COP28. L’Africa, molto colpita dalla crisi climatica e poco risarcita, potrebbe puntare sui crediti di carbonio (2) Ma solamente fuori dal modello estrattivo  per finanziare  progetti come agroecologia e democrazia energetica, secondo Inyang Ntui, diplomatica nigeriana

COP28. L’Africa, molto colpita dalla crisi climatica e poco risarcita, potrebbe puntare sui crediti di carbonio (2)

Ma solamente fuori dal modello estrattivo per finanziare progetti come agroecologia e democrazia energetica, secondo Inyang Ntui, diplomatica nigeriana

In vista della prossima Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Conference of Parties, COP28), in programma a Dubai (Emirati arabi uniti) dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, per attirare più finanziamenti, i Paesi dell’Africa Climate Summit, tenutosi a Nairobi (Kenya) all’inizio di settembre, hanno sostenuto l’opportunità di sfruttare i serbatoi naturali di carbonio africani, ovvero le risorse che intrappolano l’anidride carbonica come foreste, savane e wetland (zone umide e palustri fra cui le foreste di mangrovie), per contribuire alla decarbonizzazione globale, facilitando il mercato dei crediti di carbonio nel continente. 

“Se attuati correttamente – afferma ad Agenda17 Aniebiet Inyang Ntui, diplomatica e professoressa all’Università di Calabar (Nigeria) – i crediti carbonici potrebbero offrire opportunità per le popolazioni locali da cui trarre beneficio: ad esempio, il sostegno alla conservazione delle foreste, alle pratiche agricole sostenibili e ai progetti di energia rinnovabile gestiti dalle comunità.” I sistemi agricoli sostenibili, come l’agroecologia, e di energia rinnovabile incentrata sulle persone, che portino alla sovranità alimentare ed energetica, sono al centro della African People’s Declaration, la proposta alternativa delle organizzazioni della società civile al termine del summit di Nairobi.

L’iniziativa “Soils, Food and Healthy Communities” in Malawi si basa sui principi dell’agroecologia (© soilandfood.org)

L’agroecologia consiste nella produzione e condivisione del cibo in modi che migliorano la salute dei suoli, la biodiversità e la nutrizione dei popoli locali. Energia rinnovabile incentrata sulle persone (o democrazia energetica) significa riconoscere il diritto delle comunità native a controllare le proprie risorse energetiche e a prendere decisioni su come l’energia è prodotta e distribuita. Entrambe le pratiche contribuiscono a creare comunità più resilienti, inclusive e sostenibili.
Un esempio di agroecologia è l’iniziativa “Soils, Food and Healthy Communities” in Malawi, basata sulla diversificazione delle colture e la costruzione di un habitat naturale per controllare gli agenti infestanti. Ci sono anche esempi di democrazia energetica, come racconta Ntui: “in Kenya, alcuni maasai stanno sviluppando un progetto di energia solare di proprietà della comunità che fornirà elettricità al loro villaggio. In Sudafrica, la comunità ekukhanyeni gestisce una società fondiaria comunitaria che comprende un parco eolico. In Nigeria, l’Agenzia per l’elettrificazione rurale sta lavorando con le comunità per sviluppare sistemi di energia rinnovabile indipendenti.”

Aniebiet Inyang Ntui, diplomatica e docente all’Università di Calabar in Nigeria (© Inyang Ntui)

Per promuovere queste iniziative e affrontare la crisi climatica, conclude Ntui, “dobbiamo ripensare completamente il nostro sistema di sviluppo e finanziario. Attualmente, il nostro sistema di sviluppo si basa sull’idea di una crescita economica infinita guidata dall’estrazione e dal consumo di combustibili fossili. Anche il sistema finanziario continua a sostenere imprese e progetti legati ai combustibili fossili, mentre rende difficile l’accesso ai finanziamenti per le energie rinnovabili e altri investimenti rispettosi dell’ambiente.”

È necessario abbandonare il modello estrattivo di sfruttamento di persone e risorse e passare a un nuovo paradigma di cura sostenibile e inclusiva. È necessario investire nelle energie rinnovabili e considerare i progetti di crediti carbonici, più regolati ed equi, solo come complementari finché la transizione non sarà completa e non come sostituti dell’eliminazione delle emissioni. Ed è necessario invertire il flusso finanziario netto globale, che vede più di due trilioni di dollari passare dal Sud del Mondo al Nord ogni anno, in un’ottica di giustizia climatica

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