Neanche la pandemia ferma il consumo del suolo in Italia: nel 2020 persi altri 56 km² (2) La tutela del territorio nel Pnrr. Per il giurista Russo è necessaria una legge quadro nazionale

Neanche la pandemia ferma il consumo del suolo in Italia: nel 2020 persi altri 56 km² (2)

La tutela del territorio nel Pnrr. Per il giurista Russo è necessaria una legge quadro nazionale

Come evidenziato dal report dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel nostro Paese manca una legge fondamentale per la tutela di ambiente, territorio e paesaggio. Ancora oggi non abbiamo una strategia nazionale che permetta un uso consapevole e sostenibile del suolo e, dall’altro lato, l’aumento della capacità delle aree urbane di far fronte alle nuove sfide cui la fragilità del territorio e i cambiamenti climatici ci mettono davanti sempre più spesso.

Nel 2020, il consumo di suolo in Italia è cresciuto di 56,7 km², cioè in media più di quindici ettari al giorno, a scapito delle aree agricole e naturaliSnpa Ispra)

La prima proposta di legge per limitare il consumo del suolo risale al 2012, con un Disegno di legge per la “Valorizzazione delle aree agricole e contenimento del consumo del suolo” mai approvato a causa della fine anticipata della legislatura.

“Da allora – spiega Luigi Russo, docente di Diritto agrario presso l’Università di Ferrara – periodicamente sono presentati in Parlamento disegni di legge che però rimangono tali, perché quando poi il Parlamento si scioglie bisogna ricominciare da zero. Da anni evidentemente non si riesce a coalizzare una maggioranza politica su questo tema.”

La tutela del suolo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza

Già nel 2020 l’Europa, nella Raccomandazione del Consiglio sul Programma nazionale di riforma dell’Italia, aveva sottolineato (al punto ventuno) l’alta vulnerabilità del territorio italiano alle condizioni metereologiche estreme e ai disastri idrogeologici. “La trasformazione dell’Italia verso un’economia neutra a livello climatico – si legge – richiede ingenti investimenti pubblici e privati per un periodo di tempo prolungato.”

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedica la Missione 2 alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, con una sezione riservata alla tutela del territorio e della risorsa idrica. Il tema, secondo il report Ispra, rimane trasversale, e dunque ritorna anche in altri punti del Piano, in particolare nella Missione 5 (Inclusione e coesione), dove circa 9miliardi di euro sono destinati alla rigenerazione urbana e housing sociale.

Il contrasto al consumo del suolo è citato espressamente nella sezione dedicata alle altre riforme di accompagnamento al Piano, dove si legge che, “in conformità agli obiettivi europei, il Governo si impegna ad approvare una legge sul consumo di suolo, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso.”

“Siamo sicuramente carenti di leggi quadro e di strategie nazionali – concorda Romeo Farinella, docente di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara – entro le quali collocare le azioni intraprese dalle singole Regioni, e il Pnrr dovrebbe finalmente rappresentare una di queste strategie. Indipendentemente da come lo si valuti, però, è interessante notare come, per arrivare a un quadro strategico nazionale, abbiamo dovuto subire una pandemia. È il discorso sul rapporto tra prevenzione e rischio: non possiamo aspettare sempre situazioni estreme per porci il problema di definire delle regole di comportamento collettivo.”

Luigi Russo, docente di Diritto agrario presso l’Università di Ferrara (©rotaryferraraest.org)

“Io credo – aggiunge Russo – che la nostra unica ancora di salvezza sia l’appartenenza all’Unione europea. Il Pnrr non è una cambiale in bianco: l’Europa ci darà i fondi promessi solo se siamo in grado di raggiungere gli obiettivi previsti. Inoltre, siccome l’Europa sta puntando molto sul Green Deal, mi auguro che i temi ambientali presenti nel Piano siano effettivamente perseguiti in maniera efficace, pur con la mannaia della perdita dei finanziamenti. Purtroppo, infatti, senza la minaccia di qualcosa di negativo, tutti gli interessi particolari finiscono per prevalere.”

La discussione in Europa e le carenze della legge italiana 

Il Pnrr si concentra anche sulla semplificazione normativa in materia sia ambientale siaedilizia, urbanistica e rigenerazione urbana. Qual è la situazione attuale in Europa e nel nostro Paese?

Nel settembre 2020, il rapporto del Mission board on soil health and food istituito dalla Commissione europea, poneva come obiettivo per il 2030 il raggiungimento di almeno il 75% dei suoli europei sani per il cibo, le persone, la natura e il clima. Lo scorso aprile, poi, il Parlamento europeo ha presentato una proposta di risoluzione sulla protezione del suolo, invitando la Commissione a elaborare un quadro giuridico comune per l’Unione europea.

Scenari di consumo del suolo in Italia al 2050. Se prosegue l’andamento confermato dal report Ispra, ci allontaniamo dagli obiettivi di azzeramento della Commissione europea Ispra)

“Si tratta appunto di una risoluzione – specifica Russo – quindi non è un atto normativo, ma semplicemente un invito a intervenire rivolto alla Commissione. È già positivo il sollecito, tuttavia bisogna ancora decidere se passare all’azione: solo allora infatti gli Stati membri saranno obbligati ad adeguarsi. Teniamo presente però che il problema è sostanzialmente proprietario: l’Unione europea potrebbe decidere di non procedere se ritiene che il tema incida sui diritti di proprietà, rispetto ai quali non ha potere di intervento.”

A oggi sono molti i Paesi europei privi di una normativa nazionale che disciplini il consumo di suolo, e tra essi rientra anche l’Italia. “Qualche anno fa – continua Russo – si era pensato a una legge quadro con la quale si stabiliva che fosse il Governo a decidere ogni anno quanti sono gli ettari di terreno edificabili sul territorio nazionale. Tale quota sarebbe stata poi ripartita tra le Regioni, che a loro volta l’avrebbero divisa tra i Comuni. Adesso invece ogni Comune è libero di decidere in base ai propri strumenti urbanistici.”

L’ostacolo principale è certamente economico, visto il ruolo ancora oggi cruciale dell’edilizia nell’economia. “La nuova politica – suggerisce Russo – dovrebbe puntare essenzialmente a un recupero dell’esistente e in questo modo si creerebbe lavoro per tutti e a lungo termine. Alle amministrazioni locali, però, fa comodo rilasciare nuovi permessi di costruire perché sono onerosi: ogni Comune pensa infatti agli introiti per l’anno successivo, senza porsi problemi di gestione del territorio a lunga scadenza. È quindi chiaro che, se dovesse entrare in vigore una legge che limita il rilascio delle concessioni, anche le risorse finanziarie degli enti territoriali ne subirebbero le conseguenze.”

Per cambiare la situazione basta partire da piccoli dettagli normativi

“Anni fa – prosegue Russo – era stata introdotta una norma molto intelligente, in base alla quale si vincolavano gli introiti derivanti dai nuovi permessi edilizi a interventi di recupero del patrimonio immobiliare. In altri termini, si permetteva al Comune di urbanizzare nuove aree obbligandolo, però, a utilizzare il ricavato per scopi sostanzialmente ambientali: una sorta di compensazione rispetto al danno arrecato con il permesso di costruire.

Poi, probabilmente per le pressioni di lobby e Comuni, questo vincolo è caduto. Basterebbe quindi poco per iniziare, cioè piccoli provvedimenti di carattere finanziario come questo ma, come sempre, il diavolo si annida nei dettagli.”

Anche il fotovoltaico, quasi paradossalmente, rappresenta un problema. In Sardegna, ad esempio, oltre un milione di m² di suolo sono destinati agli impianti fotovoltaici, con quasi 180 ettari persi in un anno.

La Sardegna e la Puglia sono le prime Regioni italiane per consumo di suolo destinato a pannelli fotovoltaici. Entro il 2030 si prevede un aumento tra i 200 e i 400 km² di nuove installazioni a terra, che invece potrebbero essere realizzate sui tetti degli edifici (©Pexels)

“Altro limite da imporre – conclude Russo – sarebbe proprio il ripristino del divieto di impianti fotovoltaici sui terreni agricoli. Soprattutto al Sud, infatti, dove la luce solare è maggiormente presente, è facile trovare intere estensioni territoriali occupate solo da pannelli.

Nella Risoluzione europea si legge che la formazione di un centimetro di suolo superficiale richiede mille anni. Il suolo quindi non è rinnovabile: se cementifico e dopo dieci anni demolisco, il suolo non rivive automaticamente perché è un essere vivente e noi lo stiamo letteralmente uccidendo.

Nell’urbanizzazione incontrollata cui assistiamo da decenni vedo solo aspetti negativi dal punto di vista idrogeologico, alimentare, ambientale, economico e sociale. Non voglio dire che dobbiamo bloccare le nuove costruzioni, ma almeno dovremmo seguire un criterio razionale.”

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