La sessualità è un diritto dei detenuti. In un contesto carcerario drammatico, la Consulta ha riaffermato un principio di giustizia e umanità Utile anche per il successivo reinserimento nella famiglia, secondo Alessio Scandurra di Antigone

La sessualità è un diritto dei detenuti. In un contesto carcerario drammatico, la Consulta ha riaffermato un principio di giustizia e umanità

Utile anche per il successivo reinserimento nella famiglia, secondo Alessio Scandurra di Antigone

Per la Corte costituzionale, negare in maniera indiscriminata il diritto all’affettività, compresa la sessualità, di tutte le persone detenute è una irragionevole compressione della dignità della persona e un ostacolo alla finalità rieducativa della pena. 

Ora i legislatori, la magistratura di sorveglianza e l’amministrazione penitenziaria dovranno lavorare insieme per modificare norma e prassi che prevedono per detenute e detenuti solo colloqui con controllo a vista del personale di custodia, impedendo così di fatto l’espressione dell’affettività a tutte e tutti, anche nel caso in cui non vi siano ragioni di sicurezza, di disciplina o giudiziarie a impedirlo. 

La norma, contenuta nell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario, è stata dichiarata illegittima perché in contrasto con più articoli della Costituzione in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nelle carceri inizio terribile del 2024

La sentenza è arrivata il 26 gennaio, e dovrà essere calata in una realtà già difficilissima. Secondo l’Associazione Antigone, nei primi 29 giorni del 2024 in carcere ci sono stati tredici suicidi.

Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale registra un sovraffollamento del 127,54%: sono 60.328 le persone detenute, 13mila in più rispetto ai 47.300 posti disponibili. 

Con un comunicato stampa diffuso il 15 gennaio scorso, l’Organismo indipendente sottolinea: “La carenza di attività, riscontrabile in modo diffuso nel nostro sistema penitenziario, determina la permanenza nel chiuso delle celle, in spazi che in due Istituti sono anche certificati come inferiori al limite dei 3 mq per persona per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha indicato la forte presunzione di trattamento inumano, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione, articolo che – lo ricordiamo – non ammette deroghe, neppure in situazioni eccezionali.”

In questo quadro si inserisce anche l’unica modalità attualmente prevista di colloquio con gli affetti più stretti della persona detenuta, cioè sotto il controllo a vista del personale di custodia, precludendo di fatto l’espressione dell’affettività, dal punto di vista sessuale e non solo. 

“Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà – ha affermato la Corte Costituzionale -, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società.”

Mantenere le relazioni famigliari per favorire il reinserimento sociale

“Si dice sempre che per evitare la recidiva sono fondamentali i percorsi di reinserimento sociale, e che per questo è fondamentale il ruolo della famiglia. E la cosa è comprensibile – afferma ad Agenda17 Alessio Scandurra, dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione degli adulti dell’Associazione Antigone –. Uscita dal carcere una persona ha ovviamente anzitutto bisogno di un tetto sulla testa, di pasti caldi, e chi ti può garantire tutto questo, almeno in un primo momento, meglio della tua famiglia? 

Alessio Scandurra, dell’associazione Antigone (©paeseitaliapress.it)

Il fatto è che tante persone che, quando entrano in carcere, ancora una famiglia ce l’hanno, quando escono si ritrovano del tutto sole. Mantenere relazioni famigliari e affettive durante la detenzione è molto complicato per ovvie ragioni, inclusa l’impossibilità di momenti intimi e di relazioni sessuali. 

Non stiamo parlando solo di un diritto astratto, ma anche di un elemento concreto e fondamentale delle nostre relazioni affettive, senza il quale queste sono messe a dura prova. È facile pontificare sull’importanza della famiglia, anche per le persone detenute, ma per sostenerla servono misure concrete, inclusa la possibilità di rapporti sessuali. 

Basta un piccolo sforzo di immedesimazione per rendersi conto di come ovviamente sia un tema molto sentito dai detenuti, ma anche dai loro famigliari, che per inciso non hanno commesso alcun reato.”

Rimossa una “sanzione corporale” illegale

Prima dell’udienza è stato rivolto ai giudici costituzionali un appello, redatto dal docente di diritto costituzionale dell’Università di Ferrara Andrea Pugiotto e firmato da oltre 200 persone tra cui accademici, garanti dei diritti dei detenuti, soggetti impegnati nell’associazionismo, avvocati e magistrati. La richiesta era la rimozione dall’ordinamento penitenziario della privazione dell’affettività-sessualità, definita “un’autentica e indifferenziata pena accessoria”, una “sanzione corporale” non contemplata dal codice penale ma regolarmente inflitta al soggetto recluso e al suo partner incolpevole e contraria al disegno costituzionale delle pene.

La sentenza della Corte Costituzionale cita poi un suo stesso precedente, la sentenza n. 301/2012 che aveva indicato il problema dell’affettività dei detenuti come meritevole di ogni attenzione da parte del legislatore.Una larga maggioranza degli ordinamenti europei, d’altronde, riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità.

“L’ultimo intervento della Corte Costituzionale è una cosa diversa – continua Scandurra –, non una indicazione generica ma un cambiamento della legislazione.

Fino a ieri i rapporti sessuali in carcere tra conviventi erano di fatto vietati dalla legge. Da oggi non lo sono più.

Fino ad oggi il legislatore non aveva mai voluto affrontare il problema, soprattutto per la resistenza dei sindacati di polizia. Da oggi la situazione è diversa, ma ovviamente vanno adottate misure concrete per rendere possibile l’esercizio di questo diritto, creando anzitutto spazi adeguati. In mancanza il nostro sistema penitenziario sarebbe inadempiente rispetto alla legge. Come peraltro già è, si pensi ad esempio alla mancanza di spazi, o dell’acqua calda, o delle docce in cella. Tutte cose che la legge prevede ma che spesso mancano.”

Condizioni di detenzione inumane e degradanti

Stando al diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione di Associazione Antigone, infatti, nel 2022 sono arrivate agli uffici di sorveglianza italiani 7.643 istanze per condizioni di detenzione inumane e degradanti. Di quelle trattate più della metà  (57,4%) è stata accolta. Gli accoglimenti erano stati 3.115 nel 2018, 4.347 nel 2019, 3.382 nel 2020, 4.212 nel 2021 e 4.514 nel 2022.

“L’Italia viene sistematicamente condannata, dai suoi stessi tribunali” si legge nel rapporto. L’alto numero dei ricorsi è spiegato con un altro dato: in un istituto su tre (35%) di quelli visitati c’erano celle in cui non erano garantiti i 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta. Nel 12,4% c’erano celle in cui il riscaldamento non era funzionante. Nella metà (45,4%) degli istituti visitati c’erano celle senza acqua calda e  celle senza doccia (56,7%).“La politica spesso cerca di compiacere l’elettorato mostrando i muscoli e promettendo politiche molto severe contro la criminalità. Ma la sicurezza dei cittadini non si garantisce solo mettendo in carcere i soliti ignoti, ma anche assicurando politiche di reinserimento sociale capaci di contrastare la recidiva (oggi superiore al 60%) e tutelando i diritti di tutti” conclude Scandurra.

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