Riprendono i negoziati per la Politica agricola comune. Tutela del clima, biodiversità e predominio delle grandi aziende al centro del conflitto

Riprendono i negoziati per la Politica agricola comune. Tutela del clima, biodiversità e predominio delle grandi aziende al centro del conflitto

La Politica agricola comune (Pac), una delle politiche fondamentali dell’Unione, in grado di muovere 350 miliardi di euro e innescare mutamenti profondi, non decolla. Dopo il fallimento dell’ultimo vertice a Bruxelles a fine maggio, ieri i negoziati sono stati riaperti. È l’ultima possibilità per trovare un accordo entro il semestre di presidenza portoghese dell’Unione europea, prima del passaggio alla Slovenia che avverrà a inizio luglio.

La Pac, la sola vera politica comunitaria, continua a dividere, e associazioni e sindacati denunciano da mesi un sistema di sussidi poco equo insieme a una scarsa attenzione ai temi ambientali e sociali. Le misure contenute nella Pac hanno ricadute su scala globale e locale, che vanno dalle emissioni complessive dell’Unione europea alla sicurezza dei lavoratori agricoli. L’accordo è molto atteso, anche perché una volta che la riforma della Pac sarà approvata diventerà urgente una sua traduzione all’interno dei Recovery Plan nazionali, in corso di definizione.

L’ultimo negoziato si era bloccato per l’intervento delle grandi organizzazioni agricole, tra cui la lobby Copa-Cogeca, contraria a ulteriori regolamentazioni in materia ambientale. Il vicepresidente di Copa-Cogeca, Tim Cullinan, proprio nei giorni del negoziato di maggio aveva incontrato Maria do Céu Antunes, presidente di turno del Consiglio. Il tavolo era poi saltato su due temi: la percentuale di risorse da destinare alle azioni per la tutela del clima e della biodiversità e la ripartizione dei pagamenti diretti, che in questo momento vengono distribuiti in base alle superfici coltivate.

I continui rinvii accendono ampi conflitti con la società civile, i sindacati e le associazioni. Secondo molti osservatori e attivisti, infatti, l’attuale riforma della Pac non rispetta né le condizioni poste dal Green Deal né lo spirito degli Obiettivi Onu  per lo Sviluppo sostenibile.

Pochi fondi alle pratiche ecologiche: il Green Deal vacilla

“La PAC ha prima di tutto una funzione produttiva, infatti il suo compito primario è assicurare la produzione agroalimentare europea, adeguata in termini di quantità oltre che di qualità – dichiara ad Agenda 17 Luigi Russo, docente di Diritto agrario dell’Università di Ferrara. Occorre così trovare un giusto compromesso tra esigenze entrambe insopprimibili: da un lato, avere una agricoltura produttiva per assicurare le esigenze di food security e, dall’altro, far sì che il settore produttivo agricolo non impatti troppo gravosamente sull’ambiente, non potendo sottrarsi a una sua generalizzata sostenibilità.”

Luigi Russo, docente di Diritto agrario dell’Università di Ferrara (© Rotary)

Costruire questo equilibrio però non è semplice. “È ora di una riforma della Pac seria e ambiziosa, altrimenti l’unica alternativa è #WithdrawtheCAP”, ha dichiarato ad Agenda17 Federica Luoni, della Lega italiana protezione uccelli (Lipu) attiva nella coalizione Cambiamo agricoltura. La coalizione utilizza dallo scorso anno l’hashtag #WithdrawtheCAP e parla della Pac come di una grande ecotruffa.

Federica Luoni, naturalista Lipu impegnata con Cambiamo Agricoltura (© LinkedIn)

Lo scopo della Coalizione è attirare l’attenzione sulle contraddizioni esistenti tra la Pac e i buoni propositi dell’Unione europea in campo ambientale. “La Politica agricola comune – afferma Luoni – è un tassello fondamentale per poter raggiungere gli obiettivi previsti dal Green Deal europeo con le Strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030. Il nuovo Trilogo (il negoziato tra rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione europei) è l’ultima occasione per fare in modo che la programmazione post 2022 non si trasformi in un’ennesima conferma dello status quo.” Il primo tema su cui gli ultimi negoziati si erano bloccati riguarda proprio gli ecoschemi, i pagamenti diretti vincolati all’attuazione di pratiche ecologiche da parte degli agricoltori. Non c’è accordo infatti sulla percentuale dei fondi destinati a questa misura, con Parlamento e Commissione che spingono verso il 30%, il Consiglio Agrifish e alcuni Stati membri che giocano al ribasso proponendo un’aliquota al di sotto del 20%.

La Pac muove 350 miliardi di euro ed è una delle politiche più importanti dell’Unione europea (© Pixabay)

Per il momento, a nulla sono serviti i tentativi di mediazione della Commissione verso gli Stati, volti al raggiungimento della quota target del 30% entro il 2027. “Non ci sono dubbi sulle responsabilità del Consiglio UE per questo fallimento”, hanno commentato le associazioni della coalizione Cambiamo agricoltura, denunciando il condizionamento delle corporazioni sui ministri dell’agricoltura.

Introdurre il miglioramento delle condizioni lavorative fra i criteri di bilancio

Ma l’attuale riforma della Pac non porta con sé solamente preoccupazioni per la salute della biodiversità: negli ultimi mesi un altro motivo di scontro è stato il sofferto inserimento della condizionalità sociale, che dovrà essere confermato dal negoziato in corso. Come spiegato dalle sezioni Emilia-Romagna di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, questo principio finora disatteso permetterebbe finalmente di “introdurre il lavoro e la sua tutela tra i criteri di condizionalità nella concessione degli aiuti comunitari alle aziende. In concreto ciò significa due cose: escludere dai pagamenti le aziende che violino le leggi sociali o non rispettino i contratti di lavoro; associare gli aiuti anche al mantenimento dell’occupazione, la creazione di nuovi posti di lavoro e l’investimento sul dialogo sociale.”

Le misure della Pac hanno anche forti impatti sociali (© Pixabay)

Per Russo, la condizionalità sociale avrebbe un grande impatto anche nel nostro Paese, soprattutto al Sud: “Le difficoltà del rispetto della disciplina lavoristica sembrano riguardare soprattutto le regioni del Sud, afflitte dal fenomeno del caporalato; nella regione Emilia-Romagna si verifica in casi sporadici collegati a periodi di picchi di richiesta di manodopera.”

Se l’inclusione della condizionalità sociale nella bozza accende qualche speranza, per quanto riguarda la ripartizione dei sussidi, la situazione rimane bloccata, ed è proprio questo infatti il secondo tema su cui i negoziati di maggio si sono arenati.

Ripartizione dei sussidi sbilanciata a favore delle grandi aziende

Da tempo viene evidenziato come i finanziamenti basati sugli ettari vadano a vantaggio delle grandi imprese e dell’allevamento intensivo, alimentando un accumulo sbilanciato di potere e risorse. Il disequilibrio è notevole: la vecchia Pac destinava l’80% dei fondi al 20% delle aziende, una proporzione che a quanto pare verrà mantenuta.

Fabrizio Garbarino, Presidente Ari (© LinkedIn)

I finanziamenti per ettaro, in altre parole, continuano a favorire il modello intensivo e industriale, lasciando indietro i piccoli agricoltori, che se sostenuti adeguatamente avrebbero invece la capacità e l’interesse di convertirsi a metodi ecologici.

“Si continua a dare soldi ai soliti noti, alle solite grandi aziende agricole, ai soliti agglomerati commerciali, a tutta una serie di realtà spesso molto opache anche a livello di gestione finanziaria” dichiara ad Agenda17 Fabrizio Garbarino, Presidente dell’Associazione rurale italiana (Ari), parte del Coordinamento europeo Via Campesina (Ecvc).

Ari lotta contro l’erosione dei diritti collettivi e la concentrazione delle aziende agricole e sostiene l’agricoltura contadina agroecologica. Il sistema di sussidi attuale, secondo Garbarini, favorisce invece chi possiede già grandi proprietà e blocca di fatto l’accesso alla terra da parte dei giovani.

Un paradosso verde

È così che nella discussione sulla Pac, dimensione economica, sociale e ambientale formano un unico nodo, stretto da un gioco di forze molto spesso invisibile ai cittadini. Il cerchio si chiude nelle parole di Garbarino: “La Pac è la sola vera politica comunitaria dell’Unione. Lo sconcerto per l’ennesimo rinvio è grande, la delusione fortissima. Speriamo che il Parlamento capisca che su alcune cose non è più possibile tergiversare. È necessario arrivare a riconoscere il contributo della piccola agricoltura, che a volte tecnicamente non è ancora la più pulita, ma che lo può diventare in pochissimo tempo.”

Secondo Ari, è proprio qui che una distribuzione più intelligente dei sussidi potrebbe portare a un vero cambiamento, soprattutto in un Paese come l’Italia dove l’agricoltura è innanzitutto di piccola scala. “L’agricoltura industriale non è più sostenibile – conclude Garbarino – e senza sussidi non potrebbe nemmeno stare in piedi. Da sola non è competitiva, non è resiliente, non può cambiare velocemente. La piccola agricoltura, invece, una volta messa nelle condizioni giuste, può riconvertirsi e può evolvere davvero.”

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