Contro la città autoritaria. L’associazione Sex and the City studia Milano dal punto di vista delle donne: dagli spazi pubblici a quelli di cura domestici Esperienze dirette contro la paura nei luoghi urbani e progetti di abitare collettivo  collaborativo oltre i legami di sangue

Contro la città autoritaria. L’associazione Sex and the City studia Milano dal punto di vista delle donne: dagli spazi pubblici a quelli di cura domestici

Esperienze dirette contro la paura nei luoghi urbani e progetti di abitare collettivo collaborativo oltre i legami di sangue

“Quando ci si occupa di città ‘a misura di donna’ l’unica soluzione è dare voce alle donne: non possiamo ipotizzare cosa è meglio per loro se non glielo abbiamo mai chiesto. Nelle nostre ricerche partiamo da queste domande, concentrandoci in particolare sul tema del lavoro di cura nella famiglia e su quello della percezione della paura nei luoghi dell’abitare, perché è attorno a essi che si ancorano le grandi differenze della vita quotidiana tra uomini, donne e minoranze di genere.” È quanto dichiarano ad Agenda17 Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, ricercatrici e fondatrici dell’associazione di promozione sociale (Aps) Sex & the City

Una città a misura di donna, lo abbiamo visto, è una città che va bene per tutti perché è una città della cura e della relazione, basata sull’uguaglianza, la convivenza e il rispetto reciproco. È una città consapevole dei bisogni di donne e minoranze di genere e che da essi riparte per ripensare i propri spazi: per questo l’associazione Sex & The City, nata a Milano nel 2022, lavora per integrare la dimensione di genere nella riflessione sulla città, attraverso progetti di ricerca e incontri pubblici.

L’associazione organizza anche corsi sulla relazione tra genere e spazio domestico (ⓒsexandthecity.space)

“Noi partiamo dal fatto – spiega Andreola – che le città sono poco rispondenti ai bisogni delle donne e delle minoranze di genere a causa di un’impostazione sociale che ha sempre escluso le donne dallo spazio pubblico per tenerle più vincolate a quello domestico. Da un lato, quindi, analizziamo e mappiamo gli spazi della città per capire quali sono i bisogni, dall’altro lavoriamo sul tema dell’abitare e dello spazio domestico, che, per come è strutturato, continua a incentivare il mantenimento dei tradizionali ruoli di genere.

Da tutto ciò emerge che occorre realizzare nuove forme di vivere collaborativo per migliorare la condizione femminile e per rendere visibile e condiviso il lavoro di cura svolto dalle donne.” 

Paura negli spazi pubblici: le donne devono essere libere, non coraggiose

Nel 2021, Sex & The City ha pubblicato Milan Gender Atlas (Milano Atlante di genere), che contiene una mappatura della città basata sulla condizione di vita quotidiana di donne e minoranze di genere: gli usi specifici della città legati al genere (supporto al lavoro di cura, welfare, servizi), la sfera simbolica della rappresentazione pubblica, la percezione della sicurezza, il sex work e i servizi di medicina di genere. Recentemente i loro studi sono confluiti nel libro “Libere, non coraggiose. Le donne e la paura nello spazio pubblico”, che affronta nello specifico il tema dell’insicurezza. 

“In questo libro – prosegue Andreola – abbiamo cercato di offrire una lettura critica di come si stia strumentalizzando il tema della paura delle donne nel nome della gentrificazione: poiché alcune aree sono pericolose, si marginalizzano i gruppi fragili in modo da rendere le donne sicure nel nome di un decoro urbano come unica politica possibile. Ma il tema dell’insicurezza è più ampio e inevitabilmente connesso alla questione della cura.”

I fattori che influenzano la percezione di sicurezza nelle donne secondo il progetto Step Up (©sexandthecity.space)

Ecco quindi che, per affrontare il tema della paura negli spazi urbani partendo direttamente dalle donne, l’associazione ha adottato lo strumento delle camminate esplorative. “A partire dalla pubblicazione del Milan Gender Atlas – spiega Muzzonigro – con il Comune si sono attivati diversi progetti tra i quali le camminate esplorative: uno strumento di partecipazione e ascolto delle donne in cui si esplorano le criticità da esse esperite camminando insieme, amministratori pubblici e cittadinanza.”

Sull’idea della camminabilità notturna della città si basa anche il progetto di ricerca scientifica “Step Up – Walkability for Women in Milan”, coordinato da Transform Transport in collaborazione con TeMA Lab-Università degli studi di Napoli Federico II e Walk21 Foundation.

“L’organizzazione non governativa Walk21 – prosegue Muzzonigro – ha prodotto un’app con la quale le donne possono mappare i luoghi dell’insicurezza dandone una loro valutazione: tali mappature digitali possono costituire la base di un discorso più ampio sulla sicurezza.

Inoltre, con il Comune e Avventura urbana stiamo per iniziare un progetto di gruppi di ascolto di donne nei diversi municipi: quindi tutte le tematiche che abbiamo sollevato stanno evolvendo verso un processo partecipativo abbastanza esteso.”

La cura deve partire dall’abitare collettivo collaborativo

Ma come si può realizzare oggi, concretamente, una città che riconosca e renda condiviso il lavoro di cura? “Anzitutto – risponde Andreola – iniziando a ragionare sullo spazio domestico in maniera nuova: la casa deve diventare un luogo nel quale le persone vivono in base non necessariamente ai soli legami di sangue, ma anche a quelli affettivi di scelta attorno cui costruire rapporti di mutuo supporto e mutuo soccorso. 

Per far questo la prossimità è fondamentale: nel sistema attuale le case sono sempre più piccole e isolate e questo porta con sé una frammentazione delle relazioni. Ciò che invece cambierebbe in un abitare collettivo collaborativo è il fatto di avere vicino una costellazione affettiva che semplifica il lavoro di cura nella logica della distanza ravvicinata, ad esempio permettendo a famiglie diverse di crescere assieme i propri figli.” 

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Azzurra Muzzonigro e Florencia Andreola, ricercatrici e fondatrici di Sex & The City (©sexandthecity.space, foto di Donata Zanotti)

Esempi in tal senso ce ne sono diversi. A Milano il Borgo Intergenerazionale Greco è un esempio di condivisione di spazi e servizi e fuori dall’Italia ci sono diversi cohousing molto interessanti che, anche senza genderizzare la questione, mettono a tema l’abitare collaborativo in cui ognuno contribuisce con le proprie risorse, economiche ma soprattutto di tempo e capacità.

Uno dei più significativi si trova a Berlino, nei pressi del fiume Spreefeld. È un progetto nato dalla volontà di un gruppo di famiglie, in cui ognuno ha contribuito in base alle proprie possibilità e che comprende attività di economia circolare, come spazi di coworking, altri che permettono l’affitto a cittadini esterni al cohousing e un asilo nido interno al condominio.

“Di soluzioni valide ce ne sono – conclude Andreola – ma in Italia realizzare le cooperative di abitanti è difficile a livello normativo. Ci sono città che stanno lavorando alla realizzazione di cohousing pubblici, che se da un lato sono sicuramente positivi perché le graduatorie vanno in base all’Isee e i progetti sono intergenerazionali, dall’altro lato inevitabilmente in qualche misura standardizzano e rendono quindi più difficile costituire la costellazione affettiva di cui parlavamo prima, per la quale l’iniziativa volontaria basata sulla scelta sembra la via più sicura.”

(Contro la città autoritaria è il manifesto con cui il sociologo Alfredo Alietti e l’architetto Romeo Farinella hanno lanciato l’idea di un confronto interdisciplinare sui luoghi dell’abitare)

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