Lupi e orsi: l’Europa mette in forse la protezione e in Trentino i primi abbattimenti Boitani de La Sapienza e Grignolio di Unife: gestire l’aumento degli esemplari con informazione, comunicazione e condivisione dati e valori della biodiversità

Lupi e orsi: l’Europa mette in forse la protezione e in Trentino i primi abbattimenti

Boitani de La Sapienza e Grignolio di Unife: gestire l’aumento degli esemplari con informazione, comunicazione e condivisione dati e valori della biodiversità

“Ogni volta che c’è un contatto tra specie animali diverse ci sono delle modificazioni comportamentali e sono ormai diversi i filoni di ricerca che studiano il comportamento animale in contesti urbani o rurali. Tuttavia è delicato cercare di capire cosa succede quando gli animali stanno vicino all’uomo e capire, eventualmente, come intervenire e come comportarsi. È prima di tutto una questione di aumento della conoscenza e della ricerca scientifica nonché di condivisione dei dati, ma anche, ed è l’aspetto più complicato, di condivisione dei valori.” È quanto dichiara ad Agenda17 Stefano Grignolio, ricercatore e docente di Gestione della biodiversità presso l’Università di Ferrara.

Recentemente è cresciuto il dibattito sulla presenza dei grandi selvatici nelle aree limitrofe ai territori urbanizzati, in particolare lupi e orsi. La Commissione europea ha definito un “pericolo reale per il bestiame e potenzialmente anche per gli esseri umani” la presenza del lupo in Europa, lasciando intravedere la possibilità di declassarne lo status di protezione. Attualmente, infatti, il lupo è protetto dalla Direttiva habitat 92/43 del 1992, che ne vieta la cattura e l’uccisione deliberata in natura.

Lupi e orsi in Italia: contatti aumentati per la crescita della loro popolazione 

In Italia, l’ultima stima del 2021 attesta a circa 950 esemplari la popolazione alpina di lupi, più circa 2.400 sul restante territorio nazionale. Ci sarebbero dunque circa 3.330 lupi, in ripresa rispetto ai soli 100 individui rimasti nei primi anni Settanta.

Il rilascio di un orso nel progetto Life Ursus (©provincia.tn.it)

L’orso, invece, vive in tre nuclei distinti: due sulle Alpi (in Trentino occidentale e nel Tarvisiano e zone di confine tra Friuli Venezia Giulia, Austria e Slovenia) e uno nell’Appennino centrale. I primi appartengono alla sottospecie europea: tra il 1999 e il 2002, il Parco Adamello di Brenta, con la Provincia autonoma di Trento e l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, ha avviato il progetto Life Ursus, introducendo dieci individui dalla Slovenia meridionale. L’orso bruno marsicano, invece, è una sottospecie autoctona dell’Appennino centrale.

“In Italia – prosegue Grignolio – non abbiamo un processo di urbanizzazione in forte espansione né verso le quote più alte, anzi nei decenni passati abbiamo liberato le Alpi, le zone più rurali e gli Appennini. 

Stefano Grignolio, docente di Gestione della biodiversità presso l’Università di Ferrara (©researchgate.net)

Questo ha portato a un’espansione in primis delle prede e, come conseguenza, a quella di animali come il lupo, che a fine anni Settanta era a rischio di estinzione e isolato in poche aree dell’Appennino. A metà degli anni Ottanta ha raggiunto il Piemonte e si è diffuso velocemente, occupando prima le Alpi per poi scendere in pianura. Quindi gli aumentati contatti con l’uomo nascono dal fatto che la popolazione è cresciuta in termini di numeri e di areale.

L’orso invece ha un’area vitale così ampia che inevitabilmente si incontra con le attività antropiche. Anche qui non siamo noi ad aver occupato il loro spazio, a meno di non fare un confronto rispetto a un millennio fa, ma sono le popolazioni dei grandi mammiferi a essere cresciute a livello europeo.”

Pochi dati per stabilire un trend generale di comportamento

Premesso ciò, possiamo cercare di analizzare come questi animali modificano il comportamento quando sono in contatto con l’uomo, ma allo stato attuale della ricerca non è possibile definire un trend generale.

“I colleghi dell’Università di Sassari – afferma il docente – stanno studiando sei lupi che hanno maggiore contatto con l’uomo e mostrano meno paura, ma a livello italiano non possiamo affermare che la specie manifesta comportamenti differenti.

La presenza del lupo in Italia nel 2020/2021 (©isprambiente.gov.it)

Tanto meno lo possiamo fare con gli orsi. In Abruzzo, dove stiamo portando a termine uno studio con UniFe, ci sono orsi definiti ‘confidenti’ che frequentano molti paesi: analizzandone i ritmi di attività rispetto a quelli degli altri orsi, non abbiamo riscontrato differenze, nonostante anche qui si tratti di poche decine di individui.

Analizzando inoltre gli articoli disponibili sull’interazione tra attività antropiche e comportamento dei mammiferi, emerge la mancanza di informazioni sufficienti: continuiamo a misurare piccoli particolari, ma non siamo in grado di comprendere complessivamente cosa succede.”

Un crollo nel numero di esemplari può essere pericoloso

Recentemente la Provincia di Trento ha stabilito l’abbattimento di due esemplari di lupi del gruppo della Lessinia a seguito di predazioni di animali da allevamento. Si tratta del primo caso di abbattimento nel nostro Paese. Al contempo, anche nei confronti degli orsi i provvedimenti sono di cattura e possibile abbattimento, soprattutto dopo il caso del ragazzo ucciso mentre andava a correre.

“Per quanto riguarda l’orso – afferma ad Agenda17 Luigi Boitani, docente di Ecologia animale e biologia della conservazione presso l’Università La Sapienza – il problema è soprattutto l’incapacità umana di sapersi muovere in un’area dove è presente. Inoltre c’è una responsabilità della Provincia nel non aver informato ed educato abitanti e turisti.

Luigi Boitani, docente di Ecologia animale e biologia della conservazione presso l’Università La Sapienza (©uniroma1.it)

Il caso del lupo è diverso perché nel Trentino, soprattutto nella zona in cui è stato richiesto l’abbattimento, gli allevatori hanno lavorato molto per difendersi ma hanno comunque subito diversi danni. Bolzano, invece, che chiesto l’abbattimento in un territorio dove allevatori e agricoltori hanno deciso di non fare prevenzione: qui è chiaro che il torto passa a loro.

Si tratta quindi di corretta gestione, informazione, adozione di strumenti di difesa come cani da guardiania e recinti adeguati, investimenti e, qualora necessario, anche qualche abbattimento.”

“Un approccio scientifico moderno – concorda Grignolio – avrebbe dovuto far sì che la Provincia pubblicasse i dati disponibili affinché qualsiasi ricercatore potesse analizzarli e aiutare a fornire maggiori informazioni sulle aree con più probabilità di contatto o sugli esemplari radio collati con abitudini più pericolose.

Non è poi da escludere la possibilità di togliere pochi singoli individui dalla natura al fine di conservare i grandi mammiferi: nonostante dal punto di vista etico sia più o meno accettabile, può essere conveniente togliere uno o due lupi perché così è probabile che calino la pressione sociale e la possibilità che, ad esempio, qualche stupido posizioni bocconi avvelenati o spari agli animali.

Tra i motivi che hanno permesso di salvare il lupo dall’estinzione, anche il cambiamento nella percezione e l’accettazione culturale (©isprambiente.gov.it)

L’idea invece di ridurre i conflitti abbattendo in modo drastico il numero degli animali sarebbe devastante dal punto di vista della conservazione della specie, ma anche pericoloso. Potrebbe infatti innescarsi un processo per cui i restanti animali sono più agitati e stressati e magari si nascondono in prossimità dell’uomo (fenomeno detto ‘scudo umano’: ad esempio gli ungulati lo fanno perché per difendersi dai predatori).

Inoltre, se tale vicinanza non è pericolosa iniziano a sfruttare il contesto ma ciò non vuol dire modificarne il patrimonio genetico, perché il comportamento è anche questione di plasticità. Pertanto, può essere semplicemente che gli individui più coraggiosi di una specie inizino a vivere più vicino all’uomo, si abituano, sono plastici e adattano di conseguenza il loro comportamento.”

La prevenzione si basa su comunicazione scientifica e informazione

A fine mese, l’Università di Ferrara, in collaborazione con la Società teriologica italiana e il Museo civico di storia naturale, organizza due giornate sulla coesistenza tra mammiferi selvatici e uomo, con esperti da tutto il territorio nazionale.

“Condividere la conoscenza – afferma Grignolio – significa fare educazione e trasmissione delle informazioni. Tornando all’esempio del Trentino, qualsiasi tecnico sa che se c’è un comportamento pericoloso come correre nei boschi, soprattutto all’imbrunire e quando gli orsi hanno i piccoli, in primavera e inizio estate, il rischio aumenta.

Quanto però è stata formata e informata la società in quei territori? Negli Stati Uniti e in Canada c’è molta formazione sui cittadini: certo le tragedie possono succedere ugualmente, ma la cosa fondamentale è fare comunicazione.”

“C’è sicuramente una mancanza di informazione – aggiunge Boitani –. Ci siamo dimenticati come si va in montagna e come ci si rapporta a questi animali. Sull’arco alpino, ad esempio, la gente si è dimenticata come detenere gli animali domestici insieme al lupo, tuttavia per secoli l’uomo ha convissuto con lupi e orsi, anche eliminando qualche esemplare se necessario.”

Non solo conoscenza: l’importanza di condividere i valori e raccogliere dati

“Un secondo aspetto su cui investiamo poco – aggiunge Grignolio – è la condivisione dei valori: dobbiamo chiederci se e quanto sia importante avere quegli animali in quei luoghi. Personalmente ritengo che un ecosistema più strutturato sia un vantaggio, ma il mio valore etico è diverso da quello di un agricoltore o un allevatore che potrebbero subire dei danni. 

(©wwf.it)

Finché non arriviamo a una condivisione a livello di società, per cui il pastore accetta il costo di una pastorizia diversa, la società lo aiuta, tutti vediamo il vantaggio di investire per una coesistenza equilibrata, allora sarà semplicemente l’opinione di uno contro quella dell’altro. Se invece riusciamo a trovare un compromesso, e spetta al legislatore e alla buona politica farlo, arriveremo a qualcosa di più robusto e meno influenzato dal primo politico o rappresentante di qualche lobby che si alza e inizia a urlare.”

Infine, occorre lavorare sui dati. “Dobbiamo fare attenzione – conclude Grignolio – a trasformare i vari ‘si sentono’ e ‘si segnalano’ in numeri reali: spesso gli animali sono tanti o pochi a seconda dell’umore e della situazione. Dobbiamo invece trasformare le informazioni che arrivano, che sono quelle che poi vanno sui media e che hanno effetto sui politici, in monitoraggio ambientale.

La conservazione della biodiversità è una scienza di crisi: interveniamo sempre quando abbiamo il cinghiale nelle città, un attacco dell’orso o una razzia del lupo. Ma quando il problema immediato non c’è, dobbiamo cercare di aumentare le nostre conoscenze e condividerle il più possibile in modo che siano i comportamenti delle persone che vanno a ridurre i conflitti. Immaginarsi poi che la gente accetti e basta di rinunciare a certe attività in certi luoghi è ingenuo, per cui bisogna entrare nella coscienza comune lavorandoci, deve diventare cioè un valore condiviso.”

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