Le parole e le cose – Sostenibilità Parola slabbrata e consunta.  “Transizione” è il concetto per un rinnovato pensiero ecologico

Le parole e le cose – Sostenibilità

Parola slabbrata e consunta. “Transizione” è il concetto per un rinnovato pensiero ecologico

Nel 2015, a seguito della Conferenza sul clima di Parigi (COP21) e della ratifica dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile da parte delle Nazioni unite, il dibattito internazionale sulla sostenibilità ottenne un rinnovato vigore. Nei pochi mesi successivi gli entusiasmi globali furono raffreddati prima dalla vittoria di Donald Trump negli Stati uniti, poi, nel 2018, dalla vittoria di Jair Bolsonaro in Brasile, mentre in Europa si consolidavano le posizioni sovraniste, nazionaliste e protezioniste ovviamente molto fredde rispetto al perseguimento dei famosi diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile. 

Nonostante ciò, nello stesso periodo accadde qualcosa d’imprevedibile. Greta Thunberg, allora quindicenne, rifiutò di entrare in classe fino alla data delle vicine elezioni in Svezia, reclamando una seria politica ambientale. Era l’agosto del 2018 e stavamo assistendo al primo e solitario Fridays For Future. 

La scossa di Greta Thunberg

In pochi mesi, una piccola e apparentemente insignificante azione locale messa in atto prevalentemente con il corpo da una sconosciuta ragazzina di una nazione importante ma periferica, ingigantita dalla comunicazione virale dei cosiddetti social, aveva risvegliato milioni di giovani di tutto il mondo, i quali, per alcuni mesi, avrebbero sfilato, dopo anni di letargo civile e politico, reclamando azioni concrete per fermare il cambiamento climatico. 

Nel dicembre 2018 Greta parlò per la prima volta al mondo dal meeting COP24 di Katowice, in Polonia, davanti ai rappresentanti di 196 stati impegnati a cercare di rimettere in “carreggiata” le politiche definite a Parigi nel 2015. Un anno più tardi, a metà dicembre 2019, con l’Australia in fiamme e la popolazione del Cile in rivolta generale, la conferenza sul clima (COP25), in calendario proprio a Santiago, fu spostata a Madrid, concludendosi con l’ennesimo fallimento.

Fra Parigi 2015, la seconda ondata di incendi australiani del 2020, lo scoppio della pandemia del Covid-19, gli incendi del Canada del 2021 e la recentissima inondazione che ha colpito il nord della Germania e le regioni meridionali di Belgio e Paesi Bassi (luglio 2021), la gran parte dei media occidentali ha iniziato a mettere in agenda il tema del riscaldamento globale, della crisi climatica ed ecologico del Pianeta con continui articoli e inchieste. 

Fra il 2018 e il 2020, il dibattito su riscaldamento globale, cambiamento climatico e integrazione globale di società e sistemi produttivi ha registrato una magnitudo come non si era più rilevata dal 1992, l’anno della conferenza di Rio de Janeiro che propose al mondo la definizione di Sviluppo sostenibile. 

Dopo quasi tre decenni di sforzi scientifici enormi per misurare l’insostenibilità della maggioranza assoluta delle società contemporanee e dei nostri sistemi di estrazione, produzione e consumo, è giunto il momento di riconoscere la crucialità e la decisività delle dimensioni culturali e emozionali, del racconto e della narrazione per ridare o addirittura assegnare un senso del tutto nuovo alla nozione consunta e slabbrata di sostenibilità, lasciandosi alle spalle altri concetti logori e contaminanti come sviluppo, efficienza, crescita, competitività e, perfino, prosperità, per la deriva materialistica che da tempo sta subendo questo termine.

Sostenibilità è una parola slabbrata e consunta 

Bisogna augurarsi che la drammatica esperienza ancora in corso della pandemia aiuti l’umanità e, al suo interno, le componenti più ricche e affluenti a invertire il processo di esagerata mobilità, di crescita insensata e di eccessiva integrazione dei sistemi sociali e produttivi così come si sono affermati (e sono stati imposti) nel corso degli ultimi vent’anni. 

Un’assunzione di consapevolezza da sviluppare nonostante l’integrazione globale attuale abbia permesso, per non fare che un esempio, di individuare risposte vaccinali efficaci in meno di un anno dallo scoppio della pandemia, un risultato ottenuto evidentemente sia grazie al processo di connessione internazionale fra centri di ricerca ed imprese, sia grazie ai flussi finanziari che hanno reso possibile questa sfida, permettendoci di parlare di globalizzazione positiva da opporre ad una gobalizzazione negativa. 

Come ha osservato Jared Diamond in “Collapse: How Societies Choose to Fail or Succeed”, le civilizzazioni possono infatti morire sia per eccessivo isolamento, sia per eccessiva integrazione, che è la condizione dominante oggigiorno.

A quasi trent’anni da Rio de Janeiro è giunto il momento di rifondare il termine di sostenibilità per riempirlo di nuovi e concreti significati, riconoscendo il fallimento di tre decenni di politiche e di azioni per lo sviluppo sostenibile. Da alcuni anni fra chi si occupa di clima, di ambiente, di economia circolare si sta facendo largo la convinzione che si debba abbandonare definitivamente il concetto di sviluppo sostenibile a favore del nuovo concetto di “transizione”. 

Transizione

Ce ne sarebbero molteplici ragioni. Infatti, quella definizione e quel concetto sono ormai svuotati di senso, divenuti un mantra buono per qualunque discorso, da parte di chiunque e per i più diversi fini: anche per costruire una nuova autostrada oggi si spende il termine di sviluppo sostenibile o quello di crescita verde; un nonsense

Al contrario, transizione è un concetto ancora quasi vergine, non ancora utilizzato – anche se ce ne sono i primi segnali – come un passe-par-tout. Tuttavia, io credo che si tratterebbe di un errore, poiché quasi tutti gli esseri umani oggi viventi, dopo trent’anni, hanno assimilato la parola, la definizione, almeno una parte del concetto. Ritengo piuttosto che si debba archiviare definitivamente il termine ‘sviluppo’, ormai divenuto un concetto pienamente contaminante.

Per restituire senso al termine “sostenibilità” e provare ad assumere comportamenti finalmente sostenibili ed ecologicamente orientati penso che sia necessario ricostituire un pensiero ecologico che, dopo essersi formato fra gli anni Sessanta e Settanta, è stato spazzato via dal trionfo dell’iperliberismo, del mercato senza alcun limite e del consumo. 

Un rinnovato pensiero ecologico può diffondersi e affermarsi solo attraverso una divulgazione orizzontale, imperniata sulla narrazione piuttosto che sulla fredda e sterile esposizione di dati talmente complessi da risultare incomprensibili anche a persone culturalmente preparate e informate. 

È una sfida che tocca gli organi d’informazione e l’industria editoriale, ma anche la ricerca scientifica, non solo nella sua esecuzione e nei finanziamenti che riceve (sempre penalizzanti il sapere umanistico e le discipline sociali), ma anche nella formulazione di piani di studio innovativi e trans-disciplinari e nel reclutamento dei docenti, sempre più settoriale e superspecializzato. 

L’avanzamento verso un nuovo pensiero ecologico può essere ottenuto soltanto attraverso una lenta sedimentazione culturale e formativa, riequilibrando i generalmente negativi messaggi sull’insostenibilità, con messaggi positivi. Non è facile. Si tratta di una “transizione” di lungo periodo, mentre l’emergenza è in atto e la crisi climatica si sta facendo sempre più impietosa nelle sue conseguenze sulle nostre società e le nostre economie. 

Ma da qui bisogna ricominciare se non si vuole fallire una volta ancora. La scienza e le scienze, accompagnate ‘soltanto’ da miliardi di dati in continuo aumento, non saranno in grado di risolvere la crisi ecologica fra Homo Sapiens e Pianeta. 

Nasce a Unife il dipartimento di Scienze ambientali e del benessere

L’Università di Ferrara, consapevole di questa necessità, ha deciso, proprio il giorno dopo la disastrosa alluvione che ha colpito il Nord Europa, di far nascere un nuovo dipartimento, intitolato delle Scienze ambientali e del benessere. Si tratta di una sfida importantissima e piena di senso poiché si è deciso di creare una casa comune per ricercatrici e ricercatori di diversa formazione: chimici, geologi, fisici, biologi, ecologi, paleontologi e archeologi, antropologi, storici, urbanisti, ingegneri, medici e giuristi. 
Come tutte le innovazioni anche questa si pone l’obiettivo di rispondere a una domanda non più eludibile: abbiamo bisogno di competenze formate nella più alta specializzazione scientifica, ma anche di competenze cross e trans-disciplinari capaci di affrontare la questione ecologica in modo complessivo, trattandosi la Natura e l’Ambiente di due sistemi altamente complessi e regolati da infinite relazioni, correlazioni e interazioni. Non si tratta di formare una nuova disciplina, una scienza delle scienze, la hyper discipline che alcuni bramerebbero per ergersi al di sopra di tutte le altre scienze ma, come da decenni ci insegnano il filosofo e sociologo francese Edgar Morin e il fisico teorico rumeno naturalizzato francese Barasab Nicolescu, un nuovo spazio di ricerca e di conoscenza che sappia porre gli studi sociali e culturali al pari di quelli tecnici e scientifici.

One thought on “Le parole e le cose – Sostenibilità

Parola slabbrata e consunta. “Transizione” è il concetto per un rinnovato pensiero ecologico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *