“La governance internazionale delle migrazioni attuale è il risultato di profonde disuguaglianze economiche e sociali. In questo contesto, gli interessi degli Stati prevalgono sui diritti umani, con un’agenda incentrata sul paradigma della deterrenza e sull’esternalizzazione delle frontiere. La risposta alle migrazioni climatiche risente di questo approccio, focalizzandosi esclusivamente sulla dimensione esterna che promuove l’adattamento in situ, trascurando l’ampliamento della protezione legale interna come efficace intervento a sostegno della migrazione.” Commenta così Roberto Sensi di ActionAid l’ultimo report sulle migrazioni climatiche: qual è allora la situazione ad oggi di un fenomeno destinato nel futuro a crescere?
Il report “Il cambiamento climatico non conosce frontiere” sottolinea come gli impatti del fenomeno si riversino su fasce sempre più ampie della popolazione mondiale. A sua volta, la crescente crescita di rischi e vulnerabilità sta influenzando la mobilità umana, sia nelle migrazioni interne e transfrontaliere sia negli spostamenti forzati.
Migrazioni e clima: l’efficacia dipende dalle scelte politiche
La mobilità climatica è oggi un fenomeno soprattutto interno lungo l’asse rurale-urbano, ma prevedere l’evoluzione di qualcosa così complesso è difficile. Inoltre, la sua efficacia in termini di adattamento ai cambiamenti climatici dipende in gran parte dalle politiche adottate e dal traffico di esseri umani.
Dal punto di vista del diritto internazionale risulta difficile che il governo dei cambiamenti climatici possa avvenire per via giudiziaria, mentre esiste il diritto alla tutela dei migranti climatici che è già applicato.
Nel solo 2022 i disastri ambientali hanno provocato 8,7 milioni di nuovi sfollati, con un aumento di quasi la metà (45%) rispetto al 2021. Alla fine dell’anno, il numero globale di sfollati interni dovuti agli eventi estremi era 32,6 milioni, oltre la metà (53%) del totale degli sfollati.
Un quadro internazionale privo di coordinazione
Nonostante l’urgenza di adottare misure di protezione a livello internazionale e nazionale, il quadro è frammentato, con interessi contrapposti e mancanza di coordinazione. Manca un approccio globale per la governance della mobilità climatica e sono ancora prevalenti disuguaglianze e asimmetrie di potere.
La priorità dei Governi del Nord globale rimane infatti la prevenzione della cosiddetta migrazione irregolare, anziché la tutela dei diritti umani. Non c’è volontà politica di affrontare in modo efficace la protezione dei diritti dei migranti e l’approccio adottato si limita alla promozione di buone pratiche non vincolanti. In contrapposizione, risultano più numerose e significative le iniziative del Sud globale: a conferma di come i Paesi sviluppati non si vogliano assumere le loro responsabilità nel cambiamento climatico.
Anche all’interno dell’Unione europea (Ue) manca un approccio legale comune: gli sforzi si concentrano sulla dimensione esterna, tramite l’aiuto in situ con strumenti di cooperazione allo sviluppo. La strategia di adattamento al cambiamento climatico riconosce le migrazioni come elemento trasversale all’azione esterna dei Paesi Ue, ma non considera la mobilità climatica da un prospettiva di adattamento all’interno dei confini e anche il Nuovo patto sulle migrazioni e asilo è considerato come puramente dichiarativo e privo di significativi impegni.
Se quindi da un lato le norme a livello di giustizia climatica rimangono deboli perché prive di un forte intervento politico, dall’altro nella gestione delle migrazioni l’approccio securitario prevale su quello economico e su quello basato sui diritti di migranti e rifugiati. Un miglioramento della governance dovrebbe invece concentrarsi su un mix di questi due, ad esempio promuovendo programmi di mobilità lavorativa e facilitando soluzioni per la protezione di persone costrette a spostarsi a causa di cambiamenti climatici e degrado ambientale.