Open access, global access: la scienza aperta guarda al Sud del Mondo. Una piattaforma panafricana condivisa a modello per gli altri Paesi Covid-19 ha dimostrato l’importanza di accedere ai dati

Open access, global access: la scienza aperta guarda al Sud del Mondo. Una piattaforma panafricana condivisa a modello per gli altri Paesi

Covid-19 ha dimostrato l’importanza di accedere ai dati

Green e libre: verde e libera, così dovrebbe essere, negli intendimenti dell’Unione europea, la ricerca scientifica europea in vista degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. La via cosiddetta verde prevede, infatti, che i suoi contenuti in formato digitale siano disponibili negli archivi istituzionali aperti e in Creative Commons per una libera condivisione.

In virtù della spinta crescente verso l’open access, molta strada è stata percorsa a partire dalla prima iniziativa di Budapest del 2001 e dalla dichiarazione di Berlino del 2003 per abbattere sia le barriere tecniche, legali e finanziarie, sia le restrizioni alla diffusione della cultura scientifica legata alla ricerca. Tuttavia, diverse questioni restano ancora aperte, soprattutto quando quella strada esce dai confini europei e punta verso il Sud del Mondo.

Le lobby delle case editrici ostacolano la diffusione della scienza aperta

Se ne è discusso durante il Convegno nazionale di comunicazione della scienza tenutosi dal 28 novembre al 1° dicembre 2023 a Trieste. A interrogarsi su come cambierà il panorama dell’accesso al sapere scientifico nei prossimi anni e con quali conseguenze per la società, sono intervenuti: Eva Babonich, responsabile della biblioteca del Centro internazionale di fisica teorica “Abdus Salam” (International Centre for Theoretical Physics-ICTP); Lorenzo Carta, che si occupa di public engagement ed evaluation per SISSA Medialab; Nino Grizzuti, professore di ingegneria chimica all’Università di Napoli e coordinatore del gruppo Care (Coordinamento per l’accesso alle risorse elettroniche della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), che gestisce i contratti consortili di editoria digitale di università ed enti di ricerca; Aldo Rampioni, ceo di SISSA Medialab, già responsabile del programma di fisica matematica per Springer Nature.

La rivoluzione digitale degli ultimi decenni ha cambiato profondamente l’accesso al sapere e le modalità della sua diffusione generando una marea di dati, i big data, la cui crescita è esponenziale.  Essi portano con sé non solo informazioni di contenuto, ma anche delle ulteriori informazioni, i metadati, grazie ai quali questi dati possono essere riconosciuti, ritrovati e riutilizzati nuovamente non solo dal proprietario, ma anche condivisi e prima di tutto resi accessibili.

Durante la pandemia da Covid 19 si è visto come l’importanza tempestiva dell’accesso ai dati scientifici fosse vitale per tutta la comunità internazionale. Ma se l’accesso ai dati è precluso ad alcune aree del Pianeta, a causa, per esempio, dei costi che si devono sostenere per leggere alcuni degli articoli scientifici, oppure perché le infrastrutture digitali sono carenti, o perché i dati non sono interoperabili, sarà inevitabile che il divario tra Nord e Sud del Mondo si amplifichi notevolmente.

Il prodotto della ricerca universitaria attraverso cui il sapere scientifico può essere condiviso si manifesta per lo più in articoli scientifici, che sono soggetti a regole di diffusione. A volte queste regole servono a garantire un uso appropriato della letteratura, ma finiscono anche per favorire delle lobby portatrici di interessi economici, per esempio quelli delle maggiori case editrici internazionali che gestiscono dei veri e propri oligopoli.

La governance dei dati digitali dentro e fuori dall’Europa

L’accesso apertodefinito Gold, oggi è spesso offerto previo pagamento da parte dei ricercatori o delle istituzioni universitarie o di ricerca e questo costituisce un limite rilevante di accesso alla ricerca, che in Europa si sta cercando di superare, per esempio puntando a sedi editoriali aperte e con il deposito dei risultati in archivi aperti (Green) nel rispetto del diritto d’autore. A questo proposito, Eva Babonich ritiene che il ruolo delle biblioteche nella promozione di una ricerca aperta ed equa sia fondamentale. Il loro ruolo, negli ultimi trent’anni è cambiato profondamente e oggi si può fruire del patrimonio di una biblioteca semplicemente accedendo a Internet. Questo favorisce una disseminazione importante dei risultati della ricerca e una fruibilità globale della conoscenza anche da parte dei cittadini non esperti.

Parimenti, in vista di una scienza sempre più aperta, quello a cui si punta è anche la creazione di infrastrutture e piattaforme comuni facilmente accessibili, che siano fruibili sia ai ricercatori dei Paesi europei sia a quelli di altri paesi extraeuropei, così da abbattere le barriere di sistema.

In Europa e nelle aree del Pianeta dove lo sviluppo tecnologico è avanzato, si tratta di rendere omogenee e bilanciate le politiche di condivisione dei dati. Per farlo è però necessario contemperare esigenze economiche spesso contrapposte, utilizzando gli strumenti della politica. Nelle aree più fragili del Pianeta, quali l’Africa, l’America latina o parte dell’Asia, è invece prioritario creare condivisione e fare massa critica fra gli scienziati all’interno di quegli stessi Paesi.

Il Sud del Mondo e la nascita di piattaforme condivise

Una buona prassi in questa direzione è stata la creazione, nel 2017, di una piattaforma panafricana dedicata alla condivisione aperta dei dati scientifici: The Africa Open Science Platform, nata con il supporto del Dipartimento sudafricano di scienza e innovazione, l’Accademia delle scienze del Sudafrica e la South African National Research Foundation. Pensata per stimolare il confronto tra gli scienziati africani, li aiuta anche a superare alcune delle difficoltà legate a progetti poco finanziati e a condividere idee e risultati, ma anche software e tecnologia.  

Alcuni collaboratori dell’Africa subshariana, durante il Global Voices 2017 Summit a Colombo, Sri Lanka. Immagine di Raphael Tsavkko Garcia 3 dicembre, 2017 (CC BY-NC-ND 2.0).

Sulla base di questo modello si stanno sviluppando piattaforme analoghe in Asia e nel Pacifico, in America Latina e nei Caraibi. Solo così le barriere territoriali di produzione e diffusione della cultura scientifica possono crescere e si può allargare la base di partecipazione al dibattito internazionale dei Paesi economicamente meno avvantaggiati.

La condivisione permanente dei dati passa attraverso l’accesso aperto

Abbiamo chiesto a Paolo Budroni, direttore dell’E-Infrastructures Liaison Office presso la Vienna University Library and Archive Services dell’Università della TU Wien (Technische Universität Wien) e delegato nazionale austriaco nell’E-Infrastructure Reflection Group, cosa si dovrebbe fare per puntare a un accesso aperto che favorisca fattivamente la partecipazione alla conoscenza scientifica anche dei Paesi del Sud del Mondo e migliori lo scambio fra Paesi emergenti. Budroni collabora con organismi operativi e infrastrutture internazionali in Africa e Sud America, nel 2018 ha partecipato al lancio del Centro dati nazionale etiopico (NADRE) e ha collaborato con l’Università di Gondar in Etiopia.

Paolo Budroni, direttore dell’E-Infrastructures Liaison Office presso la Vienna University Library and Archive Services della TU Wien (Technische Universität Wien e delegato nazionale austriaco nell’E-Infrastructure Reflection Group (©LIBER Europe)

“La prima grande sfida – ha dichiarato Budroni ad Agenda17 – è quella di passare dal concetto di ‘condivisione dei dati’ a quello di ‘accesso condiviso e permanente ai dati’. Una volta che si sarà riusciti ad assicurare la condivisione dell’accesso non ci sarà più bisogno di parlare di condivisione dei dati. La seconda sfida è quella di assicurare l’accesso aperto agli strumenti di pubblicazione, e cioè accesso aperto a tutti i sistemi digitali per poter pubblicare liberamente.

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