DOSSIER ONU: CLIMA Giustizia climatica. La Corte internazionale di giustizia e La Corte di Cassazione italiana si pronunciano a favore della tutela del clima Sentenze storiche? In un certo senso: secondo Marco Magri, giurista Unife, avranno un importante valore di indirizzo

DOSSIER ONU: CLIMA Giustizia climatica. La Corte internazionale di giustizia e La Corte di Cassazione italiana si pronunciano a favore della tutela del clima

Sentenze storiche? In un certo senso: secondo Marco Magri, giurista Unife, avranno un importante valore di indirizzo

Due recenti sentenze emesse da Corti di alto livello, una internazionale e una italiana, hanno rovesciato il clima che negli ultimi tempi pareva far pendere la bilancia della giustizia a favore di chi si oppone agli ambientalisti nelle aule dei tribunali.

I cittadini e le associazioni che hanno promosso le cause e hanno vinto le definiscono “storiche”.

Marco Magri, docente di Diritto ambientale presso l’Università di Ferrara (©giustiziainsieme.it)

Per Marco Magri, docente di diritto ambientale presso l’Università di Ferrara – che ha sempre sottolineato la necessità che siano gli attori politici, e non i giudici, a prendere decisioni per esempio su quali obiettivi climatici porre per il futuro – entrambe le pronunce segnano questa volta una novità significativa, anche se definirle “storiche” può essere fuorviante. Hanno un valore importante, e in futuro avranno conseguenze nel contesto della cosiddetta “giustizia climatica”.

Le sentenze

Il 23 luglio la Corte internazionale di giustizia (Cig) ha emesso un parere consultivo secondo cui gli Stati sono obbligati a proteggere il sistema climatico e l’ambiente dalle emissioni di gas serra. 

La prima novità di rilievo, fra tutte, secondo Magri è quella di assimilare per la prima volta il diritto al clima al diritto consuetudinario, cioè a quella parte di diritto che vige anche se non è scritta. 

Pochi giorni prima, il 21 luglio, la Corte suprema di cassazione italiana aveva  pubblicato una sentenza sul ricorso _proposto da Greenpeace contro Eni, Ministero dell’economia e delle finanze e Cassa depositi e prestiti (questi ultimi due in qualità di azionisti di Eni). 

Il ricorso alla Corte era stato presentato nel maggio 2023 da Greenpeace, ReCommon e un gruppo di cittadini, per obbligare Eni a rispettare l’Accordo di Parigi riducendo le sue emissioni.

La sentenza ha stabilito che i tribunali civili italiani hanno la giurisdizione per decidere su richieste di risarcimento che imputano a una società privata (come Eni) la responsabilità per i danni causati dal cambiamento climatico, anche se le emissioni avvengono in attività condotte all’estero.

Ora il processo potrà proseguire nel merito, per valutare se Eni abbia contribuito effettivamente ai danni climatici. 

Per gli Stati, il diritto al clima entra nel diritto consuetudinario secondo la Cig

Partiamo dal parere consultivo emesso dalla Cig. “Il parere della Corte Internazionale di Giustizia – afferma Magri -, non essendo un atto-fonte, non produce effetti giuridici propri e immediati a carico degli Stati. Tuttavia, credo che abbia un notevole valore di indirizzo per gli interpreti, soprattutto per le Corti e per le persone che si occupano di diritto al clima. 

Mi sembra un chiarimento importante e credo che sarà citato in varie sedi.” 

Il parere, prosegue il giurista, riconosce in sostanza l’esistenza di un’obbligazione climatica, ossia del dovere da parte degli Stati di proteggere clima e ambiente e di non arrecare danni ad altri Stati.

Come anticipato, secondo Magri uno degli aspetti più innovativi e importanti della pronuncia è il fatto di assimilare il diritto al clima al diritto consuetudinario: “Questo parere ci dice che, a prescindere dai trattati sul clima, esiste un obbligo degli Stati di non peggiorare il destino del Pianeta aumentando eccessivamente le emissioni di gas a effetto serra. 

(adattata da Freepik)

E questo vuol dire che nel diritto internazionale questo principio ha valore consuetudinario, cioè vincola qualunque Stato”. 

Quando si dice che un principio ha valenza consuetudinaria significa che vige anche se non è scritto in nessuna convenzione internazionale, perché corrisponde a un comportamento ripetuto dagli Stati in modo costante e uniforme. 

Esempi di norme nazionali consuetudinarie sono la sovranità dei popoli o il principio di autodeterminazione degli stessi. 

Tra questi principi consuetudinari, spiega Magri, c’è anche il dovere di non ledere un altro Stato. “Il fatto che la Corte di giustizia abbia ricondotto a questo genere di doveri anche il dovere di protezione climatica è sicuramente un fatto significativo, perché il dibattito internazionale sul punto non era così pacifico.”

Diverso è invece il discorso per quanto riguarda gli obblighi derivanti dai trattati internazionali sul clima. Questi ultimi non hanno natura consuetudinaria, ma sono stati fissati dai trattati e fanno quindi parte del diritto scritto, che prevale su quello consuetudinario. 

“Ciò non toglie – precisa il docente – che, se uno Stato con il suo comportamento negligente arreca un danno al clima, ne sia responsabile secondo un principio consuetudinario.” 

Il parere della Cig non entra cioè nel merito degli obblighi relativi ai singoli trattati, che devono essere rispettati in quanto tali. La pronuncia sancisce piuttosto il diritto di un certo Stato a chiamarne in causa un altro che lo abbia danneggiato poiché non ha messo in campo misure adeguate per prevenire o ridurre le emissioni, e quindi di fatto ha contribuito all’aggravamento della crisi climatica. 

“Ovviamente poi in tal caso occorrerebbe un processo per stabilire di che danno si tratta e a chi sia stato inflitto; però il parere della Cig dice che in astratto questa responsabilità sussiste. 

Ciò significa, in concreto, che se si verifica un evento climatico che danneggia uno Stato a causa dell’inazione di un altro, il primo può chiamare in causa lo Stato danneggiante, anche, ripeto, sulla base del diritto consuetudinario se il danneggiante non ha sottoscritto i trattati sul clima.”

Si incomincia a entrare nei casi specifici: questa è la novità “storica”

“Ci sono poi alcune questioni aperte che questo parere non risolve. E non risolve giustamente, perché dice che bisogna vedere anche caso per caso chi agisce e per che cosa agisce”, prosegue Magri. 

Per esempio, aggiunge il docente, la pronuncia supporta sicuramente il fatto che uno Stato possa citarne in giudizio un altro se ritiene di aver subito danni per inottemperanza in merito agli obblighi ambientali e climatici. 

Il parere non chiarisce invece del tutto le possibilità che hanno i singoli, lasciando appunto alcuni aspetti alla valutazione del caso specifico. “È un parere che in linea di massima riconosce al 100% il diritto al clima, ma contiene anche delle precisazioni che vanno colte attentamente e adeguatamente.” 

Un altro aspetto da tenere presente è che si tratta del frutto di un processo che ha avuto luogo nel corso di molto tempo. Definirlo un parere “storico”, sostiene Magri, non è quindi del tutto corretto: “Nelle scienze sociali, tra cui c’è la scienza giuridica, l’evoluzione è graduale. 

Questo non significa che si debbano sottovalutare pronunce come questa, anzi. Io penso che, dopo una fase ‘esplosiva’, durante la quale si è parlato moltissimo di contenzioso climatico, adesso abbiamo forse passato il momento di grande entusiasmo e stiamo iniziando ad osservare e analizzare i dettagli della questione. 

Che sono la cosa più importante della tutela giurisdizionale del diritto al clima”.

Il diritto al clima esiste ora anche in Italia

Secondo Magri, anche la sentenza della Corte di cassazione italiana va in una direzione simile, anche se va ovviamente inquadrata nel contesto nazionale. 

La sentenza non entra nel merito del contenzioso intentato da Greenpeace contro Eni: riguarda la possibilità o meno dei giudici italiani di esprimersi su contenziosi che riguardano la giustizia climatica. 

Domanda a cui la Corte sostanzialmente ha risposto “sì”. 

Per Magri la sentenza ha di per sé un grande valore: “È una sentenza importante perché ci dice che il diritto al clima esiste. 

Ossia, è una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento e che può quindi essere difesa davanti al giudice. 

La Cassazione non era chiamata a decidere chi ha ragione e chi ha torto sulla controversia concreta, ma era un regolamento preventivo di giurisdizione. 

Cioè alla Cassazione si chiedeva se il giudice avesse giurisdizione per decidere quella causa, e la Cassazione qui ha detto di sì e lo ha detto secondo me con una sentenza molto giusta, in cui ha riconosciuto che la pretesa è astrattamente configurabile”. 

Se la risposta della Corte alla domanda fosse stata negativa, il processo si sarebbe fermato lì, mentre adesso le due parti in causa dovranno tornare di fronte a un giudice cui spetterà il compito di verificare nel merito chi ha ragione e chi ha torto. 

“Questa sentenza è importante anche perché, analogamente al parere emesso dalla Cig, chiarisce che le cause climatiche vanno decise nel merito – conclude Magri -. Questa era una precisazione secondo me necessaria: non tutte le cause riguardanti la giustizia climatica devono necessariamente dare ragione a chi le intenta sulla base del fatto che esiste il diritto al clima. 

Il diritto al clima esiste, come confermano, su due piani diversi, uno nazionale e uno internazionale, le due pronunce della Corte suprema e della Cig, rispettivamente. 

Chiarito questo, ogni singolo contenzioso climatico deve essere poi valutato nel merito da un giudice per poter dire chi ha ragione e chi ha torto.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *