L’impianto nucleare ucraino di Zaporizhzhya (ZNPP) torna al centro dell’attenzione a seguito del danneggiamento della diga della centrale idroelettrica di Kakhovka (KHPP) sul fiume Dnipro (Dnepr, anche Nipro o Boristene in italiano) nell’area di Nova Kakhovka, circa 55 km a nord-est della città di Kherson e un centinaio di km a valle appunto della ZNPP, che utilizza proprio il bacino generato dalla diga per la refrigerazione dei reattori e come pozzo di calore.
In realtà la ZNPP era già causa di preoccupata attenzione da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), il cui direttore Rafael Mariano Grossi ha ritenuto necessario presentare al Consiglio di sicurezza dell’Onu lo scorso 30 maggio un rapporto sullo stato della centrale e i suoi gravi rischi di sicurezza. Ricordiamo che la centrale è il maggiore complesso elettronucleare d’Europa con 6 reattori di tipo VVER-1000/320 di costruzione russa per una potenza totale di 5700 MW.
Il 4 marzo 2022 forze russe hanno occupato il sito della ZNPP e dal successivo 12 marzo l’azienda statale russa per l’energia atomica Rosatom ne ha preso pieno controllo operativo, mantenendo il personale ucraino in condizione subordinata per la gestione ordinaria.
Ancora ignoti cause e responsabili del disastro umano e ambientale
Il fiume Dnipro costituisce localmente il confine fra il territorio occupato dalla Russia in seguito alla sua invasione del febbraio 2022 e la zona liberata dalle forze ucraine; la centrale KHPP con la diga, lunga un paio di km, è sotto controllo russo dalla primavera dello scorso anno.
Fonti russe e ucraine hanno iniziato a riferire di forti rumori, simili a esplosioni, provenienti dalla centrale KHPP verso le due (ora locale) del 6 giugno, seguiti da segnalazioni di impetuosi scrosci d’acqua dall’invaso. Una falla di circa 200 metri della diga sta causando una massiccia inondazione del delta del fiume e delle sue zone umide fino agli insediamenti sulla costa nell’oblast di Kherson, sia nella zona ucraina sulla riva destra del fiume, che sulla riva sinistra occupata dalle forze russe.
Ci sono contrastanti analisi dell’impatto sulle operazioni e i piani militari della situazione creatasi con la profonda alterazione del teatro geografico; quello che è certo è che decine di migliaia di persone sono costrette a evacuare un centinaio di centri abitati, in un ulteriore disastro umanitario e ambientale.
Ucraina e Russia si scambiano la responsabilità del disastro, che appare irrecuperabile. Funzionari ucraini hanno dichiarato che la Russia ha intenzionalmente distrutto la diga per impedire controffensive nella zona e hanno suggerito che le forze armate russe non si erano preparate per la conseguente inondazione. Secondo l’intelligence militare ucraina, le forze russe avevano minato la diga poco dopo la sua cattura, e piazzato ulteriori mine sulle chiuse e sui supporti della diga nell’aprile 2022. I funzionari russi hanno accusato le forze ucraine di aver distrutto la centrale con un’azione di sabotaggio per bloccare il rifornimento di acqua dolce alla Crimea e di diffondere false accuse alla Russia per coprire il fallimento dei loro ultimi attacchi.
Ricordo che in base ai Protocolli addizionali I e II alle Convenzioni di Ginevra del 18 agosto 1949, approvati l’8 giugno 1977, attacchi alle dighe costituiscono una violazione del diritto umanitario; l’articolo 56 del Protocollo I afferma: Le opere o installazioni che racchiudono forze pericolose, cioè le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile.
Sia l’Ucraina che la Russia sono parte dei Protocolli e la Russia li ha anche incorporati nel suo manuale militare del 1990 e nelle “regole per l’applicazione della legislazione internazionale umanitaria” del 2001.
La diga era già stata danneggiata in due precedenti incidenti: un possibile attacco ucraino a fine ottobre/inizio novembre e una probabile carica esplosiva russa che ha fatto saltare in aria parte della carreggiata sopra la diga l’11 novembre. Poi le cose sono peggiorate e la strada, che passa sopra la diga, è stata spazzata via tra il 2 e il 3 giugno, segnalando problemi strutturali dell’impianto. Esperti avevano segnalato in precedenza che la diga era in stato di abbandono, e che le forze russe che occupano la struttura non provvedevano alla necessaria manutenzione.
Non va esclusa quindi la possibilità di un cedimento strutturale non intenzionale, causato dall’incuria, tenendo anche conto che il livello dell’acqua del bacino di Kakhovka, dopo aver toccato a gennaio-febbraio un minimo eccezionale (14 m, nel sistema di riferimento al Baltico), a maggio ha raggiunto il massimo degli ultimi 30 anni (oltre 17,5 m), portandolo a una capacità di stoccaggio superiore a quella progettata.
Impatto sulla centrale nucleare L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha dichiarato che l’evento non dovrebbe comportare rischi immediati per la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia.
Raffreddamento della centrale assicurato ma limitato nel tempo
Alle 6 di mattina del giorno 7 il livello dell’acqua dell’invaso era calato di 2,8 metri rispetto a prima dell’incidente, raggiungendo la quota di 14,06 m. “Se il livello scende sotto i 12,7 metri, la ZNPP non sarà più in grado di prelevare acqua dal bacino. Poiché l’entità dei danni alla diga è ancora sconosciuta, non è possibile prevedere se e quando ciò potrebbe accadere. Tuttavia, se l’attuale tasso di calo (5 cm per ora) dovesse continuare, il livello di 12,7 metri potrebbe essere raggiunto entro i prossimi due giorni.
Per prepararsi a questa eventualità, la ZNPP sta continuamente rifornendo le proprie riserve idriche – tra cui il grande bacino di raffreddamento vicino all’impianto (sopraelevato rispetto al fiume) e i piccoli bacini di raffreddamento a pioggia con i canali adiacenti – utilizzando appieno l’acqua dell’invaso di Kakhovka finché ancora possibile.” L’impianto è inoltre dotato di speciali prese d’acqua fluttuanti che consentono alla struttura di prelevare acqua quando il serbatoio è a livelli bassi. Quando saranno piene, queste riserve d’acqua saranno sufficienti a fornire all’impianto l’acqua necessaria per raffreddare i sei reattori e il combustibile esausto per diversi mesi.
In ogni caso il personale della IAEA presso la centrale sta monitorando attentamente l’evolversi della situazione. I sei reattori della ZNPP dal settembre 2022 non sono operativi, cinque sono in modalità di arresto freddo e un’unità rimane in arresto caldo (a temperatura e pressione elevate) per produrre vapore per operazioni necessarie sul sito, come il trattamento dei rifiuti radioattivi liquidi che vengono raccolti dai sei reattori.
Ricordiamo che anche durante lo stato di arresto i reattori hanno ancora bisogno di raffreddamento continuo per disperdere il calore prodotto dal materiale radioattivo, al fine di evitare la fusione del combustibile e un possibile rilascio di sostanze radioattive. Vanno inoltre continuamente raffreddate le piscine che contengono il materiale esausto e i generatori elettrici diesel di emergenza, qualora in funzione. Sul sito ci sono più di 3300 barre di combustibile esausto immagazzinate a freddo e quasi 2000 nelle piscine “a caldo”, per un totale di 2200 t di materiale radioattivo.
Gli “altri” problemi della centrale
Nel suo intervento al Consiglio di sicurezza il direttore Grossi ha presentato le condizioni necessarie per garantire la sicurezza e la protezione della centrale ZNPP a prevenire un disastro nucleare calamitoso per l’Ucraina, la Russia e altri paesi.
Il rischio nucleare e radiologico deriva da tre principali problemi: l’insicura disponibilità di energia elettrica, la drastica diminuzione di personale e il coinvolgimento del sito in operazioni militari. La centrale da mesi non produce energia, ma ne richiede per il corretto funzionamento e soprattutto per far funzionare le pompe di raffreddamento che impediscono la fusione del nocciolo nucleare dei reattori e disperdono il calore del combustibile esausto.
Delle quattro linee elettriche ad alta tensione (750 kV) che collegano la centrale nucleare alla rete due furono danneggiate nei primi giorni del controllo russo e da molti mesi l’impianto ha perso anche una terza linea; da marzo non è disponibile neppure la linea a 330 kV che collega la ZNPP alla vicina centrale elettrotermica ZTPP, sotto pieno controllo russo; pertanto la centrale può contare su una sola linea elettrica, con una critica riduzione della sicurezza in profondità della struttura.
L’impianto è dotato di 20 generatori diesel d’emergenza, in grado di fornire per qualche tempo la potenza necessaria nei casi di interruzione dell’alimentazione esterna, e di fatto hanno dovuto venir impiegati in sette occasioni dall’invasione russa a seguito di bombardamenti delle linee. Il personale ucraino ha continuato a operare la centrale regolarmente anche sotto il controllo militare russo e la direzione della Rosatom, ma la situazione ha avuto un impatto negativo sul morale e la serenità del personale e il suo senso di sicurezza. Comunque il numero degli addetti è drasticamente diminuito e degli 11 mila inizialmente presenti sono rimasti circa 3500, sufficienti alla gestione attuale con i reattori in stato di arresto; tuttavia è venuto a mancare il personale più qualificato e vi è un deficit di competenze per gli interventi di mantenimento e riparazioni e di esperti per i controlli di sicurezza.
L’impianto nucleare di Zaporizhzhya si trova a Enerhodar, all’estremo limite della zona occupata dalla Russia e solo il Dnipro separa localmente le forze combattenti col suo letto di circa 5 km; la ZNPP potrebbe venirsi a trovare in prima linea nelle prossime operazioni militari, con i conseguenti gravissimi rischi. Ci sono stati attacchi di artiglieria nei suoi pressi e una viva attività di guerriglia ucraina nella zona circostante. Nel corso del mese di maggio le autorità che controllano de-facto la regione sotto controllo russo hanno annunciato l’evacuazione di centinaia di civili da Enerhodar, indicando un’escalation dell’attività militare nella zona.
L’oblast di Zaporizhzhya è uno dei principali terreni di scontro dei due eserciti: le forze russe sono riuscite a occupare solo circa i 2/3 meridionali della regione, che è stata tuttavia formalmente incorporata nella Federazione russa il 30 settembre 2022, e quindi si trovano nella necessità di completarne l’acquisizione; di contro, uno degli obiettivi dell’annunciata contro-offensiva ucraina riguarda la liberazione dell’intero oblast fino al mar d’Azov, in modo da interrompere il collegamento via terra della Russia con la Crimea.
Data la gravità della situazione, il direttore della IAEA a seguito di intense consultazioni con i vertici dell’Ucraina e della Russia, ha “individuato cinque principi concreti per contribuire a garantire la sicurezza nucleare della centrale di ZNPP, al fine di prevenire un incidente nucleare e assicurare l’integrità dell’impianto:
1. Non ci dovrebbero essere attacchi di alcun tipo da o contro l’impianto, in particolare contro i reattori, lo stoccaggio del combustibile esaurito, altre infrastrutture critiche o il personale;
2. La centrale nucleare di ZNPP non dovrebbe essere utilizzata come deposito o base per armi pesanti (ad esempio lanciarazzi multipli, sistemi e munizioni di artiglieria e carri armati) o per personale militare impiegabile per un attacco dall’impianto;
3. L’alimentazione dell’impianto con fornitura di potenza esterna non dovrebbe essere messa a rischio. A tal fine, occorre fare il possibile per garantire che l’energia elettrica rimanga sempre disponibile e sicura;
4. Tutte le strutture, i sistemi e i componenti essenziali per il funzionamento sicuro della centrale nucleare di ZNPP devono essere protetti da attacchi o atti di sabotaggio;
5. Nessuna azione deve essere intrapresa per compromettere la sicurezza dell’impianto.”
Queste condizioni appaiono più che ragionevoli e nell’interesse comune; una loro concordata implementazione da parte russa e ucraina può accendere un barlume di speranza per l’inizio di contatti dei responsabili dei due paesi su problemi vitali comuni, come appunto la sicurezza nucleare.