L’Europa investe nell’idrogeno verde, ma il suo contributo alla conversione sarà limitato Servirebbero obiettivi più ambiziosi sulle rinnovabili

L’Europa investe nell’idrogeno verde, ma il suo contributo alla conversione sarà limitato

Servirebbero obiettivi più ambiziosi sulle rinnovabili

L’Europa prevede  che entro il 2050 la quota di idrogeno nel mix energetico potrebbe raggiungere il 13%-20%, e ha varato misure atte a favorire lo sviluppo del settore. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin ha recentemente dichiarato a un convegno di Utilitalia che sono previsti stanziamenti sull’idrogeno per 3,2 miliardi di euro nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Il fermento attorno all’idrogeno è legato al suo potenziale di decarbonizzare settori difficili da elettrificare, qualora sia associato a basse emissioni climalteranti. Ma l’idrogeno è oggi per la maggior parte “grigio”, prodotto da fonti fossili senza abbattimento delle emissioni climalteranti. Per la transizione energetica è necessario che aumenti la porzione prodotta da fonti rinnovabili, e come step intermedio si ipotizza l’utilizzo dell’idrogeno blu, prodotto da fonti fossili con cattura di CO2. Sulla validità di questa tecnologia però sussistono dubbi nonché interessi da parte dell’industria del fossile. 

Ne parliamo con Alessandro Abbotto, docente di chimica organica presso l’Università degli studi di Milano Bicocca e Nicola Armaroli, dirigente di ricerca al Cnr.

L’idrogeno verde potrà svolgere un ruolo nella transizione ecologica come combustibile pulito

L’idrogeno usato come combustibile non dà come prodotto la CO2 e si considera “verde” se è prodotto con elettricità ricavata da fonti rinnovabili. Tuttavia, secondo IRENA (International Renewable Energy Agency, agenzia internazionale delle fonti rinnovabili) oggi il 96% dell’idrogeno è prodotto a partire da combustibili fossili a livello mondiale.

Fonti di produzione dell’idrogeno a livello mondiale nel 2021. Elaborazione da dati (©IRENA)

L’idrogeno verde è ritenuto critico per decarbonizzare settori particolarmente inquinanti e difficili da elettrificare, come l’industria pesante. Il progetto Hydrozero (UniCusano), presentato alla COP27, mira a produrre idrogeno verde in Egitto per trasportarne parte in Italia, anche all’ILVA di Taranto. Nel campo dei trasporti sono presenti diversi progetti: Airbus ha l’ambizione di portare sul mercato i primi aerei a zero emissioni entro il 2035.

“Vedremo cosa riuscirà a fare l’Airbus, certamente è una sfida difficile a livello di trasporto aereo ma quasi obbligata perché non potremo avere aerei elettrici per almeno un bel po’ di tempo” commenta Alessandro Abbotto.

Alessandro Abbotto, docente di chimica organica presso l’Università degli studi di Milano Bicocca (©unimib)

I limiti dell’idrogeno verde

Per quanto riguarda la sua produzione, dichiara Abbotto: “il problema non è di natura tecnologica ma di natura economica, nel senso che l’idrogeno verde attualmente ha un costo che varia da tre  a cinque volte rispetto a quello dell’idrogeno grigio, quindi si tratta di sviluppare nuove tecnologie che lo rendano sempre più competitivo.” 

“Vari studi stimano che intorno al 2030 grazie all’avanzamento di queste tecnologie e allo stesso tempo al continuo aumento del costo dei combustibili fossili da cui oggi viene ottenuto l’idrogeno grigio si avrà il punto di pareggio, cioè a quel punto sia l’idrogeno prodotto in maniera sporca che prodotto in maniera pulita costeranno allo stesso modo e allora a quel punto converrà sempre di più ovviamente andare verso l’idrogeno verde.”

Un altro limite all’implementazione dell’idrogeno è l’infrastruttura per il trasporto: adattare la rete dei metanodotti per trasportare solo idrogeno presenta sfide dal punto di vista tecnico ed economico che non si conciliano con i tempi previsti per la transizione energetica.

“Ci vogliono delle tubazioni di nuova generazione, che vengono chiamate idrogenodotti, che esistono già ma quest’insieme è molto limitato attualmente. Costruire una rete di idrogenodotti certamente implica dei costi, per cui non la ritengo una soluzione ottimale se non complementare ad altre soluzioni. L’idrogeno è fatto per essere prodotto e utilizzato laddove serve, ad esempio in quelle che vengono chiamate hydrogen valleys che sono appunto dei sistemi territoriali circoscritti dove l’idrogeno viene prodotto e utilizzato nello stesso ambiente.”

L’idrogeno blu: una soluzione ponte?

La maggior parte dell’idrogeno oggi viene prodotto a partire dai combustibili fossili, e come modo di abbattere le emissioni di questo tipo di produzione si parla di tecnologie CCUS (Carbon Capture, Utilisation and Storage). L’idrogeno così prodotto, a basse emissioni, è chiamato idrogeno blu. Secondo il rapporto “Global Hydrogen Review” dell’IEA  (International Energy Agency) nel 2021 l’idrogeno prodotto a basse emissioni era meno dell’1% del totale. Ci sono dubbi sulla validità di questa tecnologia come soluzione ponte nella transizione energetica.

Commenta Nicola Armaroli, dirigente di ricerca al Cnr: “Le grandi compagnie del gas a livello mondiale stanno cercando di trasformarsi in grandi aziende dell’idrogeno, con il problema che l’idrogeno molecolare sul nostro Pianeta non c’è e deve essere prodotto. 

L’idrogeno a cui mirano in questa fase è principalmente l’idrogeno cosiddetto blu, cioè quello che continuiamo a fare come prima con il reforming del metano però la CO2 la dovremmo stoccare nel sottosuolo.”

Nicola Armaroli, dirigente di ricerca al CNR (©isof-cnr)

“Ci sono vari problemi nello stoccaggio della CO2, innanzitutto che rimanga nelle strutture geologiche dove è stata iniettata. Ma il problema principale è il costo economico ed energetico dell’operazione, cioè iniettare CO2 nel sottosuolo a oltre un km di profondità ha un costo energetico enorme per cui una centrale a gas che volesse adottare un sistema di questo tipo dovrebbe consumare tra il 20% e il 30% dell’elettricità prodotta per fare questa operazione, riducendo in maniera drastica la sua sostenibilità economica.”

Secondo Abbotto “L’idrogeno blu è una scelta intermedia ma non auspicabile, se non nel breve termine, in quanto continua a fare affidamento su fonti di origine fossile e inoltre non risolve il problema delle emissioni a causa dell’insufficiente efficienza della cattura della CO2 emessa. 

Allo stesso tempo si pone il problema di una strategia ancora troppo lenta per puntare a una completa conversione a idrogeno verde, che deve necessariamente passare attraverso un forte sviluppo dell’energia elettrica completamente pulita. Se noi volessimo convertire tutta la produzione attuale di idrogeno grigio in idrogeno verde avremmo bisogno di una capacità di potenza fotovoltaica ed eolica molto maggiore rispetto a quella attuale. Questo risultato è ambizioso ma allo stesso tempo raggiungibile purché accompagnato da precise strategie politiche e di investimento che in questo momento non ci sono.”

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