Covid-19: il rifiuto del booster. Se la comunicazione è confusa diventa decisiva la fiducia nelle relazioni personali I risultati di una ricerca Unife. Va ripensato il modello comunicativo, anche al di là della pandemia

Covid-19: il rifiuto del booster. Se la comunicazione è confusa diventa decisiva la fiducia nelle relazioni personali

I risultati di una ricerca Unife. Va ripensato il modello comunicativo, anche al di là della pandemia

Sulle misure da adottare per tutelarsi dal Coronavirus, i cittadini italiani hanno percepito uno scompenso informativo che ha prodotto l’esitazione verso le dosi booster. 

È questa la principale conclusione di uno studio finanziato dall’Università di Ferrara, pubblicato sulla rivista Mediascapes Journal

In una crisi sanitaria globale, una comunicazione chiara e attendibile tra istituzioni, esperti e cittadini è decisiva per il successo della campagna vaccinale. Gli italiani, però, hanno rilevato diverse criticità nell’approccio comunicativo che si è sviluppato in Italia. 

Il “frullato comunicativo” delle fonti d’informazione ha minato la fiducia

Analizzare le motivazioni di coloro che, dopo anni di pandemia, hanno avuto qualche esitazione rispetto alla vaccinazione è necessario per non fare di ogni erba un fascio: troppo spesso sono stati confusi i cittadini che hanno manifestato preoccupazione per eventuali effetti collaterali con i cosiddetti “no-vax”. 

L’iniziale confusione che si creò attorno al vaccino Astrazenenca non fu certo d’aiuto su questo aspetto che richiede – come sottolineano molti studi scientifici sull’argomento – una comunicazione chiara, trasparente e che non banalizzi i timori assumendoli a meri pregiudizi irrazionali. 

È necessario considerare che la pandemia di Covid-19, e la conseguente campagna di vaccinazione, rappresentano una peculiarità rispetto alle vaccinazioni pediatriche sulle quali si è concentrata la letteratura scientifica che ha indagato il fenomeno dell’esitazione finora. Si tratta, infatti, della prima pandemia nella storia in cui l’ecosistema mediatico e i social media hanno prodotto quella che è stata definita infodemia, ovvero la diffusione di massiccia quantità di informazione tale da rendere complesso orientarsi. 

Tuttavia, se i timori verso la cosiddetta infodemia devono essere ridimensionati alla luce dell’elevato tasso di vaccinazioni registrato, è fondamentale considerare il ruolo delle fonti d’informazione in contesti di incertezza. 

La qualità della comunicazione scientifica, i canali di comunicazione utilizzati per informarsi, la fiducia nelle fonti d’informazione, negli esperti scientifici e nelle organizzazioni sanitarie hanno quindi acquisito un ruolo centrale nell’analisi del fenomeno dell’esitazione. 

La comunicazione che ha invaso quotidiani e programmi radio e televisivi non sembra aver aiutato a dipanare i dubbi di alcuni cittadini, alimentando semmai i dubbi e le perplessità. 

La massiccia presenza di esperti scientifici (virologi, epidemiologi, statistici, immunologi, ecc…) è stata certamente una novità costante durante l’emergenza sanitaria. Eppure, come già avevano anticipato studi quantitativi come quelli dell’Osservatorio scienza e società di Observa Science in Society, questa costante polifonia di opinioni ha ingenerato confusione nel pubblico.

 L’effetto, a distanza di mesi, pare essere stato un frullato comunicativo che fa prevalere lo spaesamento tra gli spettatori e i lettori. Gli studi scientifici sulla comunicazione del rischio, invece, ci ricordano che la fiducia e la credibilità delle fonti d’informazione assumono un ruolo determinante nell’influenzare l’attenzione, l’accettazione e il possibile sostegno dei cittadini alla campagna vaccinale. 

Nello scompenso informativo prevale la fiducia nelle relazioni personali rispetto ai media 

Lo studio, condotto dal team ferrarese nell’ambito del progetto “NO Esitazione (‘NOE’) – Per una comunicazione efficace della vaccinazione anti Covid-19”, finanziato dal Fondo per l’incentivazione alla ricerca (Fir) dell’Università di Ferrara, mostrano che i media digitali sono spesso percepiti come un canale con informazioni scientifiche meno affidabili, soprattutto rispetto ai media tradizionali. 

Secondo i ricercatori ferraresi il fenomeno dell’esitazione verso le dosi di richiamo può essere, almeno in parte, ricondotto a quello che viene definito “scompenso informativo”, ovvero un disallineamento tra la quantità (e qualità) di informazione considerata sufficiente per poter scegliere se aderire o meno alla campagna vaccinale e quella effettivamente ricevuta. 

A questo va aggiunto che i cittadini coinvolti nello studio hanno percepito la comunicazione condotta nei media tradizionali come unilaterale. Pur esprimendo un desiderio di informazione, gli esitanti coinvolti nella ricerca nutrono una profonda insoddisfazione per le narrazioni mediatiche circolanti e per il frame egemonico, teso ad annullare ogni possibilità di lettura alternativa.

Un altro risultato rilevante è quello che i ricercatori chiamano “disallineamento informativo”, ovvero la prevalenza delle fonti dirette sulla comunicazione mediale e istituzionale. 

In altre parole, laddove i cittadini esitanti dispongano dell’opinione di un parente, un amico o un conoscente di cui si fidano, tale opinione tende a prevalere sulle informazioni a cui si è esposto attraverso i social network e i media tradizionali. 

Pro-vax, no-vax ed esitanti: categorie da ripensare

La ricerca spalanca le porte a futuri approfondimenti sulla necessità di ripensare la categoria “no-vax”. 

Nell’era pre-Covid, l’esitazione vaccinale è stata definita dall’Organizzazione mondiale della sanità come “il ritardo nell’accettazione o rifiuto dei vaccini, nonostante la loro disponibilità”. Una definizione che ha ben interpretato i movimenti di esitazione vaccinale che si sono succeduti dall’Inghilterra vittoriana sino a oggi, ma che ha incontrato nella vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2 una nuova frontiera: la progressiva disaffezione verso le vaccinazioni anche da parte dei cittadini che avevano inizialmente aderito alla campagna vaccinale. 

Non un rifiuto pregiudizievolmente contrario, bensì una quota di persone che sfuggono alla stringente definizione di “esitazione” finora proposta.
Secondo il team ferrarese, la semplificazione mediatica, in termini di pro e anti-vax, o addirittura di pro e anti-scienza, non aiuta dunque la comprensione di un fenomeno peculiare. L’esperienza pandemica maturata sin qui potrebbe e dovrebbe invece essere utile per ripensare la comunicazione in situazioni di emergenza e, in generale, i rapporti tra scienza e società.

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