Le Convenzioni di Ginevra 75 anni dopo. Verso la fine del diritto in tempo di guerra? Sempre più difficile tutelare feriti e personale medico e proteggere prigionieri e civili Minor distinzione  fra militare e civile e nuove terribili forme di violazione del diritto umanitario

Le Convenzioni di Ginevra 75 anni dopo. Verso la fine del diritto in tempo di guerra? Sempre più difficile tutelare feriti e personale medico e proteggere prigionieri e civili

Minor distinzione fra militare e civile e nuove terribili forme di violazione del diritto umanitario

Settantacinque anni fa, il 21 aprile 1949, iniziarono a Ginevra, sotto la presidenza del consigliere federale svizzero Max Petitpierre, i lavori per la redazione finale delle quattro Convenzioni di Ginevra concernenti la protezione delle vittime di guerra e regole sulle modalità di conduzione dei conflitti armati; saranno approvate il successivo 12 agosto per entrare in vigore il 21 ottobre 1950. 

La prima e seconda Convenzione impegnano i belligeranti a proteggere in modo particolare i malati, i feriti, i naufraghi, il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La parte belligerante, nelle cui mani si trovano le persone protette, deve garantire loro cure e assistenza. La terza Convenzione contiene regole particolareggiate sul trattamento dei prigionieri di guerra e la quarta protegge da atti di violenza e dall’arbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato. 

L’articolo 3, comune alle quattro Convenzioni, estende le norme di protezione dei civili e dei militari “fuori combattimento” anche alle guerre di carattere non internazionale, destinate a divenire le più frequenti: guerre civili tradizionali, conflitti armati interni che si estendono ad altri Stati o conflitti interni in cui Stati terzi o una forza multinazionale intervengono a fianco del Governo. L’articolo 3, pur essendo di fondamentale importanza, fornisce solo un quadro rudimentale di standard minimi e non contiene molti dettagli. 

Il dettato delle Convenzioni è completato dai Protocolli aggiuntivi del 1977, entrati in vigore nel dicembre 1988; il primo Protocollo a precisa e dettaglia le disposizioni sulla conduzione della guerra, in particolare il divieto di attaccare persone ed entità civili e la limitazione dei mezzi e dei metodi impiegabili; il secondo Protocollo tratta sinteticamente dei conflitti armati non internazionali. 

Alle 4 Convenzioni hanno aderito formalmente tutti i 196 Paesi del Mondo, per cui sono di fatto e di diritto universali; invece alcuni Stati non hanno aderito ai Protocolli aggiuntivi, che hanno attualmente 174 e 169 parti, rispettivamente; lo statuto di Roma della Corte penale internazionale (1998), che si occupa anche dei crimini di guerra, ha solo 124 adesioni.

Difficile applicare il diritto umanitario per la crescente commistione fra civile e militare

La guerra di fatto sospende la maggior parte dei diritti umani riconosciuti internazionalmente, incluso lo stesso diritto alla vita; nel processo dalla pace alla preparazione della guerra e al conflitto armato i diritti via via diminuiscono e le norme umanitarie precisano appunto quali diritti vanno preservati per i combattenti regolari, la popolazione civile, i Paesi neutrali e per i combattenti in formazioni irregolari. 

Le Convenzioni di Ginevra sono il punto di arrivo dello sviluppo del pensiero umanitario giuridico e dei principi di politica internazionale messi a punto nell’Ottocento e culminati in precise convenzioni. Vanno ricordati in particolare il codice Lieber (1863), la dichiarazione di San Pietroburgo (1866), i lavori dell’Istituto legale internazionale (1880) e le conferenze internazionali svoltesi a Ginevra e all’Aia negli anni 1864, 1899, 1906, 1907 e 1929, che sfociarono in diversi accordi concernenti la protezione delle vittime di guerra e la regolamentazione delle modalità di conduzione delle operazioni armate.

Particolarmente importante (e di tragica presente attualità) la clausola proposta dal diplomatico russo Friedrich Fromhold von Martens (1899): “in attesa che venga enunciato un Codice più completo delle leggi relative alla guerra, le Alte Parti Contraenti reputano opportuno constatare che, nei casi non compresi nelle disposizioni adottate in questa occasione, le popolazioni civili e i belligeranti restano sotto la salvaguardia e l’imperio dei principi del diritto delle genti, quali risultano dagli usi stabiliti fra le Nazioni civili, dalle leggi dell’umanità e dalle esigenze della pubblica coscienza”. Cruciale anche il fondamentale principio generale (articolo 22 della IV Convenzione del 1907) che “i belligeranti non hanno un diritto illimitato nell’impiego dei mezzi adottati per ferire e colpire il nemico.”

La seconda guerra mondiale venne combattuta a una scala senza precedenti e le leggi raggiunte dalla comunità internazionale per limitare la violenza dei conflitti furono regolarmente e massicciamente violate da tutti i belligeranti, fino al pieno e deliberato coinvolgimento delle popolazioni civili, causato in parte dalla spersonalizzazione della guerra, dovuta alla distanza e ai mezzi meccanici interposti fra gli attori e le vittime. 

Si rendeva quindi necessario rilanciare il diritto umanitario e ribadire e aggiornare i limiti all’azione militare, in particolare contro la popolazione e i beni civili. Le Convenzioni di Ginevra (completate dai Protocolli) soddisfano appunto tale esigenza, offrendo protezione alle vittime di guerra e limitando i mezzi e i metodi di guerra consentiti; in particolare, proibiscono esplicitamente violenze alle persone, tortura, mutilazioni o trattamenti crudeli, la presa di ostaggi, deportazione, oltraggi alla dignità personale, esecuzione di sentenze al di fuori della regolare giurisdizione civile, forme di terrore. 

Rimanevano tuttavia due importanti ostacoli all’applicazione di questi trattati agli correnti conflitti armati. In primo luogo, i trattati si applicano solo agli Stati che li hanno ratificati. Ciò comporta che differenti trattati di diritto internazionale umanitario si applicano nei diversi conflitti armati, a seconda dei trattati che gli Stati coinvolti hanno ratificato. In secondo luogo, questa ricchezza legale non regolamenta in modo sufficientemente dettagliato gran parte degli attuali conflitti armati, che per la maggior parte non sono internazionali e sono soggetti quindi a un numero molto inferiore di norme rispetto ai conflitti fra Nazioni. 

Nel dicembre 1995, la 26a Conferenza internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa ha incaricato il Comitato internazionale della Croce rossa (ICRC) di preparare un rapporto sulle norme consuetudinarie di diritto internazionale umanitario applicabili sia nei conflitti armati internazionali che quelli non internazionali. L’importanza del diritto consuetudinario sta nella sua validità per tutta la comunità mondiale, a prescindere dalla ratifica formale da parte dei singoli Stati, essendo riconosciuto come “una prassi generale accettata come legge”. La commissione internazionale di giuristi incaricata dall’ICRC ha prodotto nel 2005 il corpo delle norme umanitarie consuetudinarie da rispettare da ogni stato in ogni conflitto armato. 

Le norme enfatizzano quattro principi fondamentali, che devono venir rispettati universalmente: la necessità militare, la distinzione fra civili e militari, la proporzionalità fra risultati militari e danni “collaterali” e l’esigenza di umanità nella conduzione dei conflitti, a conferma del sostanziale carattere limitato dell’uso lecito della forza militare, le necessità della guerra dovendo cedere di fronte alle esigenze di umanità.

A fronte della maggiore partecipazione dei civili alle ostilità, è prevista la regola basilare che essi beneficiano sempre della protezione contro attacchi “a meno che non prendano parte diretta alle ostilità, e per la sola durata di tale partecipazione.”

L’applicazione di tale dettato è particolarmente delicata nella corrente situazione caratterizzata da tre tendenze: il netto spostamento delle ostilità nei centri abitati, compresi i casi di guerra urbana, con una commistione senza precedenti tra civili e attori armati; l’aumento dell’esternalizzazione di funzioni militari tradizionali a personale civile, come appaltatori privati o dipendenti governativi; infine, le persone che partecipano direttamente alle ostilità evitano di distinguersi adeguatamente dalla popolazione civile. 

Nel 2009, il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha emanato una guida ai Governi su come proteggere i civili nelle guerre contro attori non statali. Il documento dell’ICRC stabilisce il principio secondo cui i civili che non prendono parte diretta alle ostilità devono essere distinti non solo dalle forze armate, ma anche da coloro che partecipano alle ostilità “solo su base individuale, sporadica o non organizzata”. Molti Paesi hanno deciso di respingere la guida dell’ICRC, fra cui Israele, Regno Unito e Stati Uniti. 

La situazione attuale: verso la fine di un ordine basato sulle regole? 

Il quadro del diritto umanitario raggiunto nel 1997 era estremamente confortante, anche se con vari problemi ancora aperti, ma la storia ci ha posto immediatamente di fronte a imbarbarimenti e ritorni a situazioni che sembravano finalmente superate, con la conseguenza di guerre ferocissime, sia civili che internazionali, coinvolgendo in particolare i paesi del Sahel, del Corno d’Africa, del Medio-oriente e, in Europa, del Caucaso e l’Ucraina. 

Il progresso scientifico in disparati campi ha posto a disposizione degli eserciti attuali sistemi avanzatissimi di riconoscimento, comando e controllo e armi “smart” in grado di colpire gli obiettivi con altissima precisione; tali strumenti permettono di discriminare efficacemente obiettivi civili da quelli militari, per cui si poteva sperare un più attento rispetto della norma di distinzione e una maggiore “umanità” nella condotta dei conflitti armati. Invece assistiamo ad attacchi deliberati (e precisi) proprio contro le popolazioni civili e i loro beni e mezzi di sussistenza e di vita sociale, con la distruzione di intere città e causando enormi deportazioni e sfollamenti di milioni di persone. 

Istituzioni internazionali e attivisti per i diritti umani hanno rilevato in molte occasioni crimini sistematici: devastazioni di città e villaggi, non giustificate da necessità militari; esecuzioni sommarie extragiudiziali; torture, maltrattamenti e violazione della dignità umana; stupri; detenzioni illegali; saccheggi e distruzione di proprietà civili e pubbliche.

Nuove terribili forme di violazione del diritto umanitario

Nelle varie guerre sono emerse nuove forme di violazione del diritto umanitario. Così nella seconda guerra cecena (1999-2000) sono stati individuate esecuzioni di prigionieri (da entrambe le parti), prese di ostaggi a scopo di riscatto, sequestro di cadaveri e prelievi e commercio di organi. Nella guerra georgiana (2008), la popolazione civile è stata sottoposta anche ad attacchi con bombe a grappolo. 

Le città e i siti siriani hanno subito distruzioni rovinose nelle perduranti guerre che stanno devastando il Paese, e si sono documentati anche attacchi a civili con armi chimiche. Aleppo è stata praticamente distrutta da bombardamenti russi; tutte le aree della città e i suoi principali monumenti, souk, khan e moschee hanno subito gravi danni. La popolazione è stata pesantemente colpita, privata di acqua, energia elettrica, servizi sanitari ed educativi, con due milioni di profughi e oltre 25mila vittime. 

Investigatori delle Nazioni Unite hanno scoperto che la coalizione di Stati guidati dall’Arabia Saudita nella campagna contro gli Houthi yemeniti (2015) ha colpito aree residenziali, mercati, funerali, matrimoni, imbarcazioni civili e strutture mediche, compresi gli impianti di trattamento delle acque, causando un’epidemia di colera che ha ucciso migliaia di persone, per la maggior parte bambini. 

In Ucraina dobbiamo assistere alla novità dell’occupazione militare della centrale nucleare di Zaporizhzhya e la distruzione sistematica delle reti elettriche e impianti energetici ucraini (strutture specificatamente protette dai trattarti e dalle norme consuetudinarie), la deportazione di bambini e l’uccisione di amministratori pubblici nelle zone occupate. 

Il 7 ottobre 2023 militanti di Hamas (e altre forze jihadiste) hanno attaccato Israele compiendo una strage (circa 1200 vittime e molti feriti), con violenze sessuali su donne e ragazze e il sequestro di circa 240 ostaggi. Da allora, Israele sta reagendo con la sistematica distruzione di Gaza, dei suoi ospedali, edifici di culto, scuole, con moltissime vittime civili (per lo più donne e minori), e ha imposto un blocco prolungato, negando ai palestinesi cibo adeguato, acqua potabile, carburante, accesso a Internet, riparo e cure mediche, fino a colpire deliberatamente anche soccorritori umanitari internazionali. Quasi due milioni di abitanti sono stati forzati a sfollare. La violenza della rappresaglia israeliana ha portato a una denuncia di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia

L’organo indipendente di stampa palestinese-israeliano +972 ha pubblicato in rete lo scorso 3 aprile un rapporto, realizzato con l’agenzia stampa israeliana Local Call, sui metodi di guerra e le regole d’ingaggio dell’esercito israeliano (IDF) nel corrente conflitto, che mette in evidenza particolari violazioni del principio di distinzione e di proporzionalità rispetto ai dettami del diritto umanitario. 

È stato trovato che l’IDF utilizza un programma basato sull’intelligenza artificiale, noto come “Lavender”, per individuare fra la popolazione maschile di Gaza i potenziali militanti di Hamas, e le loro case, per possibili attacchi aerei. Inoltre, l’esercito israeliano ha sistematicamente attaccato le persone prese di mira mentre si trovavano nelle loro case – di solito di notte, mentre erano presenti le loro famiglie – piuttosto che nel corso di un’attività militare, essendo le case bersagli più facili. 

Risulta inoltre che l’IDF segua una particolare regola di proporzionalità: durante le prime settimane di guerra, per colpire un singolo militante “semplice” di Hamas era lecito uccidere anche fino a quindici o venti civili, con quote di “danno collaterale” crescenti a seconda del grado dei comandanti militari nemici attaccati. 

Le regole impiegate dall’IDF a Gaza sono il punto estremo di arrivo del rifiuto del diritto umanitario internazionale nei recenti conflitti a partire dal ricorso all’artificio retorico della “guerra al terrorismo”, a caratterizzare operazioni militari “libere” dai vincoli internazionali. La “guerra al terrorismo” utilizza la guerra come metafora per descrivere una serie di azioni che non rientrano nella definizione tradizionale di guerra. 

Il termine è stato coniato dal presidente americano George W. Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2000, indicando come nemico “una rete radicale di terroristi e ogni Governo che li sostiene”, e lanciando un conflitto globale che abbraccia diverse guerre in vari continenti, una campagna che ha normalizzato l’idea che quasi tutto sia lecito nel perseguire i “terroristi”. 

Al centro di questa forzatura del diritto umanitario c’è il concetto delle cosiddette “entità a doppio uso”. Secondo il diritto internazionale, un dato sito è o militare o civile; non c’è una via di mezzo. Le strutture normalmente dedicate a scopi civili, come i luoghi di culto, le case o le scuole, si presumono civili, e possono perdere il loro status civile solo se e quando vengono utilizzati per uno scopo militare. 

Invece, secondo il concetto di doppio uso, ogni struttura utilizzata per scopi civili (come una scuola o una raffineria di petrolio o persino un panificio) con una plausibile potenzialità di contribuire in qualche modo all’azione bellica diventa automaticamente un obiettivo militare legittimo e il danno a un tale obiettivo, quindi, non rientra nel calcolo della proporzionalità. 

Si capisce quindi come il “Rapporto annuale del Ministero della difesa americano per il 2022 sulle vittime civili in connessione con le operazioni militari degli Stati Uniti”, reso noto per la parte non classificata il 25 aprile scorso, possa concludere che in tale anno non ci sia stata alcuna vittima civile. 

Negli ultimi vent’anni, gran parte dei Governi mondiali hanno adottato metodi simili di autodifesa contro “il terrorismo” e le “forze ribelli”: dagli alleati degli USA nelle guerre ad Al- Quaeda e al Daesh, al Ruanda e la Costa d’Avorio contro gruppi non statali. Anche l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata giustificata come “operazione militare speciale”, con riferimenti spuri all’autodifesa e a eccezioni al divieto dell’uso della forza. La Cina ha invocato la “lotta al terrorismo” per giustificare la sua vasta repressione contro gli uiguri, i kazaki e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane nello Xinjiang. 

Ogni atto della lenta erosione del diritto va denunciato e condannato dalle corti internazionali   

Questi anni di continua erosione dello stato di diritto internazionale e del sistema globale del diritto umanitario non solo stanno rendendo più atroci le guerre e aggravando le sofferenze delle vittime ma sono estremamente pericolosi per la stessa salvaguardia del principio che anche la guerra, in ogni sua forma, è sottoposta alla legge internazionale e all’imperativo di “umanità”. 

Per la sopravvivenza del diritto di guerra alle odierne sfide esistenziali, ogni Paese deve trattarlo non come un vincolo opzionale aggiustabile a seconda delle necessità, ma come un pilastro inamovibile dell’ordine giuridico globale. La forza del diritto umanitario risiede innanzitutto nella sua continua proclamazione e nella sua persistente difesa: ogni sua violazione, da qualunque parte venga, deve venir denunziata apertamente, stigmatizzata dall’opinione pubblica mondiale e sottoposta al giudizio delle corti internazionali competenti, perché sia riconosciuta come reato, condannata e i perpetratori perseguiti penalmente. 

Poiché la guerra è un mostro che, purtroppo, può scatenarsi su ogni Paese, tutte le popolazioni sono interessate al mantenimento, se non al rafforzamento, della rete di protezione costituita dalle leggi umanitarie e dovrebbero sentire come immediato interesse imporre ai propri Governi il rigido rispetto di tale legislazione in ogni conflitto.

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