La globalizzazione dell’economia si regge sulle spalle dei lavoratori migranti (1) Istat: occupati in lavori poveri, senza riconoscimento delle qualifiche

La globalizzazione dell’economia si regge sulle spalle dei lavoratori migranti (1)

Istat: occupati in lavori poveri, senza riconoscimento delle qualifiche

Dall’ America Latina al Nord America, dall’Asia e dall’Africa all’Europa, milioni di persone nel Mondo lasciano il proprio Paese di origine in cerca di un impiego, non necessariamente un lavoro migliore ma qualsiasi lavoro.  Secondo l’Organizzazione Internazionale del lavoro (International Labor Organization -ILO) la migrazione per lavoro costituisce un aspetto fondamentale della globalizzazione e provoca un significativo impatto sull’economia mondiale perché i lavoratori migranti inviano a casa rimesse preziose per le economie dei Paesi di origine per sostenere le proprie famiglie.  Il totale annuo stimato è tra i 160 miliardi ai 250 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, contribuiscono alla crescita economica e alla prosperità dei Paesi che li ospitano come accade per il contributo dei lavoratori stranieri all’economia italiana.

Istat. Lavoro povero e precario in condizioni difficili

Nella media 2021 la popolazione residente in Italia di età compresa tra i 15 e i 74 anni è costituita per l’8,9% da cittadini stranieri, per il 2,3% da cittadini italiani per acquisizione (naturalizzati) e per l’88,8% da cittadini italiani dalla nascita.

Il report Istat pubblicato lo scorso febbraio analizza l’integrazione di stranieri e naturalizzati nel mercato del lavoro italiano. I dati presentati riportano che il lavoro è il motivo della migrazione più ricorrente tra gli uomini (51,3% tra i naturalizzati e 71,1% tra gli stranieri), mentre tra le donne prevalgono i motivi familiari (64,6% e 53,4% rispettivamente). 

Sono molto evidenti le differenze in base alla cittadinanza: i motivi di lavoro sono indicati dall’80% circa degli uomini bangladesi e indiani – mentre le donne con queste cittadinanze registrano le quote più basse (12,3% e 9,1% rispettivamente) – mentre sono più diffusi, anche rispetto agli uomini, tra le donne di cittadinanza ucraina (74,5%) e filippina (66,9% – Figura 3).

(©Istat)

A seguito della crisi dovuta all’emergenza pandemica del 2020, il tasso di occupazione tra gli stranieri è stato inferiore a quello degli italiani, soprattutto per effetto del forte crollo dell’occupazione femminile, e oggi i migranti si trovano ad affrontare molte sfide, in particolare per condizioni di lavoro spesso difficili e discriminazione. 

La domanda di manodopera straniera è in crescita, non solo quelli molto qualificati della tecnologia, ma anche per molti lavori nell’agricoltura, pulizia e manutenzione, edilizia, servizi domestici e assistenza sanitaria. Spesso i migranti sono costretti a svolgere i cosiddetti lavori delle 5-P, ovvero nelle occupazioni precarie, pericolose, poco pagate, pesanti e socialmente penalizzanti che gli autoctoni rifiutano nell’economia informale.

Lavoro non adeguato alle competenze 

Gli stranieri e i naturalizzati sono più spesso occupati nei settori a bassa qualificazione, in particolare quello dei servizi alle famiglie (rispettivamente il 18,5% e 6,5% contro l’1% degli italiani dalla nascita), e circa un terzo degli occupati intervistati nella rilevazione Istat ritiene di svolgere un lavoro non adeguato alle proprie competenze. 

Quasi un terzo (31,5%) degli stranieri e quasi un quinto (il 17,5%) dei naturalizzati svolge professioni non qualificate (8,2% tra gli autoctoni); solo il 7,9% degli stranieri svolge una professione qualificata, rispetto al 38,1% degli italiani dalla nascita e al 21,1% dei naturalizzati. 

Chi possiede un titolo di studio elevato non trova il giusto riconoscimento al percorso di studio fatto: tra gli occupati stranieri laureati solo il 38,4% svolge una professione qualificata (contro il 61,5% dei naturalizzati e l’81% degli italiani dalla nascita) e il 17,7% ha impiego non qualificato (rispetto a 8,2% e 0,6%). 

Il ruolo centrale del lavoro nella vita di tutte le persone

Il lavoro dignitoso è una strategia di sviluppo che riconosce il ruolo centrale del lavoro nella vita delle persone: un lavoro che è produttivo e garantisce una giusta remunerazione, la sicurezza sul lavoro e la protezione sociale delle famiglie, migliori prospettive di sviluppo personale e di integrazione sociale, la libertà di espressione e di associazione e la possibilità di partecipare nella definizione delle politiche, e la parità di trattamento e l’uguaglianza di genere. 

Come afferma l’ILO Il lavoro dignitoso deve essere posto al centro delle strategie locali, nazionali e globali per il progresso economico e sociale. È fondamentale per ridurre la povertà e come strumento per promuovere uno sviluppo più sostenibile, inclusivo e giusto.

Juan Somavia, Direttore Generale dell’ILO dichiara che “I lavoratori migranti sono una risorsa per i paesi in cui lavorano. Riconosciamo loro la dignità che meritano come individui e il rispetto che meritano come lavoratori.” (1.Continua)

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