Eventi estremi: alluvioni e desertificazione insieme Paolo Ciavola di Unife: la crisi ambientale è complessa ma ha cause chiare, però si può intervenire anche con la partecipazione dei cittadini

Eventi estremi: alluvioni e desertificazione insieme

Paolo Ciavola di Unife: la crisi ambientale è complessa ma ha cause chiare, però si può intervenire anche con la partecipazione dei cittadini

Gli eventi meteorologici estremi associati a gravi inondazioni, dai forti nubifragi delle nostre latitudini alle violente tempeste tropicali, sono sempre più diffusi e frequenti. Limitiamoci a scorrere il calendario degli ultimi due mesi: a metà settembre, nelle Marche, le piogge torrenziali più intense degli ultimi dieci anni hanno portato all’inondazione di vaste porzioni di territorio, con tragiche conseguenze. Negli stessi giorni, il maltempo e le alluvioni colpivano anche la Spagna e il Portogallo.

A partire da fine settembre, il super tifone Noru, la tempesta tropicale Nalgae e una successione di altre perturbazioni hanno flagellato il Sudest asiatico, portando ad alluvioni devastanti nelle Filippine, in Indonesia, in Thailandia e in altri Paesi asiatici.

Lungo la costa atlantica degli Stati Uniti e nell’area caraibica, in settembre, gli uragani Fiona e Ian hanno causato ingenti danni per via dei fortissimi venti e, ancora una volta, delle inondazioni e colate di fango associate a questi eventi estremi. E ancora, in ottobre, la Nigeria è stata colpita dall’alluvione peggiore degli ultimi dieci anni, mentre le piogge torrenziali hanno inondato l’isola di Creta.

I Paesi del Sudest asiatico sono tra i più colpiti da tifoni e tempeste tropicali che causano gravi alluvioni (ⓒArek Socha/pixabay)

Per non parlare poi delle alluvioni in Pakistan di quest’estate, causate stavolta dalle piogge monsoniche. I monsoni ci sono sempre stati, ma quest’anno le precipitazioni hanno riversato sul terreno una quantità d’acqua tre volte superiore alla media degli ultimi trent’anni. I danni sono stati talmente gravi da muovere il Pakistan a chiedere un risarcimento, in un’ottica di giustizia climatica, in occasione della Conferenza delle parti (Conference of Parties, COP27), la Conferenza annuale delle Nazioni unite sul clima che si sta svolgendo in questi giorni in Egitto.

Piogge estreme causano inondazioni insieme a desertificazione

Il “bollettino meteo” potrebbe mantenere toni analoghi anche andando a ritroso nei mesi e negli ultimi anni. Che cosa sta succedendo allora da qualche tempo a questa parte? Come mai l’Italia, l’Europa e molte altre zone del Mondo sono colpite sempre più spesso da inondazioni di grave entità? E perché mai il Pakistan dovrebbe chiedere il risarcimento danni durante un Summit sui cambiamenti climatici?

È ormai evidente che le inondazioni sempre più gravi e frequenti, così come gli altri eventi estremi, dalle piogge torrenziali alle tempeste e alle ondate di calore, sono un chiaro segnale della crisi climatica in corso.

“Per orientarci nella complessità delle dinamiche meteorologiche e climatiche – afferma ad Agenda17 Paolo Ciavola, docente di Geografia fisica e dinamica costiera presso il Dipartimento di fisica e scienze della Terra dell’Università di Ferrara – ci viene in aiuto l’ultimo report del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC).

Facciamo mente locale sulle piogge, ad esempio. In linea generale, i dati mostrano che non sta affatto piovendo di più, anzi la siccità e le ondate di calore sono un problema critico in molte aree. Quello che sta cambiando a causa del riscaldamento globale è la distribuzione degli episodi nel corso dell’anno, con un aumento degli eventi estremi.

Paolo Ciavola, docente di Geografia fisica e dinamica costiera presso il Dipartimento di fisica e scienze della Terra dell’Università di Ferrara (©Paolo Ciavola)

Pensiamo all’Italia: se una volta una certa quantità d’acqua cadeva nel giro di alcuni mesi, ora accade sempre più spesso che la stessa mole d’acqua si riversi sul terreno in poche ore. Può sembrare un controsenso, ma se l’acqua arriva tutta in una volta rischia di produrre un effetto più negativo che benefico, per vari motivi.”

Le piogge estreme, infatti, quando arrivano sul terreno dopo una lunga siccità tendono a scorrere in superficie, perché il terreno secco è più impermeabile. Questo aumenta il rischio di allagamenti e porta alla rimozione del suolo, innescando a lungo termine un processo di desertificazione che inasprisce ulteriormente il problema. 

L’evento estremo fa aumentare di molto anche la probabilità che i fiumi esondino e che, in ambiente urbano, le strade e le pavimentazioni si allaghino perché entrano in crisi i sistemi di drenaggio, talvolta anche a causa della scarsa manutenzione.

“Se poi ci troviamo in prossimità della costa – sottolinea Ciavola – anche l’innalzamento del mare può fare la sua parte nelle inondazioni. Si pensa sempre all’innalzamento del livello marino su scala decennale o centenaria, ma nel contesto degli eventi estremi il fenomeno dell’acqua alta, pur essendo a corto termine, è più pericoloso per beni e persone. A causa della bassa pressione, infatti, il livello del mare si alza e a questo si somma la spinta dell’acqua verso terra da parte di vento e onde, con effetti potenzialmente devastanti.”

 I dati del passato confermano l’aumento di eventi estremi futuri 

Le piogge e i temporali, così come i cicloni e le tempeste tropicali, sono fenomeni meteorologici che fanno parte della normale dinamica atmosferica terrestre. Quello che sta aumentando di anno in anno – e che normale non è – sono gli eventi estremi, quelli che un tempo erano, appunto, estremamente rari: le piogge torrenziali, i tifoni e gli uragani di intensità eccezionale, le alluvioni catastrofiche.

Un uragano di forte intensità lungo le coste della Florida associato a inondazione (©David Mark/pixabay)

Per capire se questi “tasselli impazziti” acquistino un senso nel mosaico della crisi climatica, gli scienziati hanno analizzato le serie storiche di dati meteorologici e le hanno messe a confronto con sofisticati modelli previsionali. In pratica, hanno fatto girare i modelli “a ritroso”, ricreando gli eventi osservati e verificando così la concordanza tra dati e previsioni.

I risultati non lasciano molti margini di dubbio: i cambiamenti nella circolazione globale e nella distribuzione degli eventi estremi ci sono. E il fatto che siano causati principalmente dall’azione dell’uomo, in particolare dalle emissioni di gas serra e dal conseguente riscaldamento globale, è confermato dai dati raccolti in tutto il Mondo nel corso di molti decenni.

Si guarda quindi al passato per avallare i modelli climatici e al futuro per delineare – tramite questi modelli – gli effetti più probabili del riscaldamento globale. Che cosa possiamo dire a questo punto degli eventi estremi associati a precipitazioni intense?

Le due immagini qui sotto, contenute nell’ultimo report dell’IPCC, mostrano un trend assai chiaro e definito. Più aumenta la temperatura rispetto ai livelli preindustriali, maggiore sarà la frequenza a livello regionale e l’intensità su scala globale degli episodi di piogge estreme. Diventano cioè sempre più probabili gli eventi estremi che in tempi normali avrebbero una probabilità di accadere una volta ogni dieci anni (in viola nei grafici) o una volta ogni cinquant’anni (in arancione nei grafici).

Variazioni previste nella frequenza a livello regionale degli episodi di piogge estreme con un aumento di temperatura globale di 1 °C, 1,5 °C, 2 °C, 3 °C e 4 °C rispetto al periodo 1850-1900 (© Seneviratne, S.I., X. Zhang, M. Adnan, W. Badi, C. Dereczynski, A. Di Luca, S. Ghosh, I. Iskandar, J. Kossin, S. Lewis, F. Otto, I. Pinto, M. Satoh, S.M. Vicente-Serrano, M. Wehner, and B. Zhou, 2021: Weather and Climate Extreme Events in a Changing Climate. In Climate Change 2021: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), pp. 1513–1766, doi: 10.1017/9781009157896.013)

Variazioni previste nell’intensità su scala globale degli episodi di piogge estreme con un aumento di temperatura globale di 1 °C, 1,5 °C, 2 °C, 3 °C e 4 °C rispetto al periodo 1850-1900 (© IPCC 2021)

Dati e grafici alla mano, quali scenari futuri possiamo allora aspettarci per quanto riguarda la frequenza, l’intensità e la distribuzione delle alluvioni e degli eventi estremi associati?

“Le variabili in gioco sono moltissime – afferma Ciavola – ma anche gli scenari più ottimistici dicono che, molto probabilmente, questi fenomeni tenderanno ad aumentare. Persino nell’ipotesi di azzeramento delle emissioni, infatti, il fenomeno del riscaldamento globale probabilmente continuerà per un certo tempo, anche a causa dell’inerzia del sistema di circolazione atmosferica. Possiamo quindi aspettarci, di anno in anno, piogge estreme e inondazioni più frequenti e intense nella maggior parte delle aree del globo.

Si tratta in ogni caso di fenomeni molto complessi, la cui evoluzione dipende da quello che succederà al suolo, dalla quantità di emissioni climalteranti che saranno ancora rilasciate in atmosfera, dai tassi di deforestazione e urbanizzazione e da molti altri fattori legati all’azione dell’uomo.”

Dall’emergenza all’adattamento: misure di prevenzione e gestione

Di fronte a questi scenari, ancora una volta, bisogna agire – in fretta – su due fronti: mitigazione, ossia abbattimento delle emissioni di gas serra, e adattamento, con soluzioni e interventi che permettano di “attutire” l’effetto dei cambiamenti in corso.

Fondamentale è passare dalle politiche di emergenza alle misure di prevenzione e gestione, che sono le più efficaci per ridurre gli impatti. Sebbene il numero dei disastri meteorologici e climatici sia aumentato di un fattore cinque negli ultimi cinquant’anni, infatti, i sistemi di prevenzione, gestione e allerta hanno permesso di contenere in modo significativo i danni, riducendo di tre volte le perdite in termini di vite umane, riporta l’Organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization, WMO).

Per quel che riguarda le inondazioni, è allora urgente sviluppare soluzioni di adattamento efficaci a vasto raggio, dalla pianificazione territoriale e urbanistica, agli interventi strutturali per rendere gli edifici e le infrastrutture climate-proof e fino alla manutenzione delle pavimentazioni e delle opere di contenimento. Un’altra azione importante, per assorbire gli effetti del maltempo, è la rinaturalizzazione degli alvei fluviali e delle coste.

“Un primo margine di intervento – sottolinea Ciavola – riguarda i piani regolatori: basterebbe utilizzare le mappe della pericolosità e del rischio da alluvione, previste già dalla Direttiva alluvioni del 2007, per decidere dove si può e dove non si deve costruire, per operare su argini e dighe, per aggiornare le norme costruttive degli edifici e intervenire sull’esistente con migliorie e adeguamenti.

Il Piano nazionale di resistenza e resilienza (Pnrr) prevede dei fondi mirati alle opere di manutenzione per l’abbattimento del rischio, le conoscenze ci sono, quello che ancora manca è il passaggio finale: la pianificazione territoriale per gli anni a venire. Non c’è dubbio, si tratta del passaggio più complesso, soprattutto in un Paese altamente popolato e ad elevato rischio idrogeologico come il nostro, ma è l’unica soluzione per far fronte al crescente pericolo di inondazioni.”

Dall’emergenza all’adattamento: sistemi di allerta e coinvolgimento dei cittadini

Di vitale importanza, poi, è lo sviluppo di sistemi di allerta efficaci. Il Sistema europeo di allarme inondazioni (European Flood Awareness System, EFAS), gestito dal programma Copernicus dell’Unione Europea, consente ad esempio di mettere in atto misure preparatorie con molte ore di anticipo rispetto alla possibile esondazione catastrofica di un fiume.

“Con il progetto europeo ECFAS (European coastal flood awareness system) – aggiunge il docente – stiamo sviluppando un sistema di allerta simile a quello fluviale per le aree costiere, dato che anche le inondazioni marine sono destinate ad aumentare. In Europa gli effetti potrebbero essere particolarmente gravi, perché il 43% della popolazione europea vive nelle Regioni costiere e 30 milioni di persone si trovano nelle aree in cui sono previsti eventi estremi di allagamento.

Oggi, per fronteggiare le emergenze, possiamo contare anche sulla disponibilità delle immagini catturate dai frequenti passaggi dei satelliti Sentinel, che permettono al Copernicus Emergency Management Service europeo di ottenere mappe dettagliate delle aree inondate.”

In questo contesto sono importantissime anche le norme di comportamento dei cittadini. Ognuno di noi – e soprattutto chi abita in zone a rischio – dovrebbe essere informato su cosa fare prima, durante e dopo un’alluvione. Ancora una volta, si tratta di rendere coscienti e consapevoli le persone con azioni di sensibilizzazione simili a quelle che vengono fatte, ad esempio, per i terremoti.

In questo modo, se aumenta la consapevolezza, i cittadini possono persino assumere un ruolo attivo nella segnalazione del rischio da alluvioni. Già oggi, infatti, gli esperti utilizzano foto e video postati da privati sui social media per raccogliere informazioni, documentare e valutare il grado di pericolosità di un evento.

“Si tratta di un vero e proprio esempio di citizen science – conclude Ciavola – in cui i cittadini diventano un anello di vitale importanza nella gestione dell’emergenza e nella quantificazione dei danni. È già successo che la raccolta in rete di immagini e filmati abbia dato informazioni preziose sulla posizione e le caratteristiche degli edifici e sui livelli raggiunti dall’acqua nel corso di un’alluvione, permettendo di fare accurate stime di danno.”

Tutte queste informazioni sono fondamentali non solo per gestire un evento in corso o già avvenuto, ma anche per prevenire e gestire in modo efficace le possibili inondazioni future. Ancora una volta, quindi, le soluzioni vanno cercate e sviluppate in modo concertato e coinvolgendo tutti, dagli scienziati alle istituzioni, dai settori produttivi alla cittadinanza.

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