Amore e amicizia al tempo della guerra in Palestina Il Laboratorio per la pace intervista Cinzia Leone, autrice di una storia che sfida il conflitto e i pregiudizi

Amore e amicizia al tempo della guerra in Palestina

Il Laboratorio per la pace intervista Cinzia Leone, autrice di una storia che sfida il conflitto e i pregiudizi

Possono l’amore e l’amicizia costruire la pace? Sembra vuota retorica, eppure gli scenari di guerra hanno sempre conosciuto, e conoscono tuttora, storie perlopiù non raccontate di persone divise da culture in conflitto tra loro ma unite da profondi legami, che sfidano le armi e i confini per poter stare assieme. Cosa significa oggi dover fuggire dalle proprie famiglie perché non la propria omosessualità non è accettata? Cosa significa per un israeliano e un palestinese, ma così per ogni essere umano, amarsi mentre i loro Paesi si combattono?

All’interno della rassegna “Libri per la pace” promossa dal Laboratorio per la pace dell’Università di Ferrara, l’ultimo libro presentato racconta proprio i temi della pace e della difesa dei diritti attraverso una storia che, seppur romanzata, è più che mai verosimile. Si tratta di “Vieni tu giorno nella notte”, di Cinzia Leone, scrittrice e giornalista che è stata ospite dell’iniziativa ferrarese. Il romanzo narra di un giovane ragazzo italiano di nome Arièl Anav, morto in un attentato a Tel Aviv. La madre, nell’attesa di poterne ritirare il corpo, inizia una ricerca dei suoi ultimi giorni e scopre i suoi segreti: un amore che scavalca muri e un’amicizia che può rovesciare il destino.

La locandina dell’evento (ⓒunife.it)

Abbiamo cercato di approfondire con l’autrice come questa storia si inserisca nella riflessione sui temi della pace e dei diritti umani, oggi minacciati da conflitti sempre più cruenti e indifferenti anche alle basilari norme del diritto internazionale.

Come è nata l’idea di scrivere questo romanzo?

“Volevo raccontare una grande storia d’amore in un conflitto. Il titolo è un verso di Romeo e Giulietta, il cui amore era contrastato da famiglie rivali, e il libro parla dell’amore tra un soldato israeliano e un palestinese fuggito dalla Cisgiordania. È nata da un articolo sul Corriere della Sera che raccontava di come ragazzi omosessuali fuggono dalla Cisgiordania in Israele a causa dell’omofobia delle famiglie.

Ho deciso di raccontare una storia che crea un ponte tra due popoli e due identità: sono quindi andata a conoscere questi ragazzi in fuga tramite le associazioni che si occupano di loro. Ho voluto conoscerli, senza registrare né fare fotografie, siccome molti sono clandestini in attesa del permesso di soggiorno. E quando tre ragazzi sono arrivati mano nella mano con un israeliano mi sono detta: ‘Voglio raccontare questa storia.’

Infatti tra i temi centrali dei miei romanzi ci sono la forza dell’identità e le diverse identità messe a confronto, ma anche i diritti di donne, omosessuali e persone con disabilità. Mi sono resa conto che questa storia avrebbe potuto mettere insieme ed esprimere tutti i temi e gli ideali della mia vita, insomma quello in cui credo.” 

In che modo un romanzo, ovvero una storia inventata, può rappresentare la realtà del terrorismo e della pace?

“Un romanzo può fare tantissimo perché cattura e riesce a raccontare la realtà e delle volte anche più di un saggio. 

Ho lavorato molto per impadronirmi degli aspetti più semplici e banali di quella terra contrastata, raccontando di cene, vini tipici, e le abitudini di un popolo e dell’altro, per restituire al lettore un mondo con tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. I miei sono sempre romanzi di “fantasia”, nonostante mi documenti a lungo, perché sono convinta che tutti noi abbiamo bisogno di invenzioni che raccontino la realtà.

Cinzia Leone, scrittrice e giornalista (ⓒfacebook)

Quello che conta in una storia è che sia verosimile e credibile nel contesto, fedele ai fatti, alle ragioni dell’uno e dell’altro, ma anche capace di portarti lontano con una eccezionalità come, in questo caso, l’amore tra questi due ragazzi.” 

Cosa l’ha spinta a creare un libro ambientato in quel luogo particolare e che inizia con la tematica del lutto?

“Prima di leggere gli articoli su questi ragazzi che fuggivano perché perseguitati in quanto omosessuali, avevo già pensato di ambientare il romanzo in una terra di conflitti ma poteva essere un soldato ucraino che si innamorava di un russo, oppure poteva essere nel conflitto jugoslavo, poi ho scelto di ambientarlo tra Israele e Palestina. 

Noi siamo un Paese che ha avuto settant’anni di pace, ma i conflitti nel Mondo sono tantissimi. Io volevo raccontare un amore contrastato: nessuno di noi si ricorda più perché i Montecchi e i Capuleti erano nemici, però tutti ci ricordiamo di Romeo e Giulietta.

A un certo punto, questa piccola idea di ragazzi in fuga che vogliono poter amare a modo loro e non riescono a farlo perché le famiglie li ostacolano mi è sembrata una grande occasione per raccontare una storia che supera tutti i muri, un messaggio di pace. 

Spesso in guerra l’amore unisce storie apparentemente impossibili. Noi dobbiamo puntare su questo, perché la pace si costruisce scavalcando i muri e creando legami tra popoli diversi. Dopo la morte del ragazzo la madre deve ricostruire la vita del figlio e tutto quello che ha perduto di lui. Per questo decide di incontrare e fare amicizia con chi lo ha amato: solo mantenendo la nostra identità ma imparando a conoscere quella dell’altro possiamo costruire la pace. 

Credo che sia la grande lezione della vita e, soprattutto, delle donne. Non è un caso che siano la mamma dell’israeliano e quella del palestinese a fare amicizia e a capirsi, perché le donne danno la vita e, proprio per questo, sono capaci di ricucirla. Questo è un romanzo di due ragazzi che si amano, ma anche un romanzo di donne che prendono in pugno l’assenza e la ripercorrono ostinatamente.

Il mio è un romanzo d’amore e di pace in un quadrante di conflitto. È uscito prima del 7 ottobre e cerco di diffondere con orgoglio e amore questo messaggio di pace che adesso sembra impossibile, ma sono sicura che il tempo ricucirà̀ le ferite.

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