La grande sete. Sesta crisi idrica nell’arco di vent’anni Inverno siccitoso, alte temperature, ma anche una gestione inefficiente. A rischio agricoltura e acqua potabile. Servono interventi lungimiranti

La grande sete. Sesta crisi idrica nell’arco di vent’anni

Inverno siccitoso, alte temperature, ma anche una gestione inefficiente. A rischio agricoltura e acqua potabile. Servono interventi lungimiranti

2003, 2006, 2007, 2012, 2017 e ora 2022. L’Italia sta affrontando la sesta crisi idrica nell’arco di vent’anni. A causa di un inverno particolarmente siccitoso e di temperature superiori di due gradi rispetto alla media, il Po ha raggiunto livelli minimi che non si vedevano da settant’anni, secondo l’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po (AdBPo). Anche i laghi, eccetto il Garda, sono in sofferenza. La produzione di energia idroelettrica è calata quasi del 50% rispetto all’anno scorso ed è a rischio oltre un terzo della produzione agricola nazionale.

Il bacino del Po:  troppo caldo, poca pioggia e neve 

Il fiume Po contribuisce all’approvvigionamento idrico di 16 milioni di persone, al 40% del Prodotto interno lordo (Pil) nazionale in agricoltura e al 55% del Pil nazionale nel settore idroelettrico. Ma oggi “ci sono cento Comuni del Piemonte e venticinque Comuni dell’area lombardo-bergamasca che stanno utilizzando le autobotti per sostenere i serbatoi per il loro potabile. E mentre ci avviciniamo al delta, il cuneo salino è già entrato per venti chilometri. Abbiamo perso circa 10mila ettari di territorio in questi giorni in cui i pozzi non possono essere utilizzati perché l’acqua da dolce è diventata salmastra” ha dichiarato Meuccio Berselli, Segretario generale dell’AdBPo, durante il convegno “Siccità: situazione e soluzioni” tenutosi recentemente alla Camera dei deputati.

L’aumento delle temperature, che coinvolge tutto il Pianeta, colpisce in misura maggiore l’Europa meridionale e si stima che la scarsità idrica riguarderà il 18% della popolazione della Regione (con un aumento della temperatura media globale di 1,5°C) o il 54% (con un aumento di 2°C). 

In Italia, l’anomalia termica a febbraio era di +1,7°C rispetto alla media del periodo 1981-2010 (+2,6°C nella Regione Nord-occidentale). Da dicembre a fine febbraio sono caduti l’80% di pioggia e il 60% di neve in meno rispetto alla media stagionale, valori inferiori perfino al 2017. In Emilia-Romagna è piovuto meno che in Israele e la neve sulle Alpi è esaurita in Piemonte e Lombardia. 

A rischio l’agricoltura

La siccità invernale è grave perché in questa stagione terreni, falde e fiumi dovrebbero rifornirsi di acqua per affrontare i mesi estivi. L’agricoltura in particolare assorbe il 60% della domanda d’acqua soprattutto per bilanciare l’evapotraspirazione estiva. 

Letto quasi asciutto del Po in provincia di Reggio Emilia (© Piero Cruciatti/Getty Images)

Ma, come spiega Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni (Anbi): “dobbiamo interrompere le irrigazioni, fare delle scelte, razionalizzare l’acqua. Se la situazione non cambia nei mesi di luglio e agosto perderemo totalmente i raccolti, in particolare quelli dei frutteti. Alla foce oggi dovremmo avere minimo 600 metri cubi al secondo: ne abbiamo meno di 300.” Si stima che entro il 2050 si possa perdere il 50% della produzione agricola. 

Una cattiva gestione delle acque

Già a marzo vari enti avevano dato l’allarme per i livelli minimi di portata del Po. In particolare, il report “L’ultima goccia” del World Wildlife Fund (WWF) evidenziava come, a peggiorare la situazione dovuta alla crisi climatica, ci fosse anche una pessima gestione dei corsi d’acqua: prelievi eccessivi perché le concessioni superano la disponibilità idrica estiva, continue interruzioni con dighe e sbarramenti, dragaggio degli alvei (asportazione della sabbia dal fondo), canalizzazioni e distruzione della vegetazione ripariale. Tutto ciò ha danneggiato la biodiversità degli ecosistemi acquatici e aumentato il rischio idrogeologico.

Oltre a questo, una cattiva gestione dell’acqua significa anche che il 42% di quella immessa nelle reti di distribuzione viene persa a causa del deterioramento degli impianti, che ogni italiano consuma in media 220 litri d’acqua al giorno (tra i primi in Europa), che viene raccolto solo l’11% dell’acqua che cade nel nostro territorio e che l’acqua inquinata da pesticidi e fertilizzanti poi non è più disponibile. 

Perdite idriche in Italia (© report Le statistiche Istat sull’acqua 2021)

La dispersione dalle reti di distribuzione è maggiore nel Sud Italia, dove le crisi idriche sono più frequenti: nel 2019 nove capoluoghi di Provincia hanno adottato misure di razionamento dell’acqua. Ora, a causa del riscaldamento climatico, le crisi idriche hanno raggiunto anche la pianura Padana, Regione storicamente ricca d’acqua.

Non bastano interventi  d’urgenza. Le proposte di Coldiretti e Pnrr 

Come soluzione a breve termine, il Lago di Garda ha iniziato a sostenere le aree di valle e l’AdBPo prevede di chiedere aiuto ai laghi svizzeri. Ma, come ha dichiarato Giulia Chieffo, Vicedirettore generale di Utilitalia, durante il convegno alla Camera dei deputati: “sappiamo che gli eventi siccitosi purtroppo in Italia non possono più essere definiti sporadici perché ormai sono diventati a frequente ricorrenza. Quindi gli interventi che vanno messi in campo non possono ridursi a misure contingenti d’urgenza. Vanno messi in campo interventi strutturali di lunga durata.”

Alcuni di questi interventi di lunga durata sono stati inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): 5 miliardi di euro per rendere più efficiente il sistema agricolo a partire dai metodi di irrigazione; 900 milioni (più 482 milioni dal programma React Eu) per rinnovare la rete idrica di distribuzione e ridurre le perdite; 357 milioni dal recovery fund per un progetto proposto da WWF e dall’Associazione nazionale estrattori produttori lapidei e affini (Anepla) per la rinaturazione del Po, ovvero ripristino degli ambienti naturali tipici e miglioramento della sicurezza idraulica.

Altri interventi di adattamento sono un monitoraggio sistematico e continuativo, ottenere colture meno idroesigenti grazie alla genetica applicata all’agricoltura, utilizzare le acque reflue depurate e rivedere il sistema di concessioni per adeguare i prelievi alla reale disponibilità della risorsa. 

Un progetto interessante è il “piano laghetti” proposto da Anbi e Coldiretti: una rete di piccoli bacini di accumulo a cemento zero, in grado di raccogliere un miliardo di metri cubi d’acqua e utilizzare la terra di scavo per il suo contenimento. Tali bacini saranno in grado di ricaricare le falde e rafforzare la biodiversità dei fiumi. Dai salti fra i laghetti si può inoltre produrre energia idroelettrica e su una parte di essi si possono installare pannelli fotovoltaici galleggianti.

Buone pratiche e necessità di una visione politica lungimirante

Da non sottovalutare le buone pratiche quotidiane che possono attuare tutti i cittadini, come preferire la doccia al bagno, chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti e, in questo periodo, evitare di riempire piscine private o lavare automobili. Sono accortezze che potrebbero far risparmiare fino a 10mila litri d’acqua. Secondo un report dell’Istat del 2021, fra gli italiani cresce l’attenzione a non sprecare la risorsa (67,4% nel 2020). 

Ma soprattutto sono necessari una decisione e un accompagnamento strategico di lungo periodo da parte della politica. Come ha concluso Berselli al convegno: “davvero chiediamo alla politica di accelerare perché questo adattamento climatico non può più aspettare”. E Chieffo: “la politica forse deve sforzarsi di superare un orizzonte temporale di breve periodo che purtroppo spesso orienta le decisioni, per traguardare un orizzonte ben più lontano anche del dopodomani per il sistema Paese.” 
È quello che Telmo Pievani e Mauro Varotto, nel loro libro “Viaggio nell’Italia dell’Antropocene”, chiamano “il pensiero delle cattedrali”: la capacità di intraprendere progetti lungimiranti mantenendo una continuità di intenti da un Governo all’altro.

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