Addio ai monti

Addio ai monti

Ormai è chiaro: la montagna come l’abbiamo conosciuta e frequentata per lungo tempo sta cambiando e cambierà sempre più. Il campanello d’allarme più forte è suonato all’inizio dell’estate scorsa con la tragedia della Marmolada, la “regina delle Dolomiti”,  patrimonio mondiale dell’Unesco.

Per tutta estate abbiamo documentato i cambiamenti che stanno avvenendo su tutti i fronti: dalla siccità che è arrivata a compromettere gli alpeggi ai boschi divorati dal bostrico. Correva l’ “Anno internazionale dello sviluppo sostenibile della montagna”, e abbiamo capito che è necessario ripensare tutto: la sicurezza, l’abitare, le relazioni umane e la cura dell’ecosistema.

Poi è venuto l’inverno. Un inverno con così poca neve come non si vedeva da anni – inscritto, soprattutto, in una tendenza che non ne fa un eccezione -, e tale da compromettere il modello della monocultura dello sci su cui si è puntato tutto per lo “sviluppo” della montagna.

È un disastro annunciato, come si dice sui giornali in questi casi con sciatta banalità per poi dedicarsi alle future buone intenzioni. Ma ecco, proprio qui sta il punto: se non vogliamo dire addio ai monti, se non vogliamo perdere il patrimonio di bellezza, e anche di risorse, che abbiamo ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti, dobbiamo costruire un futuro molto diverso da ciò che abbiamo fatto fino ad ora. Se pensiamo che la soluzione sia  “mettere in sicurezza” la montagna per evitare incidenti durante escursioni o scalate, se impegneremo ingenti risorse per accumulare quel po’ di acqua che resta per trasformarla in neve anche dove e quando neve non ci sarà più, falliremo. Le Olimpiadi di Milano-Cortina sono lì a indicare una prospettiva fallimentare: ingenti risorse finanziarie che non salveranno il modello economico in crisi e distruttivi interventi ambientali che incontrano l’ostilità delle popolazioni locali e di chi quelle montagne frequenta con amore.

La cura risolutiva sta tutta – ovviamente – nell’arrestare il prima possibile l’aumento delle temperature; ma anche i rimedi contingenti vanno affrontati con una strategia adeguata. Per fortuna  è possibile fare molto, e non si tratta solo di palliativi o di azioni di buona volontà individuale. Anzi, proprio la cura di questo straordinario patrimonio naturale può essere un esempio di tutta l’intelligenza innovativa, la cooperazione sociale, l’impegno istituzionale e la giusta allocazione delle risorse che sono indispensabili per la tutela e il “restauro” della Casa comune.

Un nuovo modello: creatività delle comunità locali e impegno di amministratori, politici e mondo economico

Di alcune cose – molto concrete e molto riproducibili – abbiamo cominciato a parlare: ad esempio la rete di mobilità dolce Alpine Pearls, tra Italia, Austria, Svizzera, Germania e Slovenia o le offerte turistiche alternative, con il supporto di associazioni come Legambiente nella Val Maira in provincia di Cuneo e la diversificazione dell’offerta turistica. 

In “Inverno liquido” Maurizio Dematteis ha documentato i tanti esempi di successo condotti con creatività e coraggio da varie comunità sparse lungo la Penisola. Il fulcro di queste esperienze sono proprio le comunità che ancora vivono quegli ambienti e che da sempre conoscono il senso del limite che la montagna impone.  La comunità va intesa come partecipazione allargata e condivisa, basata sul confronto e diffusione dei saperi e delle responsabilità, conscia del senso del limite, che  è la capacità di cogliere la finitezza delle risorse e la necessità di tutelarle adottando sistemi attenti all’ambiente. Dal canto loro,  Amministrazioni comunali e Comunità montane devono, e in alcuni casi già lo fanno, raccogliere questi input e tradurli in  scelte politiche e interventi amministrativi coerenti. I risultati cominciano a vedersi anche sul piano economico, come documenta l’Osservatorio italiano del turismo montano accreditato da Confindustria Federturismo, che segnala un aumento record di una nuova e solida comunità outdoor invernale, che, lontano dalle piste da sci  “dialoga con il territorio e attribuisce un grande valore al tema della sostenibilità ambientale”.

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