Franco-Canadian microbiologist, who in 1917 understood the true nature of the phenomenon and named these unknown entities “bacteriophages”. D’Herelle was also the first to use them to treat bacterial infections, initiating “phage therapy”, which he employed to treat soldiers suffering from dysentery during World War I.

In the following years, phages were at the center of a scientific controversy, conflicts, personal ambitions, economic interests, and political confrontations that marked the decline of phage therapy, which was practiced almost only in the Soviet Union.

Later, the cold war escalated further the isolation of “soviet phages” research,  which remained in a bubble for a long time, viewed with suspicion from western medicine. 

How antibiotics overtook the invisible predators

According to Mariagrazia Di Luca, associate professor of microbiology at the University of Pisa and co-founder of the first Italian start up on phage therapy research and development (Fagoterapia LAB), several factors favored the use of antibiotics over phages for treating infections. First and foremost, antibiotics are easier to produce and standardize due to the “possibility,” as she tells Agenda17, “of having a synthetic molecule that is always the same, unlike bacteriophages, which are viruses that can change in their composition.”

Mariagrazia Di Luca, associate professor of Microbiology  at the University of Pisa and co-founder of Fagoterapia LAB (©Researchgate)

In addition to their effectiveness and broad spectrum of action, which, however, has proven to be a double-edged sword, another factor worked against bacteriophages: “When they were discovered, in fact, no one even knew what these biological entities were. I’m talking about the early 1900s. Only after the 1940s, with the advent of electron microscopy, was it finally possible to see what this principle was,” explains Di Luca. The microscopes available at that time didn’t have the resolution needed to see small entities like viruses, which can be up to twenty times smaller than bacteria.

The electron microscope allowed for the discovery and description of viruses like bacteriophages, which are on the nanometer scale—a millionth of a millimeter. This tool was invented by Germans Ernst Ruska and Max Knoll in 1931, and the first commercial model was produced by Siemens in 1939 (adapted from Snax Mikn, Wikipedia).

Initially, there was indeed a heated debate among scientists about what these invisible entities were that could eliminate bacteria. While d’Herelle supported the existence of some tiny entity, a kind of “ultramicrobe,” other researchers believed that lysis was caused by enzymes from the bacteria themselves—substances of a protein nature capable of accelerating certain reactions in living organisms.

The Renaissance of phages

“Over the past 100 years or so, since their discovery, there have been other renaissances, but they have all failed. This was mainly because there were several limitations in the pipeline,” comments Strathdee. 

“But now we have new technologies that allow us to overcome these obstacles,” as Di Luca explains: “molecular biology techniques, bioinformatics, genome sequencing, which did not exist in the past and today help us understand better what the biology of these viruses is and, therefore, how to use them.”

In 2016, Strathdee personally experienced the valuable potential of phage therapy when, after a vacation in Egypt, her husband Thomas Patterson was diagnosed with a dangerous infection caused by Acinetobacter Baumannii, a pathogen from the ESKAPE group, prone to developing multiple drug resistances. Once all available antibiotics had been exhausted, Strathdee and the doctors attempted phage therapy as a last resort. 

Thanks to collaboration with a laboratory in Texas, colleagues from the University of San Diego, and the U.S. Navy, they were able to identify some phages, which, combined with antibiotics, successfully resolved the infection and saved Thomas. 

Afterwards, the epidemiologist opened the Center for Innovative Phage Applications and Therapeutics (IPATH) at the University of San Diego, where she is now co-director.

Phage therapy restores antibiotic effectiveness

As in Strathdee’s case, phage therapy is often used in combination with antibiotics. “Some people use the slogan ‘Phages make antibiotics great again,’” comments Di Luca. “Because, fundamentally, it has been shown that bacteria can develop clones resistant even to bacteriophages, but this happens at a cost.”

For a bacterium to become resistant to a phage, it must change something about itself, such as modifying a part involved in the interaction with the virus to avoid being recognized. But this mutation is not without consequences, and it may make the bacterium susceptible to antibiotics again or reduce its virulence, making it easier for the immune system to eliminate the pathogen.

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