Ucraina: la pace cinese fra ambizioni economiche e ruolo geopolitico, secondo l’economista Prodi di Unife Il problema dell’egemonia USA: servono dialogo e multipolarismo

Ucraina: la pace cinese fra ambizioni economiche e ruolo geopolitico, secondo l’economista Prodi di Unife

Il problema dell’egemonia USA: servono dialogo e multipolarismo

Il 24 febbraio il Governo di Xi Jinping ha diffuso una proposta per raggiungere la pace tra Russia e Ucraina: dodici punti con i quali la Cina sembra voler assumere il ruolo di mediatore nello scenario geopolitico internazionale. “Storicamente, la Cina tende a guardare al suo interno, quindi sta cercando di capire cosa le conviene per il suo sviluppo anche in ambito internazionale. È infatti un Paese cresciuto molto, ma ha ancora tante problematiche interne e deve quindi tenere conto del possibile impatto di tutto quello che succede sulla sua economia” afferma ad Agenda17 Giorgio Prodi, docente di Economia dello sviluppo presso l’Università di Ferrara.

Tra i punti più rilevanti del piano, oltre all’immediato cessate il fuoco, ci sono l’avvio dei colloqui di pace e la ricerca di dialogo e negoziato, la soluzione alla crisi umanitaria, la sicurezza delle centrali nucleari e la riduzione dei rischi strategici, quindi della possibilità di utilizzare armi nucleari.

La Cina rivendica un ruolo nei mercati internazionali

“Ovviamente – prosegue Prodi – un’economia come quella cinese, basata sugli investimenti ma che dipende molto anche dal commercio internazionale, per vendere i suoi prodotti ha bisogno di un’economia globale che non si frantumi.

È però anche vero che, in situazioni come quella attuale, la Cina cerca di capire cosa può portare a casa. Da un lato, poiché gli Stati Uniti hanno attuato una politica di isolamento della Cina dal resto del Mondo, almeno occidentale, averli impegnati in Ucraina e in quadranti lontani dalle terre asiatiche può essere un vantaggio.

Allo stesso tempo, però, non vuole una guerra lunga, che crea tensione e ferma l’economia. La Cina di oggi è infatti diversa da quella di dieci anni fa: rivendica il proprio diritto di sedersi al tavolo di quelli che ‘scrivono le regole’ dei mercati globali, che sono ancora le stesse uscite dalla Seconda guerra mondiale.”

I rapporti con gli Stati Uniti: dal friend-shoring…

Da tempo, gli Stati Uniti hanno avviato una politica di friend-shoring: delocalizzare le catene di approvvigionamento in Paesi a basso rischio politico, quindi sostanzialmente i soli Paesi alleati. “C’è sicuramente – afferma Prodi – uno scontro tra Stati Uniti e Cina, soprattutto sul piano economico, con la Cina più a favore del libero mercato mentre gli Usa che impongono limitazioni all’export cinese, in particolare delle tecnologie. È probabilmente uno dei momenti più bassi nei rapporti tra Cina e Usa. 

L’idea di fondo è non dover dipendere da Paesi non amici con i quali, se dovessero esserci tensioni, si rischia la chiusura delle filiere fondamentali. È infatti dalla fine della Guerra fredda che si è cominciato a parlare di geoeconomia: le variabili economiche sono diventate più rilevanti di quelle politico-militari.”

…a Taiwan

Una questione tornata centrale riguarda inoltre i rapporti tra Cina e Taiwan. “La questione Taiwan – afferma Prodi – è emersa fin dall’inizio del conflitto perché ci sono alcuni aspetti che avvicinano le due situazioni, tuttavia rimangono enormi differenze.

Giorgio Prodi, docente di Economia dello sviluppo presso l’Università di Ferrara (©telestense.it)

La Cina, infatti, da quando Taiwan divenne sede del Governo nazionalista nel 1949, ha sempre rivendicato questo territorio come proprio, mentre la Russia ha accettato l’indipendenza dell’Ucraina. Inoltre, mentre i russi hanno indetto un referendum farlocco in Donbass per legittimarne la conquista, la Cina non potrebbe farlo perché vincerebbe il fronte dell’indipendenza.

Infine, Taiwan è più strategica, soprattutto per i microchip, sui quali è quasi monopolista del top di gamma, mentre l’Ucraina non ha queste caratteristiche di essenzialità pur possedendo importanti miniere. È quindi un paragone che può sussistere, ma con le dovute differenze.

Rimane comunque possibile che gli Usa abbiano pensato di mantenersi aggressivi sull’Ucraina anche per dare un segnale ai cinesi in caso di un possibile attacco a Taiwan.”

Abbandonare il centralismo occidentale per il multipolarismo

Come potrebbe dunque comportarsi in futuro la Cina? “Bisogna vedere – prosegue Prodi – se comincerà a inviare armi alla Russia. Finora ufficialmente non l’ha fatto ma, se gli Usa insistessero con chiusura e tentativi di isolamento, si potrebbe avvicinare alla Russia, nonostante storicamente non si siano volute bene a causa di tensioni territoriali e visioni politiche diverse, anche quando erano entrambi Paesi comunisti.

Piuttosto, noi dovremmo uscire da una visione esclusivamente occidentale, che tende ad esempio a enfatizzare il voto delle Nazioni unite contro l’invasione, senza riflettere sul fatto che i Paesi astenuti rappresentano oltre la metà della popolazione mondiale.

In un conflitto percepito come confronto tra North Atlantic Treaty Organization (NATO) e Russia, la Cina o ne resta fuori o comunque non si schiera con la NATO, considerata espressione degli Usa, che tramite la guerra cercano di far valere le proprie posizioni, compresa la volontà di isolare la Cina.”

Per questo, il consigliere di Stato cinese Wang Yi ha recentemente ribadito la necessità di un multipolarismo nelle relazioni internazionali. “Se ne parla da tanti anni – conclude il docente – ma la sfida è trovare le regole per costruirlo, visto che quelle attuali le abbiamo fatte noi: una volta delineati i valori non negoziabili, ci vuole il compromesso.

Pensiamo ad esempio alla questione ambientale: è difficile chiedere di intervenire a Paesi che hanno, per buona parte della popolazione, un livello di reddito medio appena sopra la sussistenza, mentre noi lo possiamo fare perché possiamo permettercelo. È questo il multipolarismo: cercare di allargare lo sguardo e capire anche le necessità degli altri.”

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