L’ansia della Generazione Z, la prima sempre on line, non dipende dalle tecnologie. È risultato della crisi dei modelli educativi e dell’equilibrio fra individuale e collettivo L’analisi di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta docente dell’Università Bicocca

L’ansia della Generazione Z, la prima sempre on line, non dipende dalle tecnologie. È risultato della crisi dei modelli educativi e dell’equilibrio fra individuale e collettivo

L’analisi di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta docente dell’Università Bicocca

Definire semplicemente “nativi digitali” i giovani cresciuti dietro gli schermi dei device elettronici, non è più né sufficiente né corretto. La Generazione Z è una vera e propria “generazione online”, sempre connessa, per la quale le esperienze virtuali e reali diventano un’unica cosa con il rischio di diventare la Generazione A (ansia, aspettative, approvazione, autostima).

La minaccia della loro autostima, però, non deriva solo dall’esaltazione della straordinarietà delle vite degli altri che si vede sui social: “non incolpiamo i media per questo, il vero problema è da far risalire alla mancanza di modelli educativi, alla caduta della collettività” afferma ad Agenda17 Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente del Dipartimento di psicologia dell’Università Bicocca e di scienze della formazione della Cattolica di Milano, di cui uscirà il 25 marzo il libro “Chiamami adulto. Come stare in relazione con gli adolescenti”

Non diamo la colpa ai social per la mancanza di autostima

L’insoddisfazione della Generazione Z non è legata esclusivamente alla forte presenza nella loro vita dei media digitali. La TV, internet, i social e ora l’Intelligenza artificiale (IA) stanno solo amplificando un problema che c’era già, e che la società non sta facendo altro che semplificare, parlando di etica familiare invece che di contesti generali, come quello lavorativo. 

Immagine generata con Copilot (Bianca Antonica)

“In ambito lavorativo, ad esempio, l’ansia da prestazione, tipica delle società narcisistiche  che può essere provocata ad esempio dall’inizio di un nuovo impiego, diventa  – afferma Lancini – un’ansia  più generalizzata, un’angoscia più profonda, radicata già dall’infanzia. 

La GenZ di oggi è una generazione di bambini cresciuti senza poter esprimere le proprie emozioni, soprattutto quelle ‘scomode’ per gli adulti, di cui non si parlava né a casa né a scuola, come la tristezza, la rabbia, la paura. 

Questo ha provocato – sottolinea lo psicologo – un vuoto identitario, e la mancanza di aspettative future ha dato vita a una nuova tipologia di ansia a cui Walt Disney, più che molti psicologi ed educatori, è riuscita a dare una faccia.”  

Un equilibrio instabile insidiato da individualismo e solitudine

La società in cui viviamo non si prende cura dei più giovani, non ascolta i loro bisogni e, anzi, li accusa di essere viziati, di cambiare lavoro spesso perché abituati ad avere troppo. 

Secondo  Lancini, questi giovani cercano ambienti di lavoro in cui la responsabilizzazione e il coinvolgimento in progetti stimolanti sono preferiti a una condizione di sottomissione in azienda, da cui rifuggono. Il problema è che più che lottare per realizzare i propri obiettivi, i giovani spesso si chiudono in loro stessi. 

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente del Dipartimento di psicologia dell’Università Bicocca e di scienze della formazione della Cattolica di Milano (©unimib)

Sono alla continua ricerca di una life balance soddisfacente, almeno agli occhi degli altri, ma è un equilibrio instabile che non può essere la soluzione. 

“È piuttosto un’illusione di apparente tranquillità individuale mentre il Pianeta sta andando a rotoli – afferma Lancini -. Non essere abituati a esprimere le proprie emozioni e le proprie idee ha infatti disabituato i giovani adulti di oggi alla condivisione, ai momenti sociali e ai movimenti sociali e li ha condotti alla solitudine. 

E con l’individualismo non si può andare troppo in là da sé, poiché dall’individualismo nascono progetti che non vanno a termine, i giovani se ne vanno verso altri Paesi quando bisognerebbe restare qui e combattere per prendersi questo futuro, per come lo vogliamo noi.

Non biasimo – conclude – chi in questa società pensa a sé stesso. È più che comprensibile. La mia non è un’incitazione all’attivismo. Anche perché la scelta di  pensare solo a se stessi come atto di libertà deve fare i conti poi con il fatto se in questa condizione uno ci stia bene o no. Non voler vivere una relazione di coppia, ad esempio, è la conquista di autonomia o il terrore di avere legami? 

Contro questo generale spaesamento e la perdita dei punti di riferimento penso che la soluzione stia nelle relazioni con gli altri, che abbassa il fattore di rischio solitudine e ci riabitua a interfacciarci con l’altro, ad esprimere anche le emozioni più negative.”

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L’analisi di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta docente dell’Università Bicocca

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