Rinaturazione del Po, agricoltori e politica hanno fermato il progetto del Pnrr. E si torna a parlare di dighe A rischio il  più grande intervento dedicato ad habitat, specie e adattamento al cambiamento climatico. Resta poco tempo

Rinaturazione del Po, agricoltori e politica hanno fermato il progetto del Pnrr. E si torna a parlare di dighe

A rischio il più grande intervento dedicato ad habitat, specie e adattamento al cambiamento climatico. Resta poco tempo

Il progetto di rinaturazione del bacino del fiume Po – unico grande investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedicato totalmente alla biodiversità – potrebbe fermarsi e non ripartire più.

 Il 3 ottobre, infatti, l’Agenzia interregionale per il fiume Po (AIPo), ha inviato ai Ministeri dell’agricoltura e dell’ambiente e a tutti gli organi competenti una comunicazione che avvisava della sospensione dell’iter. Così, 357 milioni di euro destinati ad habitat, specie e adattamento al cambiamento climatico sono stati congelati.

Il motivo della sospensione va ricercato nell’opposizione di produttori agricoli ed esponenti della politica a livello locale, regionale – in primis Regione Lombardia – e nazionale. 

Ma facciamo un passo indietro. Il progetto, nonostante le sue dimensioni, negli scorsi mesi è andato avanti restando quasi sempre in secondo piano, senza arrivare sulla stampa nazionale. 

Martin pescatore – Alcedo Attis (©RMauribo)

Il 28 luglio, in un comunicato di AIPo si leggeva che: “il percorso trasparente, periodico e puntualmente condiviso con tutti gli enti competenti mostra, step by step, che l’iter del progetto di Rinaturazione dell’area del Po sta procedendo senza indugi.” Poco dopo, erano state presentate ai portatori di interesse le aree di intervento definitive. I primi cantieri sarebbero partiti per gennaio 2024, il termine dei lavori su 37 km di fiume totali era previsto per marzo 2026.

Gli interessi dei produttori agricoli

Proprio la presentazione delle aree di intervento, arrivata ad agosto, ha avuto un ruolo decisivo nel congelamento del progetto. 

La dinamica non è del tutto chiara, ma pare che siano state le Regioni a chiedere uno stop; in particolare, alcuni assessori della Regione Lombardia. 

La motivazione è una critica alle modalità scelte per la condivisione della documentazione: “Le oltre mille pagine inviate a tutti i portatori di interesse in pieno agosto – hanno dichiarato – richiedevano pareri e osservazioni in pochi giorni, avviando di fatto un procedimento che avrebbe comportato vincoli e procedure di esproprio e dando poco tempo ai territori di intervenire.”

Sulla stessa lunghezza d’onda, il 4 ottobre il Consiglio regionale della Lombardia ha anche approvato una mozione che cerca di riportare in auge l’idea di una bacinizzazione del fiume, coinvolgendo AIPo e i Ministeri in un nuovo confronto sul tema. 

“Bacinizzazione” significa creare dighe e sbarramenti per trattenere l’acqua, rendendo così più facile la navigazione anche nei periodi di siccità. Tutto ciò va nella direzione opposta rispetto alla rinaturazione, perché rende il bacino più artificiale e indebolisce il corridoio ecologico formato dal fiume stesso. 

In Regione Lombardia, è tornato vivo il dibattito su quanto e come il Po debba essere reso navigabile dall’intervento dell’uomo (©RMauribo)

Ma non solo. In tutte le Regioni coinvolte, politici provenienti perlopiù dai partiti di  destra e centrodestra stanno facendo proprie le critiche espresse da grandi e piccole associazioni di categoria. Soprattutto il settore agricolo, infatti, vede nel progetto di rinaturazione una minaccia alle proprie attività. 

Gli esempi sono moltissimi. Uno su tutti il caso di Coldiretti, che il 5 ottobre ha titolato così un articolo della propria sezione di news online: “Pnrr, stop a rinaturazione Po salva la food valley”. 

Nel testo si leggeva che il progetto avrebbe “letteralmente cancellato aree a forte vocazione agricola con un effetto devastante sulla produzione di cibo oltre che su quella di legname garantita dalle attività di coltivazione del pioppo, facendo peraltro mancare l’acqua ai cittadini nei periodi di siccità.” 

Non a caso nei mesi scorsi Coldiretti aveva segnalato le forti criticità per l’agricoltura e la pioppicoltura, chiedendo con chiarezza di “salvaguardare le aziende agricole, fermare gli espropri, tutelare le aziende che hanno investito e proteggere i cittadini.”

Così Federlegno, secondo cui il progetto “vuole annullare in un sol colpo anni di sforzi tesi al rafforzamento e allo sviluppo della pioppicoltura in Italia.”

La pioppicoltura è una delle attività agricole che si sviluppano lungo gli argini del Po, e un processo di rinaturazione potrebbe andare a incidere sulla produttività delle coltivazioni, con espropri di alcune aree e controlli più severi sull’uso di pesticidi.

La mancata partecipazione

C’è un particolare significativo in questa storia: la richiesta di maggiore condivisione da parte di AIPo è stata fin da subito trasversale, toccando schieramenti politici e culturali opposti. 

Come avevamo raccontato su Agenda17 ormai quasi un anno fa, inizialmente era stato WWF Italia a chiedere più coinvolgimento degli stakeholder: “C’è stata una fase informativa durante la quale l’Autorità di bacino ha presentato il programma d’azione per la Rinaturazione del Po – aveva dichiarato ad Agenda17 Andrea Agapito Ludovici, responsabile dell’Area fiumi del WWF  – che si è conclusa qualche mese fa e ha definito in maggior dettaglio gli interventi da realizzare lungo il fiume” aggiungendo però che, nonostante la possibilità di presentare quesiti e commenti, “il programma d’azione era chiuso e non modificabile. 

Il WWF anche nella proposta iniziale che è stata inserita nel Pnrr aveva proposto invece un percorso partecipativo per arrivare al programma d’azione”. Ricordiamo che WWF è stato tra i proponenti del progetto di rinaturazione insieme all’Associazione nazionale estrattori produttori lapidei affini (Anepla), anche se entrambi i soggetti sono stati poi esclusi dall’Accordo di attuazione vero e proprio.

Rinaturare significa anche dare modo alle specie autoctone di prosperare e svolgere le loro funzioni all’interno degli habitat naturali. In foto, un esemplare di Tinca. (©slowmotiongli)

Critiche simili erano arrivate da alcuni circoli locali di Legambiente e da diversi Sindaci. Come evidenziato grazie alla campagna #LeManiSullaRipartenza di The Good Lobby e IrpiMedia, pare proprio che il testo del programma d’azione attuale suddivida i 357 milioni unicamente tra gli interventi idraulico-morfologici e di rinaturazione, senza individuare un budget specifico per i processi partecipati, che vengono tuttavia citati in più punti. 

La sensazione è che queste critiche siano state premonitrici dei problemi che il progetto sta avendo attualmente: da una parte la scarsa condivisione ha fornito un pretesto alle associazioni di categoria per mettersi di traverso, dall’altra si è persa forse l’occasione di informare i cittadini sul significato dei processi di rinaturazione – tanto complessi quanto urgenti – e sul reale impatto che il progetto avrebbe sul territorio.

La risposta degli ambientalisti

Chi si oppone al progetto lo fa infatti con toni giudicati esagerati e sproporzionati dai principali gruppi ambientalisti. “I fondi Pnrr sono un’occasione irripetibile per la rinascita del Po, un’opportunità troppo importante – ha dichiarato Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia –  in primis per le comunità rivierasche, per essere tenuta in ostaggio da parte di chi, con letture strumentali, o sbagliate, dei dati di progetto, mira solo a confermare uno status quo di degrado ecologico e rischio idrogeologico: basta scuse, è ora di far partire gli interventi.”

“Non si può bloccare un progetto di questa importanza – ha aggiunto il WWF – ma certamente si può avviare un confronto sul futuro del nostro fiume e delle comunità che lungo esso vivono, rafforzando l’attuale progetto di rinaturazione con azioni che ne garantiscano una corretta integrazione delle attività produttive, fruitive e ricreative che insistono sul Po.” 

Lo stesso WWF intende portare avanti una interlocuzione con il Ministero dell’ambiente e soprattutto con la Commissione europea, che ha stanziato i fondi del Recovery Plan puntando proprio, tra le altre cose, sul recupero degli habitat.

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