MONTAGNA, ANNO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE. La fitodepurazione per i rifugi rispetta l’ambiente. Anche in alta quota Parlano esperti e gestori: saperi antichi, competenze tecnico-scientifiche, enti locali e turisti collaborano insieme

MONTAGNA, ANNO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE. La fitodepurazione per i rifugi rispetta l’ambiente. Anche in alta quota

Parlano esperti e gestori: saperi antichi, competenze tecnico-scientifiche, enti locali e turisti collaborano insieme

“Oggi si parla molto di economia circolare e uno dei modi per praticarla in montagna è la corretta gestione delle acque reflue. Noi ci abbiamo pensato sedici anni fa, realizzando un impianto di fitodepurazione nel rifugio Bosconero, il primo in Italia a quota così elevata, con tutte le criticità e i vantaggi che tale ambiente presenta. Successivamente, altre realtà ci hanno copiato, nel senso positivo del termine, soprattutto nel versante occidentale delle Alpi e anche oltre i 2mila di altitudine, con grande soddisfazione nostra e loro” afferma ad Agenda17 Davide Tocchetto, agronomo e collaboratore della Fondazione Giovanni Angelini – Centro studi sulla montagna.

Il rifugio Bosconero in Val di Zoldo, Belluno (foto di Sandy Fiabane)

In questa estate caratterizzata da forte siccità anche ad alta quota, e da un sempre maggiore afflusso turistico verso la montagna, la presenza già da alcuni anni in diversi rifugi di sistemi di gestione sostenibile del territorio rappresenta un esempio positivo di come si possano conciliare l’offerta turistica e la tutela di contesti naturali fragili come la montagna. Per farlo, però, è necessario mantenere nel tempo una stretta collaborazione tra saperi antichi, competenze tecnico-scientifiche, buone pratiche ecologiche, enti locali e gli stessi turisti.

La fitodepurazione per le acque reflue in alta quota

Un adeguato trattamento dei rifiuti liquidi e solidi è fondamentale per vivere la montagna in modo consapevole e rispettoso. In tal senso, la fitodepurazione non solo consente una gestione sostenibile delle acque reflue, ma rappresenta in alcuni casi anche una fonte di risparmio idrico per i rifugi sempre più in difficoltà.

Di norma, infatti, questi ultimi non sono collegati a una rete fognaria e devono adottare soluzioni alternative, facendo attenzione all’uso dell’acqua e dell’energia. Nella maggior parte dei rifugi dell’arco alpino prevale l’uso di vasche Imhoff, che permettono di trattare i liquami laddove manca la rete fognaria e che poi o scaricano in ambiente o trasportano a valle in elicottero a fine stagione. 

Alcuni però hanno adottato la fitodepurazione, un metodo di depurazione delle acque che sfrutta gli stessi processi naturali che avvengono nelle zone umide grazie all’azione delle piante e dei microorganismi che vivono sulle loro radici. Le acque reflue vengono poi convogliate in vasche rese impermeabili da teli di plastica e riempite di ghiaia ed altri sedimenti di varia dimensione. 

Qui le radici delle piante, accuratamente selezionate come idonee, colonizzano il terreno ghiaioso e ospitano diverse specie di microorganismi che si nutrono delle sostanze presenti nelle acque reflue, depurandole.

Limitare l’impatto del rifugio e i recuperare risorse naturali: il Bosconero

Risale al 2006 il primo impianto di fitodepurazione realizzato presso un rifugio alpino, il Bosconero in Val di Zoldo. È nato all’interno del progetto Energianova, in collaborazione tra l’Università di Padova, la sezione Club alpino italiano (Cai) di Val di Zoldo, il Comune di Val di Zoldo e la Fondazione Giovanni Angelini.

“L’impianto di fitodepurazione del Bosconero – spiega Tocchetto – fu realizzato con la volontà di limitare l’impatto ambientale dei rifugi. Tutte le acque prodotte, infatti, dai bagni, con docce e sanitari, alle cucine, finiscono nell’impianto evitando il rilascio di acqua reflua e di azoto.”

Davide Tocchetto, agronomo e collaboratore della Fondazione Angelini (ⓒdavidetocchetto.it)

Nell’impianto del Bosconero le acque prodotte sono trattate in modo differenziato, separando cioè le acque gialle, le acque brune e le cosiddette acque grigie, provenienti da lavandini, docce e cucina, quindi anche contenenti detersivi. 

Questa separazione è utile ai fini del recupero delle risorse, poiché i nutrienti come azoto e fosforo sono concentrati nelle acque gialle, la sostanza organica putrescibile nelle acque brune è utile per la produzione di biogas, mentre le acque grigie, dopo adeguato fitotrattamento, sono utili per l’irrigazione.

“La parte solida – spiega Tocchetto – non finisce in fitodepurazione, ma va in un digestore anaerobico e poi in Imhoff. Il digestore ha bisogno di energia per funzionare e di un’adeguata preparazione per seguirlo: il nostro, a pieno regime, riesce a produrre anche ottanta litri di metano.

Il progetto Energianova prevede la gestione delle acque gialle e grigie tramite fitodepurazione, mentre le acque brune e il rifiuto organico biodegradabile passano per il digestore anaerobico producendo energia termica ed elettrica (ⓒ2020, Fondazione Giovanni Angelini)

La fitodepurazione, invece, non richiede interventi perché l’acqua entra ed esce per gravità. A fine stagione, poi, l’impianto va autonomamente in riposo vegetativo, perché le piante usate nella fitodepurazione sono quelle presenti naturalmente nei dintorni.

Altri rifugi hanno invece processi di depurazione diversi, mentre in questo modo l’impianto di Bosconero gestisce tutti i flussi in ottica di economia circolare.”

Questo sistema, inoltre, permette la produzione di biogas in caldaia, che può essere molto utile ad esempio per riscaldare una serra. “In questa zona – prosegue Tocchetto – la stagione inizia a maggio, ma c’è ancora un po’ di escursione termica, e con agosto inizia già ad esserci freddo di sera. Inoltre, il rifugio non è servito da una strada o da una teleferica: il cibo, come pane, frutta e verdura, è portato a spalla dai gestori. Risulta quindi evidente il vantaggio nel poter coltivare ortaggi fino a settembre e i circa ottanta/novanta litri di biogas prodotti con l’impianto sono sufficienti allo scopo.”

Fondamentale però la collaborazione tra associazioni, enti e gestori locali

Al momento, purtroppo, l’impianto è fermo. La collaborazione tra le persone coinvolte, infatti, è di fondamentale importanza, anche e soprattutto con chi gestisce i rifugi coinvolti. “Il problema – spiega ad Agenda17 Anna Angelini, membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Angelini – è stata la mancata formazione tra la sezione locale del Cai e i nuovi gestori. 

Anna Angelini, membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Angelini (ⓒscuola.caiveneto.it)

Con il Cai della Val di Zoldo abbiamo tuttavia un rapporto di ottima collaborazione e sinergia da molti anni, per cui sicuramente risolveremo il problema e continueremo a far lavorare l’impianto. Ci dispiace che al momento non sia in funzione, ma uno degli elementi che concorrono al suo funzionamento è soprattutto la collaborazione con chi gestisce il rifugio: servono una certa sensibilità e una certa cultura verso la montagna, un orientamento comune che permetta di lavorare in piena sinergia con tutti.

Abbiamo comunque ulteriori progetti in atto, che coinvolgono diversi attori su tutto il territorio, per cui sicuramente ripristineremo un impianto che si è dimostrato assolutamente efficace e di esempio per altre realtà montane.” 

“Al di là della situazione attuale – aggiunge Tocchetto – si tratta di un sistema che funziona. Gli impianti realizzati nella malga e nel rifugio al Gran Paradiso, ad esempio, sono perfettamente funzionanti e siamo oltre i 2mila metri di quota, quindi circa 800 metri oltre il Bosconero, in un ambiente completamente diverso e con minore vegetazione.”

L’esperienza del Bosconero portata con successo a quasi 2mila di quota 

L’impianto del Bosconero ha fatto storia in Italia, aprendo la via alla sperimentazione della fitodepurazione in alta quota. Il successivo impianto è stato infatti realizzato nel 2013 al rifugio Garelli, in Valle Pesio, zona di competenza del Parco del Marguareis ora inserito nelle Aree protette delle Alpi Marittime. Anche in questo caso il successo dell’opera, in funzione dal 2014, dipende dalla collaborazione tra l’Ente parco, la sezione Cai proprietaria del rifugio, il gestore e i clienti del rifugio. 

Bruno Gallino, referente del Centro di biodiversità dell’Area protetta delle Marittime, ricorda come tutto abbia avuto inizio sullo stimolo della direttiva acque dell’Unione europea: “pensando a come gestire al meglio la preziosa risorsa dell’acqua abbiamo deciso di sperimentare il processo della fitodepurazione presso il rifugio Garelli collocato ad una quota di 1970m e, quindi, un esempio di studio sia per gli ambienti montani che subalpini.”

Il rifugio Garelli all’arrivo dal sentiero. A destra, ai piedi del rifugio, ci sono le vasche di fitodepurazione, perfettamente mimetizzate nell’ambiente (foto di Vilma Osella)

Un progetto del genere richiede l’intervento di ditte specializzate, oltre a un impegno economico che è stato ottenuto tramite un finanziamento europeo all’interno del programma “Alpi latine cooperazione transfrontaliera” Alcotra 2007-2013.  

“La prima azione importante – continua Gallino – è stata trovare la collaborazione tra le parti interessate, ovvero il Cai di Mondovì, proprietario della struttura, e il gestore del rifugio, che deve essere il primo a credere davvero al valore dell’impianto e a sensibilizzare i clienti sulle buone pratiche.”

Bruno Gallino, referente del Centro di biodiversità vegetale dell’Area protetta delle Marittime (ⓒAlberto Selvaggi)

Anche i fruitori del rifugio hanno un loro peso nel funzionamento di questo sistema altamente sostenibile e Natural-Based-solution: è importante per esempio non gettare materiale improprio nelle toilette per evitare al gestore un lavoro di pulizia delle griglie a monte delle vasche di depurazione.

Guido Colombo, gestore del rifugio Garelli da quarantatré anni, conferma la validità dell’impianto e la collaborazione di tutti: “sono otto anni che l’impianto è in funzione e la manutenzione è minima. I primi anni i tecnici dell’azienda che lo ha installato hanno controllato con accurate e continue analisi l’efficacia della depurazione, ma ora l’impianto funziona autonomamente secondo natura. 

Guido Colombo, gestisce con la sua famiglia il rifugio Garelli (foto di Vilma Osella)

Fanno tutto i microorganismi che vivono grazie alle piante. Sono molto soddisfatto, mi limito a controllare ogni due o tre giorni la deviazione delle acque nelle prime vasche verticali oltre alle normali operazioni di inizio e fine stagione. Non ci sono cattivi odori e l’impianto è perfettamente mimetizzato nell’ambiente perché le piante sono le stesse che crescono tutto qui attorno al rifugio.”

La scelta delle piante, infatti, è davvero un punto cruciale secondo Gallino: “la sfida più importante è stata valutare tutta una serie di specie erbacee autoctone fino a individuare le più adatte alla fitodepurazione. Essendo un centro di tutela della biodiversità vegetale abbiamo posto molta cura nella ricerca delle specie consone, avvalendoci anche della collaborazione con il Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi dell’Università di Torino.” 

Salendo oltre i 2mila: al rifugio Vallanta la scommessa sulla vegetazione è ancora più difficile

Le buone pratiche sanno essere contagiose ed è proprio il caso della fitodepurazione in alta quota: nel 2019 è cominciata la realizzazione di un impianto di fitodepurazione al rifugio Vallanta, a 2450 metri di quota, nel versante Ovest del Monviso. La realizzazione è stata resa possibile da un cofinanziamento del Cai nazionale, Cai sezione locale Monviso e  Parco del Monviso e grazie alla preziosa collaborazione dei gestori, disponibili a modificare il sistema abituale in un’ottica di maggiore sostenibilità.

“Per costruire l’impianto si è scelta la stessa area dove erano collocate le precedenti vasche in successione, in una zona ai piedi del rifugio e protetta dal vento per facilitare l’attecchimento delle specie vegetali” spiega ad Agenda17 Oliviero Patrile, storico gestore del rifugio con la sua famiglia.

Oliviero Patrile, gestisce con la famiglia il rifugio Vallanta (foto di Oliviero Patrile)

In ambiente alpino l’elemento critico è proprio la possibilità di sviluppare una vegetazione rigogliosa che possa ospitare nelle proprie radici un buon ecosistema in grado di depurare le acque. “Qui i tempi per lo sviluppo della vegetazione – continua Patrile – sono lenti perché siamo ad alta quota e perché negli ultimi anni piove molto poco. Bisogna avere tanta pazienza, accettare i tempi lunghi della natura e operare continue attenzioni per favorire il suo decorso. Il primo anno le mucche ci hanno mangiato una buona parte di piantine, abbiamo dovuto rifare da capo.”

Il rifugio Vallanta ai piedi del Monviso e le vasche della fitodepurazione sulla destra, con la vegetazione che lentamente sta crescendo (foto di Vilma Osella)

Costruire un impianto ad alta quota è complesso anche dal punto di vista logistico. “Per non fare troppi trasporti via elicottero e impattare sull’ambiente – spiega Patrile, mostrando una profonda conoscenza delle dinamiche naturali e una grande attenzione nel rispettarle – la ghiaia è stata prodotta in loco con le rocce presenti attorno al rifugio. Lentamente, come avviene qui, le zone di prelievo delle rocce torneranno verdi, mentre io le aiuto con le sementi.

La criticità maggiore è legata al fatto che il rifugio è operativo solo per alcuni mesi all’anno e questo implica una fatica aggiuntiva per macchine, strumenti ed impianti. Dalla centralina idroelettrica ai rubinetti ai microorganismi della fitodepurazione, infatti, la continuità dell’azione garantirebbe un miglior funzionamento e minore manutenzione. Nel complesso il sistema di fitodepurazione funziona bene ma richiede cura attenta da parte nostra come gestori: è una scelta di lavoro extra che facciamo volentieri per essere più sostenibili.

Alcune delle piante utilizzate nella fitodepurazione: piante e ceppi batterici sono usati come filtri biologici per rimuovere gli inquinanti nelle acque da trattare (©2020 Fondazione Giovanni Angelini)

Usiamo solo prodotti ecologici per non interferire con l’azione naturale di depurazione e lavoriamo molto anche nel sensibilizzare i fruitori del rifugio che a volte non si rendono conto della delicatezza dell’ambiente in cui si trovano. 

Qualcuno dimentica di riportare i rifiuti a valle oppure getta nei bagni salviette e altri materiali che poi noi dobbiamo rimuovere manualmente dalle vasche di fitodepurazione, perchè a differenza della carta non si distruggono nei vari passaggi da una vasca all’altra. Questi comportamenti impropri richiedono a noi un lavoro suppletivo per la manutenzione dell’impianto. Ognuno deve fare la sua parte, anche i fruitori della montagna possono fare la differenza in senso positivo per l’ambiente!”
“Il problema è conciliare la tutela della montagna con una frequentazione di un numero sempre crescente di escursionisti a fronte di un’ingravescente situazione climatica che rende gli ambienti più vulnerabili – afferma ad Agenda17 Riccardo Botta presidente della sezione Monviso del Cai -. L’unica possibilità è una maggiore consapevolezza da parte di tutti, in modo che ciascuno attui comportamenti rispettosi del sempre più delicato ambiente montano che vogliamo preservare.”

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Parlano esperti e gestori: saperi antichi, competenze tecnico-scientifiche, enti locali e turisti collaborano insieme

  1. Complimenti ad Agenda 17, per la divulgazione di argomenti poco conosciuti, ma ben spiegati, per creare una “coscienza collettiva” sull’ ecosostenibilitá.

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