Rapporto ASviS. Nell’era dell’ “Anarcocene” si allontanano gli Obiettivi Onu 2030 per la pace e la collaborazione fra Stati L’Agenda 2030 è ancora poco conosciuta. Meglio la situazione fra i giovani e in Europa

Rapporto ASviS. Nell’era dell’ “Anarcocene” si allontanano gli Obiettivi Onu 2030 per la pace e la collaborazione fra Stati

L’Agenda 2030 è ancora poco conosciuta. Meglio la situazione fra i giovani e in Europa

Agenda17, il Webmagazine dell’Università degli Studi di Ferrara, ha pubblicato una interessante recensione del Rapporto ASviS 2023 che l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha presentato nell’ottobre scorso (L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile); si tratta dell’ottava edizione del Rapporto, che analizza la situazione del nostro Paese nel conseguimento degli Obiettivi  di sviluppo sostenibile a metà del percorso iniziato nel settembre 2015, quando 193 Paesi membri dell’Onu hanno sottoscritto il programma di Agenda 2030.

Il Rapporto ASviS 2023 rileva una situazione di generale difficoltà a livello planetario nel raggiungimento degli Obiettivi prefissati, complici anche le crescenti tensioni internazionali. L’Unione europea è peraltro l’area geopolitica che è più avanti nel raggiungimento degli Obiettivi, ma è anch’essa in ritardo per poter conseguire tutti i 169 Target del programma entro il decennio: in altre parole, come ha evidenziato Enrico Giovannini nel suo intervento di presentazione del Rapporto, “L’Europa è il luogo più sostenibile del mondo, ma esso stesso non è sostenibile”.

L’Italia, come ben sintetizza l’articolo pubblicato su Agenda17, sta procedendo a “corrente alternata”, con molti Obiettivi che sono stazionari o in peggioramento. L’Emilia-Romagna, in particolare, è citata nel Rapporto per i riferimenti alla crisi climatica e ai loro effetti sui territori (Goal 15), dalla siccità del 2022 alle imponenti alluvioni del 2023, che necessitano investimenti crescenti nella prevenzione del dissesto idrogeologico.

Dopo otto anni, due persona su tre e uno studente su due non conoscono l’Agenda Onu

Interessante è però anche l’analisi che ASviS ha compiuto sulla consapevolezza da parte dei cittadini e degli studenti in merito agli Obiettivi di Agenda 2030: come si legge nella sintesi pubblicata all’inizio del Rapporto (pag.10), mentre cresce la percentuale degli scettici, soltanto un terzo circa della popolazione italiana conosce Agenda 2030, percentuale che sale al 58% tra gli studenti (era il 43% nel 2019). 

Quest’ultimo dato viene letto positivamente da Enrico Giovannini nel suo intervento, perché si tratta di un evidente miglioramento, ma si tratta del classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: indica, infatti, che il 42% degli studenti ancora non conosce Agenda 2030, e che ben due terzi della popolazione italiana non sa di cosa stiamo parlando (il che è piuttosto preoccupante, essendo già trascorsi otto anni dall’avvio di questo programma). 

Non è un caso, infatti, che nell’intervento di Giovannini vi siano riferimenti espliciti all’Unione europea e, soprattutto, alla proposta di riforma dei Trattati europei che è necessaria per rafforzare la governance dell’Unione, ma di cui nessuno parla: dall’abolizione del diritto di veto dei governi al conferimento di maggiori poteri al Parlamento europeo, unica istituzione eletta dai cittadini, l’orientamento “è quello di un rafforzamento delle istituzioni europee in un’ottica ‘federalista’ e dell’aumento della democrazia europea”.

L’agenda per la Pace che l’Onu non riesce ad attuare  

Il Rapporto dedica anche un focus sulla nuova Agenda per la Pace, proposta nel luglio scorso dal Segretario Generale dell’ONU e declinata in 12 azioni per il rafforzamento della governance delle Nazioni Unite e la riforma necessaria del Consiglio di Sicurezza.

In effetti, il programma di Agenda 2030, se fosse realizzato, sarebbe il più grande programma di riforme che la storia ricordi, più importante dello stesso New Deal di Franklin Delano Roosevelt, considerato il più rilevante programma di riforme del Novecento ma che era limitato ad un Paese solo, gli Stati Uniti d’America; mentre Agenda 2030 riguarda l’intero pianeta e non un singolo Stato, ed è stato ideato pensando in primo luogo alle generazioni future e non solo a quella presente. 

È, anche, il programma che più di qualsiasi altro copre quelle che Aurelio Peccei, mezzo secolo fa, nel libro “Quale Futuro?” chiamava “le quattro dimensioni correlative di un pensiero adatto al mondo contemporaneo” e cioè le dimensioni sistemica, globale, diacronica e normativa.

Ma l’indiscutibile importanza di questo programma, se fosse realizzato (il condizionale è d’obbligo), dimostra anche le enormi contraddizioni che caratterizzano il suo soggetto proponente, vale a dire l’Onu. Agenda 2030 è stata infatti approvata nel 2015, a larga maggioranza, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; quella stessa assemblea che, il 10 dicembre 1948, approvò l’altro grande documento di importanza globale che è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che paradossalmente, se fosse applicata in tutto il mondo, metterebbe fine alle guerre.

Le Nazioni Unite sono cioè state in grado, in tempi diversi  e col consenso di una larga maggioranza dei propri membri, di approvare i due principali documenti che indicano l’unica via praticabile per garantire pace e sviluppo sostenibile a livello planetario; ma si sono poi dimostrate assolutamente incapaci di far rispettare i contenuti dei due documenti a quegli stessi Paesi che li hanno a suo tempo approvati.

Esiste perciò un problema che sovrasta tutti gli altri, che già Kant aveva individuato oltre due secoli fa ma che resta tuttora irrisolto nonostante nel frattempo siano state combattute molte guerre, due conflitti mondiali, centinaia di conflitti locali e con la prospettiva, sempre presente come una minacciosa spada di Damocle che sovrasta ogni essere umano da settant’anni a questa parte, dell’olocausto nucleare.

La soluzione di questo meta-problema si sta rivelando sempre più urgente, alla luce della crescente conflittualità mondiale che si è determinata dalla fine della pandemia da SARS-Cov-2 quando, si diceva, nulla sarebbe stato più come prima. E in effetti nulla è più come prima, ma i cambiamenti stanno evolvendo in peggio, non in meglio. 

Oggi i conflitti si sono moltiplicati di numero e intensità, con missili e droni che hanno sostituito i fucili amplificando a dismisura le capacità distruttive, e con la prospettiva di ulteriori evoluzioni catastrofiche complici lo sviluppo tecnologico e l’intelligenza artificiale. 

Peraltro nulla dello spettacolo mostruoso di uccisioni che stiamo vedendo impotenti in questo periodo è ancora paragonabile all’armageddon della guerra nucleare, anche quella che alcuni ipotizzano (non si capisce come) combattuta soltanto con “armi tattiche”. Non sembrano dunque esserci limiti a quella che Erich Fromm chiamò la distruttività umana.

 Viviamo l’era dell’ Anarcocene: l’irrazionale azione incontrollata degli uomini 

Oggi più che mai è di moda utilizzare la parola “Antropocene” per descrivere la fase attuale del pianeta, sempre più condizionata dalle attività umane. Il termine, peraltro, non ha un significato univoco, come osserva Emilio Padoa-Schioppa: “se osserviamo con attenzione una scala geologica del tempo è possibile rendersi conto che mentre esiste una sostanziale certezza su quando datare i vari passaggi da un’epoca all’altra, la linea che segna l’avvio dell’Antropocene è ancora dibattuta”. 

Federico M. Butera descrive un possibile criterio per individuarne l’inizio: “l’inizio dell’Antropocene – afferma in “Affrontare la complessità” – sarebbe collocato a metà del XX secolo, in corrispondenza con i segnali geologici conservati all’interno degli strati di recente accumulazione e risultanti dalla Grande accelerazione della crescita della popolazione, dell’industrializzazione e della globalizzazione. Il più nitido e il più sincrono a livello globale di questi segnali, che può formare un marcatore primario, è prodotto dai radionuclidi artificiali diffusi in tutto il mondo dai test delle bombe termonucleari dei primi anni Cinquanta”. 

Ma l’umanità non sta vivendo nell’era dell’Antropocene: quella che stiamo vivendo, a ben guardare, è l’era dell’ “Anarcocene”, caratterizzata da un’azione antropica incontrollata, sommatoria di una molteplicità di comportamenti e azioni individuali e collettive che, viste tutte insieme (alla luce delle quattro dimensioni di Peccei), denotano una elevata irrazionalità;  in una fase storica che data certamente almeno diversi decenni, ma che va intensificandosi a ritmi sempre più esponenziali e con conseguenze caotiche che sono prodotte proprio dall’azione umana incontrollata: guerre in numero e intensità sempre maggiori, violazioni dei diritti umani fondamentali, inquinamento crescente, sfruttamento sempre maggiore delle risorse naturali, distruzione della biodiversità. 

Sono tanti, troppi i segnali che ci dicono che noi viviamo nell’età dell’Anarcocene e non in quella dell’Antropocene.

E che per posizionarci nell’Antropocene dovremmo compiere un salto di qualità nel nostro modo collettivo di agire politicamente: il marcatore costituito dal fallout nucleare deve sparire completamente dagli strati superficiali della Terra, e con esso le diverse altre tracce dell’attuale azione antropica incontrollata, come ad esempio le plastiche e microplastiche (perché interamente riciclate e non più disperse nell’ambiente); applicando concretamente, in tutte le parti del mondo, quello che le Nazioni Unite ci hanno già indicato nei due documenti fondamentali approvati a larga maggioranza dai diversi Paesi, ma disapplicati, e cioè la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e Agenda 2030 del 2015, quest’ultima in particolare per quanto riguarda gli ultimi due Goal, il 16 e il 17 (“pace, giustizia e istituzioni solide” e “Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile”), che sono le precondizioni necessarie per poter realizzare tutti gli altri quindici Obiettivi del programma.

E non c’è nulla da inventare o da riscrivere rispetto a quanto è già stato detto con chiarezza in quei due documenti, occorre applicare concretamente, non in un Paese solo ma in tutto il mondo (nelle dimensioni sistemica, globale, diacronica e normativa suggerite da Peccei), quello che lì è già scritto; come osservava Norberto Bobbio riferendosi ai diritti, “il problema di fondo relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto quello di “giustificarli”, quanto quello di “proteggerli”. È un problema non filosofico ma politico”. Agenda 2030 e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non hanno bisogno di essere giustificate, vanno realizzate; quanto prima, nell’interesse dell’umanità intera.

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