Il mercato immobiliare in montagna sta vivendo un momento florido, secondo l’ultimo report di Legambiente. Questa crescita, trainata da pandemia e Superbonus, riguarda tuttavia in particolare le seconde case, con Cortina d’Ampezzo al primo posto a causa delle aspettative per le Olimpiadi invernali del 2026. Questo trend fa temere un aumento del consumo del suolo anche nelle aree montane, che, nell’ultimo rilevamento del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), risultavano invece tra le zone meno colpite.
Tra le località esaminate da Legambiente, infatti, la maggior parte ha meno della metà delle abitazioni occupate da residenti, mentre un ripopolamento sostenibile, affermano gli esperti, necessita di strategie mirate a tutela dell’ambiente e della residenzialità. Nel 2020, i posti letto disponibili per i turisti superavano i 5 milioni, divisi tra esercizi alberghieri ed extralberghieri, tra cui campeggi, rifugi, agriturismi e alloggi in affitto.
Queste ultime soluzioni, tuttavia, potrebbero rappresentare un’importante fonte di reddito familiare, incentivando quindi la residenzialità nei borghi alpini soggetti a spopolamento e favorendo il recupero delle strutture inutilizzate.
Inoltre, un’ulteriore iniziativa che si sta diffondendo per contrastare l’abbandono del costruito sono i condominium hotel (condhotel), strutture miste che comprendono stanze d’albergo e appartamenti privati. Sono state introdotte in Italia nel 2014, ed è in particolare la Provincia di Trento ad aver approvato, lo scorso anno, un provvedimento attuativo per favorire la riqualificazione degli edifici alberghieri esistenti. Si tratta di un’opportunità per recuperare le grandi strutture oggi abbandonate presenti sul territorio.
Ripensare i grandi eventi sportivi: le Olimpiadi di oggi non sono sostenibili
La prossima edizione dei Giochi olimpici invernali, la XXV, si terrà nel nostro Paese, e interesserà soprattutto le Dolomiti bellunesi. In un recente comunicato stampa, la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) ha sottolineato come oggi, a fronte dei problemi che il cambiamento climatico pone soprattutto ai territori più fragili come le montagne, queste manifestazioni sportive non siano più sostenibili.
“Nessun evento come le Olimpiadi – afferma ad Agenda17 Luca Mercalli, climatologo e presidente della Società meteorologica italiana (Smi) – ha mai rilanciato la montagna. Sicuramente lì dove si sono svolte in passato, basti pensare a Torino 2006, sono arrivati fiumi di denaro finiti prevalentemente nelle tasche dei costruttori delle grandi opere, ma quello che rimane nel territorio sono le macerie.
Questo tipo di sviluppo non è chiaramente compatibile con l’ambiente di montagna. Personalmente non farei più Olimpiadi invernali di questo genere: si possono fare le gare, ma senza costruire continuamente nuove strutture. Potremmo inoltre eliminare le discipline poco praticate, come il bob, che richiedono infrastrutture invasive e molto costose.
Infine, il cambiamento climatico non fa che mettere un ulteriore punto di domanda sul futuro degli sport invernali come li intendiamo oggi. Io appoggio una via diversa, sostenuta da trent’anni da una parte degli intellettuali della montagna, che parla di turismo slow, basato non più sulla competizione e gli impianti, ma su un approccio culturale, enogastronomico e naturalistico.”
Anche secondo Mauro Varotto, professore di Geografia all’Università di Padova e coordinatore del Gruppo Terre Alte del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano (Cai), è necessario un cambio di paradigma rispetto a eventi come le Olimpiadi: “dovremmo cambiare il nostro modo di pensare alla pratica sciistica e invernale, visto che ci sarà sempre meno neve e limitata a quote sempre più alte.
I grandi eventi sportivi non sono sostenibili, a partire dall’investimento energetico e di acqua necessario per l’innevamento artificiale. C’è bisogno invece di una transizione verso pratiche diverse, che possono essere fatte quando c’è la neve e le condizioni sono idonee. Per attuarla, è necessario un lento ma graduale percorso di cambiamento, agendo soprattutto sull’educazione delle persone.
Ogni anno, ad esempio, porto in Marmolada una trentina di persone per assistere alla campagna glaciologica e alla migrazione del ghiacciaio. Quando racconto la situazione del ghiacciaio e della pratica sciistica, tutti si rendono conto, toccando con mano, dell’insostenibilità dei teli di protezione delle piste da sci o della pratica stessa dello sci sui ghiacciai, che è sempre più residuale e difficile da sostenere.
Senza voler essere troppo categorico, penso che eventi come le Olimpiadi possano essere utili alla montagna nel momento in cui stimolano e garantiscono servizi minimi essenziali che non siano limitati al solo periodo del loro svolgimento. Sta qui, forse, il vero tema: non costruire delle cattedrali nel deserto, ma immaginarsi che tutto ciò che viene fatto sia utile alla montagna in generale e al suo futuro sviluppo sostenibile.”
Vivere la montagna in un’ottica post-turistica
L’imprenditoria turistica invernale legata allo sci necessita quindi di un cambio di strategia, perché sarebbe impensabile per il futuro ricorrere costantemente alla neve artificiale, all’eli-ski o addirittura all’eli-snow, cioè il trasporto di neve via elicottero, come avvenuto sulle Tofane alla fine dell’anno scorso.
L’insostenibilità dell’eli-montagna è stata denunciata più volte da Vincenzo Torti, presidente del Cai sulla rivista Montagne 360, oltre che da appassionati e da associazioni come Mountain Wilderness (MW) e World Wildlife Fund Italia (WWF).
In realtà, molte delle attività sportive, ludiche e di svago che si svolgono in montagna, e non solo quelle invernali, dovrebbero essere rivalutate verso una pratica più sostenibile e di attenzione al territorio, anche nell’interesse delle future generazioni. In Italia, ad esempio, aumenta il numero dei Villaggi degli alpinisti, dove l’uso dei mezzi a motore per il turismo è bandito, in linea con le scelte sostenibili intraprese dai rispettivi Comuni.
“Oltretutto – conclude Varotto – l’escursionista, l’alpinista e il socio Cai dovrebbero cominciare a essere coinvolti completamente nel sostenere le attività di cura e manutenzione della montagna.
Diverse iniziative sono già in atto, come la rassegna estiva ‘Rifugi di cultura’, che promuove eventi culturali direttamente sul territorio, o il progetto Adotta un terrazzamento nel Canale di Brenta, dove i soci Cai hanno adottato dei terreni per poterli ripristinare alla coltivazione, mantenendo i muri a secco di sostegno.
Molto però si può ancora fare, ad esempio per la manutenzione dei tracciati di collegamento storici tra contrade e valli a mezza costa, rappresentati da vecchi tracciati di mulattiere e percorsi legati all’attività agro-silvo-pastorale, meno appetibili dal punto di vista turistico-escursionistico rispetto a quelli verticali.
Dovremmo, quindi, orientarci in una direzione post-turistica, di working camps, di iniziative di gemellaggio anche per gruppi di acquisto di prodotti, che peraltro appartengono alla storia del Cai dai tempi dei soci fondatori alla fine dell’Ottocento, quando l’economia di montagna era ancora florida e attiva.”