DOSSIER Dopo COP26  Per i Paesi è tempo di giustizia climatica Quelli poveri pagano un conto pesantissimo a causa delle nazioni ricche che inquinano

DOSSIER Dopo COP26 Per i Paesi è tempo di giustizia climatica

Quelli poveri pagano un conto pesantissimo a causa delle nazioni ricche che inquinano

Giustizia climatica significa molte cose, ma alla base c’è il riconoscimento che i Paesi che sono colpiti in modo sproporzionato dal cambiamento climatico non sono quelli maggiormente responsabili dell’aumento delle emissioni. 

Giustizia climatica è un concetto che lega gli effetti del cambiamento climatico alla giustizia ambientale e sociale. La prima volta che venne utilizzato nel dibattito internazionale, qualificandolo come questione di diritti collegati ai principi di equità e giustizia, è stato in occasione della Sesta Conferenza delle parti dell’Onu sul cambiamento climatico (COP6) del 2000.

Come afferma Ruben David in un articolo pubblicato sul sito dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): “Essendo il clima un bene pubblico globale, gli effetti dannosi provocati dall’aumento delle emissioni ricadono su tutti i Paesi e tutti i popoli indipendentemente da chi ne sia più responsabile. Di fatto, è facile notare che non esiste alcuna corrispondenza tra chi maggiormente emette e chi maggiormente soffre le conseguenze di quelle emissioni.” 

In un rapporto pubblicato prima della COP26 di novembre scorso a Glasgow, i ricercatori del Center for Science and Environment (CSE) di Nuova Delhi hanno affermato che i Paesi a più alto reddito sono stati responsabili di due terzi delle emissioni di gas serra tra il 1990 e il 2019.  

Sono però i Paesi a basso reddito dell’Africa sub-sahariana, del Sudest asiatico, dell’America centrale e del sud quelli più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, anche a causa delle deboli strutture sociali, politiche, economiche e istituzionali di quelle società.

Il Climate Change Vulnerability Index valuta la vulnerabilità delle popolazioni umane agli eventi climatici estremi e ai cambiamenti climatici nei prossimi 30 anni (©Verisk Maplecroft)

Come nel 2019 il Mozambico, uno dei Paesi più poveri del mondo, è stato devastato da due cicloni, i più violenti mai registrati in Africa, che hanno causato centinaia di morti e milioni di persone sfollate e bisognose di aiuti umanitari. 

L’Africa inquina pochissimo ma subisce danni gravissimi 

In termini di giustizia distributiva, l’intero continente africano è responsabile solo di un 3% delle emissioni cumulative a partire dalla rivoluzione industriale, ma gli effetti del cambiamento climatico influenzano profondamente i territori e i popoli.

La distribuzione delle emissioni cumulate nel mondo è mostrata nella mappa ad albero. Le mappe ad albero vengono utilizzate per confrontare entità (come paesi o regioni) in relazione ad altre e rispetto al totale. Qui i paesi sono presentati come rettangoli e colorati per regione. La dimensione di ciascun rettangolo corrisponde alla somma delle emissioni di CO2 di un paese tra il 1751 e il 2017. Insieme, tutti i rettangoli rappresentano il totale globale (©Our world in Data)

Un report pubblicato dalla World Meterological Association (WMO) lo scorso ottobre, afferma che in Africa gli indicatori climatici per il 2020 sono stati caratterizzati da un continuo aumento delle temperature, accelerazione dell’innalzamento del livello del mare, condizioni meteorologiche e eventi climatici estremi come inondazioni, frane e siccità. 

Il cambiamento climatico ha contribuito all’aumento dell’insicurezza alimentare, della povertà e delle migrazioni di massa.

Non solo disastri ambientali ma anche ingiustizie sociali  

Il cambiamento climatico non rappresenta solo un problema ambientale, ma interagisce con i sistemi sociali, i privilegi e le ingiustizie strutturali, e colpisce persone di classi diverse, razza, genere, geografia e generazione in modo diseguale. 

Le soluzioni climatiche proposte dai sostenitori della giustizia climatica mirano ad affrontare le ingiustizie sistemiche di vecchia data perché riconoscono che una minoranza di Paesi e industrie sono la causa principale mentre gli effetti e i costi devono essere pagati dalla maggioranza più povera.

“Il problema della giustizia climatica – afferma Romeo Farinella, docente di Unife e direttore del Centro di Ateneo per la cooperazione allo sviluppo internazionale – è un problema di diritti che riguarda tutti, ma le colpe non sono distribuite tra tutti nella stessa misura. I Paesi industrializzati hanno un ruolo che altri non hanno.”

“Ritengo – continua Farinella – che non possiamo parlare delle prospettive del Mondo in termini di cambiamenti climatici senza porci il problema dei modelli di sviluppo che vogliamo perseguire, dei diritti umani e dell’etica perché sono aspetti collegati.” 

Nei Paesi occidentali, assistiamo oggi a un dibattito molto più orientato alla ricerca finalizzata a prestazioni tecnologiche che siano in grado di mantenere i modelli di vita esistenti, senza però mettere in discussione il modello di sviluppo. E questo genererà inevitabilmente più ingiustizia come quella a cui stiamo assistendo dove alla crisi climatica, ambientale si aggiunge quella pandemica.”

Il tema dei diritti della giustizia delle future generazioni è centrale nelle rivendicazioni di giustizia climatica come abbiamo visto negli ultimi anni con i movimenti di attivismo nati dal basso perché il benessere delle generazioni future è a rischio a causa dei nostri comportamenti attuali.

Contenziosi climatici contro Stati e imprese

Un ulteriore elemento della giustizia climatica è quello che riguarda i contenziosi climatici o Climate litigations, azioni legali vere e proprie promosse dalla società civile per costringere Stati e imprese a rispondere delle azioni climalteranti.

“La finestra per rimanere al di sotto dei 1,5° C di aumento della temperatura si sta chiudendo”, ha annunciato il presidente della COP26 Alok Sharma. Anche mantenendo questo livello, sottolinea il presidente Sharma, “700 milioni di persone in più in tutto il Mondo dovranno affrontare ondate di caldo estremo, con un aumento di 2°C questo numero salirebbe a 2,2 miliardi di persone.”

Con l’aumento della temperatura del nostro Pianeta, per molti Paesi la lotta per fermare il cambiamento climatico è davvero una questione di vita o di morte. Ma come dovrebbe essere fermato, e chi dovrebbe intraprendere quale azione per fermarlo, è una questione non risolta, ancora al centro del dibattito sulla giustizia climatica internazionale.

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