Chiudono i rifugi alpini e si scende dalle malghe. Un’altra stagione difficile a causa del cambiamento climatico (1) Sempre meno acqua. Dal Piemonte al SudTirolo: l’esperienza dei gestori Tranchero (rifugio Sella), Ceschini (Caduti dell'Adamello), Boninsegna (Pradidali), Pallotta (Re Alberto) e Nardelli (Marteller Hütte)

Chiudono i rifugi alpini e si scende dalle malghe. Un’altra stagione difficile a causa del cambiamento climatico (1)

Sempre meno acqua. Dal Piemonte al SudTirolo: l’esperienza dei gestori Tranchero (rifugio Sella), Ceschini (Caduti dell'Adamello), Boninsegna (Pradidali), Pallotta (Re Alberto) e Nardelli (Marteller Hütte)

È ancora emergenza acqua per i rifugi alpini, anche se l’estate 2023 è stata un po’ meno avara rispetto alla precedente. Alessandro Tranchero, storico gestore del rifugio Quintino Sella (a 2.640 metri di quota) ai piedi del Monviso in valle Po, esprime ancora la propria preoccupazione. “La situazione contingente – afferma ad Agenda17 – è sicuramente diversa dallo scorso anno, quest’estate è stato decisamente più facile gestire il rifugio, ma non siamo assolutamente usciti dal problema. 

Le precipitazioni si sono concentrate tutte a fine maggio, con qualche evento estivo. Questo ci ha permesso di sopravvivere fino ad ora, ma di sicuro non è stata integrata la scorta di acqua, neve e ghiaccio persa negli anni scorsi e il mio dubbio è che siamo andati a depauperare ulteriormente quella scorta.” 

Il problema per rifugi è sempre più grave, ma colpisce anche il sistema idrico globale

La preoccupazione di Tranchero va oltre l’ambito del turismo montano: “questo fenomeno – spiega – dovrebbe essere per tutti un campanello d’allarme, perché il rifugio è una sorta di cartina tornasole che mostra la gravità di una situazione globale e complessa, che richiede una riflessione di lungo termine.”

Al lungo termine pensa sicuramente Romano Ceschini, gestore del rifugio Caduti dell’Adamello (a 3.040 metri). Quello dell’Adamello è ancora il più grande ghiacciaio delle Alpi italiane, ma gli studi glaciologici prevedono che sparirà entro i prossimi 60-90 anni. “D’estate – afferma ad Agenda17 Ceschini – acqua ancora ce n’è. Ma io vedo calare il ghiacciaio di tre metri all’anno.”

Il ghiacciaio della Fradusta nel 1933 (foto Vianello in occasione della campagna glaciologica). Tratto da “Montagne di Marca”. Bollettino Società degli Alpinisti Tridentini, n. 3 – 2009, III trimestre.

Ma, se la scadenza per l’Adamello è ancora per fortuna lontana, altri ghiacciai sono ormai arrivati al loro ultimo respiro. Il ghiacciaio della Fradusta sulle Pale di San Martino, un tempo il secondo ghiacciaio delle Dolomiti dopo quello della Marmolada, era la fonte di approvvigionamento idrico del rifugio Pradidali (a 2.278 metri). 

Il ghiacciaio della Fradusta nel 2005 (ⓒwikipedia.org)

“Nel 1995 – racconta ad Agenda17 Duilio Boninsegna, gestore storico del Pradidali – l’acqua arrivava direttamente dal ghiacciaio e avevamo solo una piccola riserva di 1.000 litri, continuamente alimentata. Dopo il terribile 2003, una delle due vene da cui attingevamo si è asciugata. Abbiamo tirato avanti fino al 2005, ma poi abbiamo dovuto aumentare la riserva fino a 10mila litri. Poco dopo anche la seconda vena si è asciugata e abbiamo portato la riserva a 40mila litri. Adesso abbiamo in programma un ulteriore ampliamento della riserva, che vorremmo portare a 80-100mila litri, in modo da avere una scorta stimata di quindici giorni.”

Il ghiacciaio della Fradusta nell’estate 2023 (foto di Chiara Pastorello)

Oggi la Fradusta è ridotta a un fazzoletto di ghiaccio, per giunta troppo lontano dal rifugio per alimentarlo. “A luglio ci sono i nevai e arriva ancora acqua – continua Boninsegna – ma è spesso neve tardiva che si scioglie troppo in fretta. Il futuro per i rifugi come questo vede solo due alternative: aumentare le riserve o far arrivare l’acqua da valle.” 

Al Re Alberto non c’è più il lago e ora l’acqua “sale” da valle. Al Marteller Hütte è troppo  sporca

Far arrivare l’acqua da valle è stata l’unica soluzione possibile per il rifugio Re Alberto 1° (Catinaccio, quota 2.621 metri). In passato l’acqua del rifugio arrivava dal bellissimo lago appena dietro l’edificio, lago a sua volta alimentato dal permafrost. Ma il permafrost si è sciolto e il lago, che si riempie quando piove per poi svuotarsi rapidamente, non può più garantire approvvigionamento idrico permanente come in passato. 

“A quel punto – spiega ad Agenda17 Valeria Pallotta, proprietaria e gestore del Re Alberto – ci siamo dotati di una vasca da 37mila litri, che però garantiva una riserva d’acqua solo per una settimana. Per non restare a secco, si scendeva all’altezza del rifugio Vajolet (che si trova circa 400 metri più in basso, ndr), si riempivano le taniche con l’acqua del rio che scorre là sotto e si tiravano su con la teleferica. Questo si doveva fare tutti i giorni.” 

Il rifugio Re Alberto 1° nel 2004 con il lago in primo piano (foto di Valeria Pallotta)

Ma negli ultimi tre anni il Re Alberto è rimasto senz’acqua già a inizio stagione, così il rifugio si è dotato di un impianto di pompaggio che attinge direttamente dalla conca del Vajolet. “Siamo stati uno dei primi rifugi a denunciare il problema – conclude Pallotta – ma tutti i rifugi che si trovano ad altitudini superiori ai 2.000-2.500 metri sono in sofferenza, perché le sorgenti si sono abbassate mediamente di 300-400 metri a causa dello scioglimento del permafrost.”

Se per tanti rifugi l’innalzamento delle temperature si traduce in penuria d’acqua, per altri la criticità è data dai flussi eccessivi, causati dalla velocissima fusione dei ghiacciai. 

Rifugio Re Alberto 1°, estate 2023 (foto di Valeria Pallotta)

“L’acqua – spiega Bruno Nardelli, gestore del rifugio Marteller Hütte (Parco Nazionale dello Stelvio, 2.610 metri) – ci è necessaria sia per gli usi domestici del rifugio, come acqua sanitaria e potabile, sia come fonte energetica.” 

Per la prima funzione il rifugio attinge a due sorgenti di permafrost, mentre per le esigenze energetiche sfrutta il torrente di scioglimento del ghiacciaio, che fa girare le turbine. Solo che d’estate il torrente porta troppa acqua, troppo veloce e troppo sporca. 

“Per noi – continua Nardelli – il problema principale è l’aumento spropositato del flusso d’acqua alle turbine, perché d’estate il ghiacciaio è soggetto a rapido scioglimento. Il torrente porta molto limo che sporca e intasa le turbine. Siamo costretti a pulire le vasche di decantazione ogni due settimane per garantire un buon funzionamento dell’impianto idroelettrico. Un lavoro frenetico, se si pensa che il progetto è del 1985 e che, con i flussi regolari di allora, bastavano due pulizie all’anno.” (1.Continua)

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