“Siamo a un punto di svolta. Il cambiamento climatico, la tecnologia, e i conflitti stanno ridisegnando il nostro mondo, ma l’educazione, una soluzione chiave per queste sfide, è pericolosamente sottofinanziata.” Si apre così l’appello della Global Partnership for Education per “Answer the call”, una campagna lanciata per fare luce sulla crisi dell’istruzione, soprattutto nei Paesi a basso reddito (ma non solo). Le priorità di finanziamenti e donazioni su altri fronti, infatti, stanno generando come risultato “una generazione impreparata ad affrontare le sfide presenti e future.”
Obiettivo della campagna è mobilitare la comunità internazionale e i decisori politici affinché investano urgentemente in un’istruzione di qualità per tutti. Nel 2024, 251 milioni di bambini sono stati esclusi da ogni percorso educativo e il 70% di quelli di dieci anni nei Paesi a basso reddito non è in grado di leggere e capire una semplice storia.

Nonostante dall’adozione dell’Agenda2030 nel 2015 si siano avuti 110 milioni di bambini, bambine e giovani in più nell’accesso all’istruzione e 40 milioni di ragazze e ragazzi in più abbiano completato la scuola secondaria, il quadro resta drammatico perché i bilanci nazionali per l’istruzione sono sotto pressione e il sostegno internazionale si è ridotto per la priorità data ad altri settori.
Mancano investimenti mirati, soprattutto nei Paesi a basso reddito (ma anche in Italia)
La situazione più critica è nei Paesi a basso reddito, dove tre giovani in età scolare su dieci (33%) non accedono all’istruzione, rispetto al 3% dei Paesi ricchi. Alla base c’è la mancanza di investimenti: il 40% dei Governi di questi Paesi destina meno del 15% della spesa pubblica e meno del 4% del Prodotto interno lordo (Pil) all’istruzione. In particolare, è l’Africa subsahariana a trovarsi nella situazione più difficile: nonostante si preveda che entro il 2050 ospiterà il 40% dei giovani sotto i diciotto anni, conta oggi oltre la metà di bambini e adolescenti non scolarizzati e, nel 2021, rappresentava solo il 3% della spesa globale per l’istruzione.
Secondo il report Education Finance Watch 2024 della Banca mondiale e dell’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), negli ultimi dieci anni la spesa totale per l’educazione è costantemente aumentata, tuttavia non è abbastanza perché non accompagnata da un’adeguata gestione delle risorse. Nei Paesi più poveri, ad esempio, anche laddove si sono raggiunti gli obiettivi di spesa, i livelli di finanziamento non garantiscono un adeguato apprendimento degli studenti.
Inoltre, mentre l’importo assoluto degli aiuti all’istruzione è elevato, la sua percentuale rispetto al totale degli aiuti allo sviluppo è diminuita dal 9.3% del 2019 al 7.6% del 2022 poiché le priorità dei donatori si sono spostate verso l’energia, il sostegno all’Ucraina e l’assistenza sanitaria in risposta alla pandemia.

Lo stesso discorso vale però anche nei Paesi a reddito elevato. La campagna lavora per il diritto all’istruzione anche in Italia, dove Oxfam rileva in particolare la pericolosità della decisione di non rinnovare il Fondo per il contrasto alla povertà educativa a fronte di 1,29 milioni di minori in povertà assoluta. “Non rifinanziare il Fondo per il contrasto alla povertà educativa – scrive – senza aver provveduto prima a dispiegare adeguate ed efficaci soluzioni alternative per sostenere concretamente bambini, bambine e ragazzi insieme alle loro famiglie rischia di mettere in difficoltà le condizioni di vita e di crescita delle nuove generazioni e di non contrastare le gravi disuguaglianze territoriali che oggi colpiscono l’Italia.”
L’incidenza delle guerre…
Il Fondo per l’infanzia (United Nations International Emergency Children’s Fund, UNICEF), invece, sottolinea la criticità della situazione nella regione del Medio oriente e Nord Africa: circa 30 milioni di bambini sono fuori dalla scuola e su dodici Paesi almeno un bambino su tre non frequenta. Negli ultimi cinquant’anni l’accesso è migliorato, specie per le ragazze, ma le recenti crisi stanno provocando una seria inversione di tendenza.
A Gaza, ad esempio, sono 645mila i bambini esclusi dal sistema scolastico e almeno l’84% delle scuole necessita di una ricostruzione completa o comunque significativa. Lo stesso vale per il Sudan, dove il conflitto costringe 16,5 milioni di bambini a non poter frequentare.
Nei Paesi colpiti da guerre, l’importanza di un’istruzione inclusiva e di qualità è anche maggiore perché fornisce ai giovani la stabilità necessaria per affrontare il trauma subito e le conoscenze e competenze per ricostruire il loro Paese. Per tutti i bambini l’interruzione dell’istruzione genera incertezza, ansia e perdita di apprendimento e qui essi sono inoltre maggiormente esposti al rischio di sfruttamento, lavoro minorile, matrimonio precoce o altre forme di abuso.
…e del cambiamento climatico
Infine, ad aggravare ulteriormente la situazione contribuiscono gli eventi climatici estremi, che hanno causato l’interruzione scolastica per almeno 242milioni di bambini in ottantacinque Paesi nel 2024. L’evento più impattante sono state le ondate di calore, con 118 milioni di studenti colpiti solo ad aprile in particolare in Bangladesh, nelle Filippine e in Cambogia. La zona più colpita è infatti l’Asia meridionale, dove 128 milioni di studenti hanno dovuto interrompere la scuola, ma anche in Asia orientale sono stati coinvolti 50 milioni di bambini.
Di nuovo, la grande maggioranza (quasi il 74%) degli studenti coinvolti si trova in Paesi a basso e medio reddito, ma anche in Italia le inondazioni di settembre hanno interrotto le lezioni per oltre 900mila studenti, mentre la Spagna ha sospeso le lezioni per 13mila bambini in ottobre.
Nel complesso, nel 2024 il clima ha tenuto fuori dalle aule uno studente su sette, minacciandone la salute e incidendo sulla formazione a lungo termine. In contesti fragili, poi, la chiusura prolungata delle scuole rende meno probabile il ritorno in classe, soprattutto per le ragazze che sono più esposte a rischi di abbandono scolastico e violenza di genere durante e dopo i disastri.
“A livello globale – scrive Unicef – i sistemi educativi stanno già deludendo milioni di bambini: la mancanza di insegnanti qualificati, le classe sovraffollate e le diffuse differenze nella qualità e nell’accesso all’istruzione, ad esempio, hanno da tempo creato una crisi dell’apprendimento che i rischi climatici stanno ora esacerbando.”
E per il futuro la situazione non promette bene: tra il 2050 e il 2059 prevede che le crisi climatiche diventeranno più diffuse, con un numero di bambini esposti a ondate di calore estreme otto volte superiore e a inondazioni fluviali tre volte superiore rispetto agli anni Duemila.