DOSSIER ALLUVIONI CATASTROFI E POLITICHE TERRITORIALI L’emergenza ambientale è ormai strutturale e ha raggiunto una rilevanza politica, sociale, economica e culturale decisiva e non più rinviabile Nasce il centro interateneo sulle catastrofi

DOSSIER ALLUVIONI CATASTROFI E POLITICHE TERRITORIALI L’emergenza ambientale è ormai strutturale e ha raggiunto una rilevanza politica, sociale, economica e culturale decisiva e non più rinviabile

Nasce il centro interateneo sulle catastrofi

A distanza di due anni dall’alluvione dell’Emilia-Romagna l’analisi delle catastrofi e dei suoi impatti sul territorio, sociali, economici e politici presenta un’occasione importante per definire il quadro dei possibili mutamenti in ottica prevenzione ex ante e intervento ex post.

In un contesto estremamente fragile entro cui il consumo di suolo ha raggiunto, secondo il rapporto ISPRA, un limite assai significativo, gli eventi catastrofici quali effetti del cambiamento climatico assumono un carattere di “quasi” normalità. 

Il caso emiliano-romagnolo è solo un esempio, per quanto paradigmatico, dell’eccezionalità meteorologica che amplifica l’eccezionalità degli effetti sulle comunità e sui territori. 

Altri contesti italiani dal nord al sud (la Toscana, la Liguria, la Sicilia) così come il recente disastro valenciano, evidenziano la coniugazione tra crisi ecologica e debolezza delle politiche dirette a mitigare gli eventi ad essa connessa. 

In tale quadro emergenziale, la questione assume sempre di più una rilevanza politica, sociale, economica e culturale decisiva e non più rinviabile. 

La radicale trasformazione del clima richiede radicale responsabilità di governo del territorio 

Al tradizionale dissesto idrologico del paese si è accompagnato nel tempo il progressivo aumento del cambiamento climatico, il quale aggrava la situazione già ampiamente indebolita da decenni di incuria del paesaggio, di mancati interventi e da politiche urbanistiche dissennate. 

Qui, sarebbe necessario avanzare la proposta di non utilizzare più il temine climate change (cambio climatico) ma efficacemente climate changed (clima cambiato), visti i più recenti dati disponibili secondo cui la temperatura media globale degli ultimi 12 mesi (marzo 2023-febbraio 2024) è la più alta mai registrata e ha superato il limite di 1.5° dell’accordo di Parigi (Osservatorio climatico dell’UE Copernicus e del CNR-ISAC, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima). 

Tornando al tema, è del tutto evidente che a fronte di un orizzonte contrassegnato dal prodursi e riprodursi di condizione meteorologiche estreme, in cui si alternano periodi di siccità a improvvise e intense piogge, non vi sono alternative a cambiare il passo verso una radicale trasformazione della situazione e un’altrettanta radicale responsabilità di governo in tutti i diversi livelli di potere. 

Ne consegue quanto sia importante la questione dei possibili interventi dei governi locali e della cornice di governo nazionale che impone una riflessione attenta e approfondita del “se” e del “come” la politica promuova e implementi politiche in grado di prevenire e/o contrastare il rischio e l’esito catastrofico. 

Qui si aprono tutta una serie di domande sociologicamente rilevanti per comprendere la cornice amministrativa entro cui si determinano i possibili pattern di azione pubblica per la prevenzione e l’eventuale successivo intervento: quale consapevolezza vi è tra le amministrazioni del mutamento in corso? Quali sono le policy adottate in quelle aree maggiormente colpite? Vi è stata un’istituzionalizzazione di procedure adeguate all’attuale situazione e condizione di fragilità? Vi sono le competenze adeguate e quali sono i rapporti con le agenzie la cui mission è di valutare i rischi ambientali? Qual è il rapporto con i saperi scientifici e il coinvolgimento degli esperti nelle politiche?

Le eventuali risposte a tali quesiti riflettono la complessità del problema e la sua trattabilità all’interno delle dinamiche socio-politiche, socio-economiche e propriamente di sviluppo socio-territoriale nella sua articolazione nei diversi contesti di riferimento. 

La transizione ecologica stenta a divenire patrimonio collettivo, anche nelle università, nonostante gli impegni dell’UE 

Appare evidente che la transizione ecologica quale fattore imprescindibile per l’incerto futuro del pianeta, delle nostre città stenti ancora a divenire patrimonio collettivo a dispetto degli intenti dell’Unione Europea e delle azioni implementate. 

Vi è la stringente necessità di analizzare in profondità quei rapporti citati nelle domande poste poiché non è ipotizzabile immaginare soluzioni senza aver compreso in pieno i limiti e le potenzialità di chi è chiamato a mutare il segno negativo dell’attuale situazione che mette a repentaglio intere comunità locali. 

Oltre a questo impegnativo compito, nell’ ipotizzare una strategia seria si dovrà mettere insieme una serie di saperi e conoscenze, le quali sovente si parlano poco e male.

Scienze sociali, scienze fisiche sono chiamate a dialogare in maniera strutturata al fine di rendere effettivamente operativa qualsiasi azione di prevenzione e/o di intervento post evento catastrofico. 

Nelle università, italiane siamo ancora lontani da questa ricomposizione delle scienze per quanto sia ineludibile per fronteggiare le problematiche in essere. 

Inoltre, come la ricerca che abbiamo condotto tra gli studenti dell’Ateneo ferrarese sulla percezione del cambiamento climatico ha enfatizzato, vi è penuria di corsi specifici sull’educazione ambientale, ecologia e cambiamento climatico. 

Un altro punto decisivo è il cosiddetto sapere profano, ovvero di chi vive, abita quei luoghi minacciati. Non è certo un caso che nel rapporto dell’IPCC del 2023 si sia dato ampio spazio al sapere indigeno quale strumento di mitigazione e adattamento al “clima cambiato”.

Sicuramente un passo in avanti nel riconoscimento, da un lato, che la conoscenza situata del rapporto uomo-natura sia un fattore da tenere in conto, dall’altro che sono proprio le popolazioni indigene razzialmente definite che, sottoposte a una aggressiva politica estrattivista, sono le prime a dover soffrire degli eventi catastrofici ad essa connessa. 

Un ulteriore passaggio, in parte già accennato e che richiama quanto appena discusso, si deve anche riflettere sul ruolo dei governi locali in merito alla diffusione e socializzazione di informazioni, conoscenze sui rischi ambientali e il clima cambiato a cui si associa la configurazione, o meno, di processi partecipativi diretti a tracciare le politiche territoriali.

Su questa linea di riflessione è opportuno valutare come, per fare un esempio tra i tanti possibili, il sapere e la pratica urbanistica si situa in tale dialettica “politica” e se quale esito di ciò sia in grado di delineare azioni e interventi che limiti la logica meramente economicista e/o di consumo di suolo alimentando un reale public engagement

Sulla base delle analisi sulle dimensioni politico-amministrative una ulteriore riflessione sarà svolta sull’idea della cosiddetta “pedagogia della catastrofe” la quale raffigura una dimensione sociologicamente rilevante su diversi piani. 

Nello specifico si evidenzia quanto l’evento catastrofico sia in grado di ridefinire l’agency politica dei gruppi e dell’individuo non solo entro la mobilitazione più o meno organizzata della ricostruzione, ma di riconoscere la natura antropogenica sulla dinamica del mutamento climatico in atto. 

Problemi e conflitti della comunicazione del rischio

Ne conseguono due aspetti sui quali è necessaria una riflessione. In prima battuta, appare evidente che le cause dell’evento catastrofico diventano un “campo di battaglia” intorno al quale emergono discorsi e retoriche contro l’ideologia ecologista valutata come complice del disastro ambientale poiché indebolisce i saperi tradizionali locali che “da sempre” hanno permesso di sopravvivere in contesti di criticità. 

In questo caso non si tratta di una presenza attiva di negazionisti o cospirazionisti del clima, ma di un pensiero e un immaginario sulla natura stratificato e socializzato che non coincide con le istanze ecologiste. 

Qui si apre tutta una serie di questioni tra una visione astratta del “clima” nei termini di scientificità e di dati e una visione concreta in cui si delinea la praticità del tempo, ovvero la relazione localizzata e ancestrale tra società ed eco-sistema.

In seconda battuta, in determinati casi si riproduce una sorta di “populismo ambientale” per cui il sistema politico e l’ambientalismo diventano i colpevoli su cui scaricare la responsabilità delle catastrofi senza alcuna valutazione dei propri comportamenti e atteggiamenti nei confronti della criticità ecologica.

Rispetto a quanto asserito in precedenza sull’integrazione dei saperi profani e locali, tale nodo problematico risulta decisivo e chiama in causa ciò che è definito comunicazione del rischio.

Per molti aspetti, l’impostazione di fondo di come comunicare il potenziale rischio risente di molti limiti assai bene denunciati dal classico testo “Disastri: la responsabilità dell’uomo nelle catastrofi” di Turner e Pidgeon nel lontano 1987. 

Quello che suona paradossale è che a distanza di decenni questi stessi limiti rimangono inalterati. Ad esempio, una vasta e articolata letteratura sociologica ha mostrato quanto le disuguaglianze socio-economiche siano determinanti nella ricezione delle comunicazioni, oppure come il più delle volta il coinvolgimento delle popolazioni avviene sulla base di una selezione tra chi ha già il capitale culturale e il capitale sociale in grado di ricevere, elaborare informazioni e attivarsi di conseguenza. L’uragano Katrina a New Orleans dell’agosto del 2005 ha evidenziato un ulteriore fattore: se le componenti più deboli, etnicamente differenziati e segregate nelle zone ad alto rischio, cosa serve comunicare visto che le condizioni non permettono di modificare lo status quo? 

Il problema di chi affronta questa importante tematica è che utilizza ancora schemi di pensiero e di pratiche talvolta prive di ancoraggio nel sociale e le fratture che lo attraversano. 

Siamo convinti del fatto che è imprescindibile analizzare la qualità della comunicazione scientifica rispetto alle istanze del cambiamento climatico nelle sue declinazioni di prevenzione e di ragionevoli e comprensibili spiegazioni del post- evento. Tuttavia, siamo anche convinti che senza una revisione dei rapporti tra istituzioni pubbliche, saperi diffusi, comunità e conoscenze tale indirizzo rimanga nell’alveo delle buone intenzioni e non modifichi nulla nella sostanza della vita reale, soprattutto di chi avrebbe davvero bisogno di essere informato e sostenuto. 

Del resto, la scienza lo ha compreso da tempo, senza un cambio del sistema economico e produttivo, senza un mutamento dal concetto di crescita al concetto di progresso, non è pensabile ridurre incertezze, rischi e catastrofi. 

Come alcuni autori hanno sottolineato, l’avvento dell’intelligenza artificiale darà sicuramente un contributo a prevenire e a supportare politiche ambientali mirate ed efficaci, ma allo stesso tempo il divario tra chi possiede il know-how e le risorse per intervenire e chi ne è sprovvisto sarà sempre più grande. 

Fa davvero sorridere, se non piangere, le analisi entusiastiche sull’AI che riducono tutto a mere questioni di eticità, quando il cambiamento climatico e i suoi impatti sono basati su effettive e strutturali disuguaglianze. 

Un centro interateneo sulle catastrofi

Infine, in conclusione, una breve riflessione sul seminario nazionale svoltosi il 7 maggio a Ferrara che ha visto la partecipazione di esperti provenienti da differenti discipline e da differenti ambiti di lavoro, accademico e istituzionale. 

Tra i diversi obiettivi, vi è quello di creare un centro interateneo sulle catastrofi a cui hanno già aderito gli atenei di Torino e Padova. 

L’idea è avviare un percorso che alimenti relazioni, dialoghi tra distinti saperi, discussioni pubbliche, seminari, corsi di laurea intesi a diffondere e rafforzare le competenze e le capacità individuali e collettive di divenire strumento di democrazia ecologica. 

Riteniamo che non sia giustificabile l’assenza di un luogo, di uno spazio di questo genere messi di fronte a un destino, in gran parte, già segnato.

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