Non esistono cause perse: l’associazione “Avvocato di strada” impegnata a far riconoscere su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute I senza fissa dimora sono ancora esclusi dalla sanità in quasi tutte le Regioni. Il commento di Antonio Mumolo, presidente dell’associazione

Non esistono cause perse: l’associazione “Avvocato di strada” impegnata a far riconoscere su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute

I senza fissa dimora sono ancora esclusi dalla sanità in quasi tutte le Regioni. Il commento di Antonio Mumolo, presidente dell’associazione

A due anni dall’entrata in vigore della legge 10/2021 che garantisce il diritto alla salute delle persone senza fissa dimora in Emilia Romagna, abbiamo chiesto ad Antonio Mumolo, avvocato, socio fondatore e presidente dell’associazione “Avvocato di strada”, che è stato promotore e sostenitore della legge stessa, a che punto è l’iter per il riconoscimento di tale diritto nell’intero Paese.

L’associazione, con oltre mille volontari e sessanta sedi diffuse in Italia, dal 2001 ha tutelato oltre 40mila persone e si occupa della tutela giuridica dei senza fissa dimora. Insieme al giornalista Giuseppe Baldessarro, Mumolo ha recentemente scritto “Non esistono cause perse”, un libro il cui titolo rappresenta anche lo spirito con cui è stata creata l’associazione.

Diritto alla salute dei senza fissa dimora: una battaglia iniziata quindici anni fa

“La nostra associazione – precisa Mumolo – non si limita alla tutela giuridica individuale delle persone senza dimora, ma cerca di fare advocacy partendo dalle istanze che vengono dal mondo della povertà, cercate attivamente nelle mense per i poveri, nei dormitori, e facendole diventare anche proposte di legge, come nel caso della tutela sanitaria, in modo che ne possano beneficiare tutti e non solo quanti si rivolgono a noi.

Con questo spirito abbiamo iniziato più di dieci anni fa una battaglia sul tema della salute. Il problema principale per le persone senza fissa dimora è il fatto di non avere una residenza, senza la quale in Italia non si riesce a vivere: si diventa veramente invisibili, non si può lavorare, non si ha diritto ad affittare un locale, si perdono i diritti previdenziali, il diritto al voto garantito l’articolo 48 della Costituzione e anche il diritto alla salute.”

Il diritto alla salute è oggi vincolato alla residenza

La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (833 del 1978), infatti, stabilisce che per poter avere un medico di base bisogna avere la residenza. Nonostante l’ampia giurisprudenza in materia, tuttavia, quello della residenza resta uno dei problemi principali e la maggior parte delle cause di diritto civile di cui si occupa ogni anno Avvocato di strada riguardano proprio la residenza. 

“Purtroppo questo accade – prosegue Mumolo – perché la legge è interpretabile e si presta a vari escamotage da parte di sindaci o uffici anagrafe che non intendono dare la residenza alle persone più povere o in forte difficoltà. Ma se anche tutti i sindaci fossero disponibili a concedere la residenza a tutti quelli che la chiedono, vi sono leggi che impediscono di ottenerla in determinate condizioni. 

Antonio Mumolo, avvocato e presidente dell’associazione “Avvocato di strada” (©antoniomumolo.it)

Ad esempio il cosiddetto Piano casa Renzi-Lupi del 2014 stabilisce che chi occupa un immobile non possa richiedere la residenza nel luogo in cui vive. È il caso di decine di migliaia di famiglie che vengono sfrattate e che per dare un tetto a se stessi e ai figli, e per non perdere i propri figli, vivono in un immobile occupato (vecchie scuole, immobili dello Stato abbandonati): ce ne sono tantissimi in Italia, soprattutto in città come Roma, Torino o Milano dove la povertà aumenta.

Chi l’ha fatta pensava che la residenza desse qualche diritto reale sull’immobile, ma non è così. La residenza non dà tale diritto, tant’è che anche le persone residenti nel loro appartamento possono venire sfrattate ugualmente. Si è trattato di una questione ideologica, a cui cercammo già all’epoca di opporci.

Anche chi, non avendo una casa, viene ospitato da un amico che vive in una casa popolare o di edilizia residenziale pubblica non può prendere lì la residenza che è riservata unicamente a chi è titolare dell’assegnazione. Oppure se ad esempio io ospito una persona che è stata in carcere o ha debiti, non gli farò prendere la residenza a casa mia perché, secondo la legge, chi ha la residenza in un immobile è anche proprietario dei beni in esso presenti e, in caso di pignoramento, chi ospita rischia di perderli.”

Garantire la tutela sanitaria anche con il solo domicilio

“Per tutta questa serie di motivi ci siamo convinti – prosegue Mumolo – che la migliore soluzione possibile fosse modificare l’articolo 19 della legge 833/78 aggiungendo ai requisiti per avere diritto all’assistenza sanitaria anche il semplice domicilio, offrendo dunque ai senza fissa dimora la possibilità di avere un medico con cui parlare e confidarsi e anche, di conseguenza, di avere uno spiraglio per uscire dalla strada.”

La prima proposta di modifica a quella legge è stata presentata nel 2012 tramite l’allora senatore Ignazio Marino, poi nuovamente a livello parlamentare in Commissione sanità altre tre volte tramite lo stesso Marino, e tramite il senatore Lo Giudice e il deputato Rizzo Nervo, purtroppo senza risultato.

“Nel frattempo – prosegue Mumolo, che è anche Consigliere regionale in Emilia Romagna – ho  considerato la possibilità di fare approvare una norma regionale a favore dell’assistenza sanitaria per i senza fissa dimora. Questo in virtù del fatto che le Regioni, con le proprie finanze, possono allargare la platea delle persone a cui dare assistenza sanitaria. Dopo un iter legislativo non privo di ostacoli si è arrivati all’approvazione all’unanimità della Legge 10/2021. 

Dopo l’Emilia Romagna diverse Regioni si sono attivate per fare adottare una norma a favore della tutela sanitaria dei senza fissa dimora, come Puglia, Abruzzo, Liguria e Marche, e sempre all’unanimità. A ciò hanno contribuito almeno due fattori: in primis la pandemia di Covid19, che ci ha insegnato come il diritto alla salute non sia soltanto un diritto individuale, ma anche collettivo. Se una parte della popolazione non viene curata, infatti, può diventare un problema per tutti. 

In secondo luogo la nostra Costituzione, che tutela il diritto alla salute di tutti indipendentemente dalla capacità economica, salvaguardando la dignità delle persone più povere specie in un momento in cui è molto facile diventare poveri.

A questo, inoltre, si aggiunge il fattore dei costi. In Emilia Romagna il costo del medico di base per assistito è di ottanta euro l’anno: se una persona vive in strada, è costretta a andare al pronto soccorso anche per una banale emicrania. Il costo di un accesso al pronto soccorso va dai 150 ai 400 euro. Se dunque ci vado dieci volte l’anno, a una media di 250 euro ciascuna, il costo raggiunge 2.500 euro soltanto per la prescrizione di un antidolorifico. Senza contare che, in caso di ricovero, le persone senza medico di base finiscono col trascorrere anche la convalescenza in ospedale, con costi aggiuntivi straordinariamente alti.”

L’iniziativa delle associazioni per tutelare le persone socialmente deboli

Infine, va ricordato che la legge regionale riguarda unicamente i cittadini italiani. Per i migranti invece, le cui difficoltà di accesso alle cure sono emerse particolarmente durante la pandemia, vi sono norme nazionali che garantiscono l’assistenza di base a quanti sono in possesso del permesso di soggiorno, mentre per chi non lo ha esiste un codice STP (straniero temporaneamente presente) che ne consente l’assistenza sanitaria

Allo stesso modo, per i cittadini comunitari che non lavorano in Italia e non hanno assicurazione sanitaria esiste un codice (codice in persona) che garantisce il diritto alle cure sanitarie base. Dunque la legge riguarda gli italiani che si trovano al di fuori da ogni tipo di circuito assistenziale, per  avere oltre alle cure salvavita anche l’assistenza sanitaria di base.           

“Attualmente la norma che prevede l’assistenza sanitaria ai senza fissa dimora – conclude Mumolo – è stata approvata in cinque regioni, mentre altre (Piemonte, Lombardia, Toscana e Lazio) ci stanno lavorando, ma non ci siamo fermati. Stiamo infatti cercando di portare nuovamente in Parlamento la proposta di legge nazionale per la modifica dell’articolo 19 della legge 833 e, per avere maggiore successo, abbiamo cercato alleanze con le associazioni che condividono il nostro obiettivo tra cui Caritas, la Comunità di Sant’Egidio, ls Papa Giovani XXIII, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.Psd), la Federazione nazionale dei medici chirurghi (FNOMCeO), Emergency e Medici senza Frontiere. 

Con l’appoggio di tutte queste associazioni abbiamo presentato per la quarta volta la legge in Parlamento: ora è in Commissione Sanità alla Camera dove speriamo venga approvata, poi ci sarà il passaggio in Senato dopodichè speriamo diventi una legge dello Stato e consenta a tutte le persone senza dimora, anche quelle che non possono prendere la residenza, di godere dell’assistenza sanitaria di base.”

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