“Se vogliamo affrontare la crisi climatica, dobbiamo occuparci di un punto cieco globale: le ampie reti fungine sotterranee che sequestrano il carbonio e sostengono gran parte della vita sulla Terra”. Questa l’opinione di Merlin Sheldrake, biologo e autore di Entangled Life: How Fungi Make Our Worlds, Change Our Minds, and Shape Our Futures e di Toby Kiers, professoressa di biologia evolutiva alla Libera università di Amsterdam e co-fondatrice della Society for the Protection of Underground Networks (SPUN).
SPUN è un’associazione nata con l’obiettivo di mappare e preservare il network fungino sotterraneo. I fondatori hanno deciso di dare vita a questa società perché – a loro avviso – il mondo ha dato per scontate le reti fungine.
Come racconta Toby Kiers ad Agenda17, “ricercatori, esploratori, comunità locali di diversi continenti, stanno tutti lavorando per mappare gli ecosistemi sotterranei, non contemplati dalle agende per la conservazione e il clima. SPUN costituisce un segnale. È un nuovo punto di vista all’azione per il clima.”
Per capire meglio le parole di Kiers riguardo al progetto SPUN, bisogna fare un passo indietro e gettare uno sguardo al regno dei funghi. Questo regno ha avuto le sue peripezie nel corso della storia: lo stesso Linneo, che ideò la classificazione scientifica degli organismi viventi dando loro nome e cognome, cadde nell’errore di considerare i funghi appartenenti al regno vegetale.
Un regno complesso con milioni di specie sconosciute
Il regno dei funghi è estremamente vario e questa peculiarità contribuì alle difficoltà iniziali relative alla classificazione. Infatti, oggigiorno, l’identificazione e la classificazione di molte delle nuove specie di funghi avviene spesso tramite tecniche avanzate di biologia molecolare.
Il rapporto State of the World’s Plants and Fungi 2020 pubblicato dalla Royal Botanic Gardens (KEW), basato su pubblicazioni scientifiche open-access, riporta il numero di 148mila come le specie di funghi attualmente identificate. Ma gli scienziati credono che più del 90% delle specie sia ancora sconosciuto e stimano che sulla Terra siano tra i 2,2 e i 3,8 milioni.
La classificazione dei funghi è quindi una questione complicata e al contempo un elemento molto importante, perché permette in primis di studiarli e conoscerli.
Nell’immaginario collettivo, quando ci riferiamo ai funghi pensiamo ai frutti che spuntano nei boschi e nei prati. In realtà il regno dei funghi è estremamente vario ed eterogeneo: include organismi unicellulari e pluricellulari, con forme e dimensioni insolite e caratteristiche fisiche e biologiche molto diverse. Sono esseri viventi dotati di grandi capacità di adattamento e dalle caratteristiche metaboliche uniche e straordinarie e hanno avuto un ruolo centrale nel plasmare la vita sulla Terra.
I funghi a prima vista sembrano meno complessi di altri organismi, invece sono capaci di rapporti sofisticati, di comunicare e collaborare con altri esseri viventi negli ecosistemi terrestri.
Dato questo ruolo centrale, l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) ha più volte richiamato l’attenzione di studiosi e decisori politici sull’importanza di avere dati e informazioni sul regno dei funghi, al pari delle piante e degli animali. Ad agosto 2021, Re:wild, un’organizzazione no-profit, insieme alla Species Survival Commission dell’ IUCN hanno annunciato l’impegno a “incorporare i funghi nelle strategie di conservazione insieme a piante e animali rari e in via di estinzione“, proponendo anche un linguaggio inclusivo nelle comunicazioni istituzionali: si parlerà quindi di “Fauna, Flora and Funga” e “Animals, Fungi and Plants”.
In questo quadro si inserisce il Network per lo studio della diversità micologica, un’iniziativa di open science dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), promossa e sviluppata nel 2020 per lo studio e il monitoraggio dei funghi macromiceti sul territorio nazionale. “Si tratta di un network nazionale per raccogliere dati micologici sul territorio e partecipare alle iniziative europee e globali di censimento e monitoraggio dei funghi allo scopo di stimolare il loro inserimento nelle politiche di tutela – spiegano Massimo Diaco, Responsabile del Network per lo studio della diversità micologica (Ndm) e Francesca Floccia – . Il network è costituito da un gruppo di lavoro interno a Ispra, da un comitato scientifico, dalle unità esterne e dai contributori di dati micologici. Il comitato scientifico, formato da componenti dell’Ispra, della Società botanica italiana (Sbi), dell’Associazione micologica Bresadola (Amb) e dell’Unione micologica italiana (Umi), definisce le attività e l’orientamento delle iniziative e gli standard di censimento e monitoraggio.”
L’efficace collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti ha consentito l’elaborazione del progetto per la strutturazione di una banca dati nazionale, il Sistema informativo della diversità micologica (Sidim), con lo scopo di aggregare dati aggiornati e verificati secondo gli standard riguardo alla distribuzione delle specie fungine italiane.
“Le unità esterne sono enti pubblici o privati che si occupano a vario titolo di micologia: università ed enti di ricerca, associazioni, confederazioni e gruppi micologici, società scientifiche nazionali e internazionali – continuano Diaco e Floccia -. I contributori, infine, sono micologi che inviano a Ispra i dati di censimento e monitoraggio con regole e standard condivisi stabiliti dal network, utilizzando specifiche applicazioni web e mobile.”
Macrofunghi, microfunghi e micorrize
I macrofunghi – come i funghi macromiceti oggetto del progetto avviato da Ispra – sono solo una parte degli organismi che compongono questo regno: sono quelli che vediamo più facilmente, anche se alcuni sembra abbiano preso in prestito un “mantello dell’invisibilità”.
I microfunghi, invece, sono più difficili da individuare e serve un esperto capace di utilizzare metodi e strumenti di raccolta e identificazione differenti. Le nuove tecniche basate sul DNA permettono di rilevare molte specie nuove da campioni ambientali, come il suolo.
“I microfunghi – come ci spiega Elisa Anna Fano del Dipartimento di scienze della vita e biotecnologie dell’Università di Ferrara – compiono una funzione importantissima: la decomposizione della sostanza organica in inorganica, generalmente in presenza di ossigeno. La sostanza inorganica – prevalentemente sali di azoto, fosforo, calcio e manganese – è utilizzata direttamente dalla componente vegetale attraverso le radici.”
Quando la sostanza organica da decomporre è di origine vegetale, sono i microfunghi a governare il processo descritto dalla prof. Fano, mentre il loro ruolo si minimizza quando il materiale è di origine animale, prevalendo l’azione batterica.
Le micorrize sono invece formate da funghi microscopici che si collegano all’apparato radicale delle piante. Si tratta di una relazione simbiotica mutualistica, che permette a entrambi gli organismi (denominati simbionti) di ottenere dei vantaggi per la propria crescita.
“Questi funghi non sono presenti in tutte le piante e la tipologia micorrizica è diversa da pianta a pianta”, come spiega Fano.
Interagendo con il mondo vegetale sequestrano metà delle emissioni annuali di CO2 legate all’energia
I network micorrizici hanno modificato le loro capacità e plasmato la Terra, un’evoluzione avvenuta nell’arco di 475 milioni di anni. “Oltre a mettere a disposizione e muovere nutrienti, le reti di funghi possono aiutare a sequestrare carbonio e proteggere la biodiversità dell’ecosistema”, racconta Kiers. La biologa definisce i funghi come ingegneri ecosistemici invisibili. Ma in che modo i funghi riescono a plasmare gli ecosistemi?
Innanzitutto bisogna ricordare che i funghi – a differenza delle piante – non riescono a costruire autonomamente il proprio cibo, ma devono assumerlo dall’esterno, come gli animali. Essi crescono in grandi reti di cellule tubulari, le ife. Le ife sono cellule lunghe e sottilissime che si espandono nell’ambiente alla ricerca del nutrimento, formando un reticolo complesso, noto come micelio. “Se potessi guardare sotto un singolo ettaro di terreno erboso, troveresti circa 90 miliardi di metri di ife fungine, equivalenti alla lunghezza di 12,9 milioni di fiumi amazzonici”, ci dice Kiers.
Le ife possono essere paragonate a sottilissimi tubicini all’interno dei quali si muovono i nutrienti. Piante e funghi si scambiano risorse essenziali: per il fungo si tratta di zuccheri e grassi. Il micete prende tutto il carbonio direttamente dalla pianta. “Così tanto carbonio che ogni anno circa 5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica fluiscono dalle radici delle piante alle reti fungine, pari a più della metà di tutte le emissioni di CO2 legate all’energia nel 2021.
Si stima – continua Kiers – che le piante che forniscono il carbonio alle reti sotterranee immagazzinino circa otto volte più carbonio rispetto agli ecosistemi con vegetazione non micorrizica.” Per contro, alle radici serve fosforo e azoto. In altre parole, i funghi micorrizici devono “negoziare” per sopravvivere: hanno così sviluppato sofisticate strategie, riuscendo a individuare tra i possibili partner le piante che forniscono loro più carbonio.
È importante sottolineare che la relazione simbiotica tra funghi e piante è fondamentale anche per la salute del suolo e ciò si realizza non solo nei boschi e nelle foreste, ma nella maggior parte degli ecosistemi. “Le reti micorriziche sono un importante serbatoio di carbonio globale e lo movimentano anche nella produzione degli essudati fungini, composti organici persistenti che aiutano a formare aggregati del suolo più forti e ne riducono i tassi di erosione.”
Comprendere i fini meccanismi che regolano i modelli di flusso all’interno delle reti fungine, significa quindi individuare come sfruttare il potere delle associazioni micorriziche per immagazzinare carbonio, mitigare l’effetto serra e sostenere la salute degli ecosistemi.
La piantumazione di nuovi alberi non è sufficiente per affrontare la crisi climatica
Alla luce di queste interazioni, le iniziative di forestazione potrebbero sembrare ancora più promettenti per affrontare l’effetto serra e la crisi climatica, ma non bisogna sottovalutare certi aspetti.
Agenda17 ha già trattato brevemente il dibattito scientifico riguardante la forestazione e anche la prof. Fano ribadisce alcuni punti chiave: “Il processo di abbattimento della CO2 è mediato dall’incremento di produttività vegetale, ma ovviamente con una maggiore biomassa vegetale prodotta si accresce la quantità di materiale vegetale che morirà e andrà incontro a decomposizione, con produzione finale di altra CO2.
Bisogna quindi studiare i tempi di questi processi, non solo le quantità. Il cambiamento climatico deve essere limitato con l’aumento della fotosintesi e con lo stoccaggio di carbonio in materiale detritico di lenta decomposizione. La piantumazione di nuovi alberi – prosegue Fano – favorirebbe la sottrazione della CO2 dall’atmosfera, ma non tutti gli alberi hanno la stessa efficienza nel farlo e soprattutto l’effetto di questa azione può essere diversa a seconda di dove gli alberi sono piantati.” Si tratta di un punto centrale alla luce dei 330 milioni di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il Piano di forestazione urbana ed extraurbana.
Miconauti di tutto il mondo unitevi per scoprire il “wood wide web” sotto i piedi.
Lo sguardo deve quindi rimanere aperto alla complessità degli ecosistemi e le sfide globali potranno essere affrontate solo con una visione sistemica e multidisciplinare. Per questo motivo è ancora più importante che iniziative come SPUN e Ndm dell’Ispra siano Open Science.
Si tratta di esempi di scienza condivisa, in cui i dati, i metodi e i processi sono pubblicamente resi noti e condivisi a tutti i portatori di interesse: dai comuni cittadini, ai ricercatori, fino a coloro che si occupano di politiche ambientali. “Consolidando la banca dati nazionale, il progetto potrà aumentare la conoscenza dei funghi non solo degli studiosi di micologia, ma anche e soprattutto dei decisori politici che sono impegnati nella lotta e mitigazione del cambiamento climatico” affermano Francesca Floccia e Massimo Diaco.
Questo approccio segna un importante punto di svolta nelle agende di conservazione della biodiversità e per la sfida del cambiamento climatico, perché crea relazioni tra gli enti di ricerca, le associazioni, i gruppi micologici e le comunità locali. I responsabili di Ndm raccontano che la dinamicità è certamente un punto di forza del progetto, perché consente di canalizzare le conoscenze in modo da non disperderle, unirle e renderle operative.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Toby Kiers, che lancia una vera e propria call to action: “Il nostro obiettivo è supportare i miconauti di tutto il mondo per campionare ecosistemi remoti e scoprire il wood wide web sotto i loro piedi. Ci auguriamo che le persone si uniscano al movimento SPUN proteggendo le loro reti e diventando miconauti.
”La Kiers conclude ricordandoci che non esiste “un silver bullet” per salvare il pianeta, ma i funghi e le loro relazioni ecosistemiche devono essere parte della soluzione del problema. Non vi è dubbio che iniziative come SPUN e Ndm rappresentino un nuovo modo di guardare alle sfide globali: sta nascendo un “movimento climatico sotterraneo”, che va supportato e incoraggiato.