Secondo il Guttmacher Institute, un’organizzazione internazionale impegnata a promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi in tutto il Mondo, sono ventisei gli Stati della federazione USA che recepiranno la sentenza della Corte Suprema che abolisce il diritto costituzionale all’aborto. In altri Stati, come la California, governata da democratici, è in vigore una legislazione che continuerà a garantire tale diritto.
Il diritto all’aborto era sancito da una sentenza del 1973, conosciuta come Roe vs Wade, che assicurava che esso non venisse negato da nessuno Stato. Nel Paese il dibattito sull’aborto è sempre stato molto politicizzato, e ora, cinquant’anni dopo la sua legalizzazione, generazioni di donne non potranno ricorrere all’interruzione di gravidanza nei tredici Stati a maggioranza repubblicana che hanno immediatamente recepito la sentenza della Corte Suprema e introdotto divieti.
Per Giulia Crivellini, promotrice della campagna Libera di abortire, “questa è una sentenza molto grave per le ripercussioni che ha e avrà nel futuro. Stiamo già assistendo ai suoi effetti e prevediamo che nei prossimi mesi e anni saranno pesantissime le ripercussioni sulle vite delle persone. Si stima che le donne coinvolte da questa sentenza saranno 30 milioni, e a essere colpiti saranno sicuramente i ceti più fragili e poveri”.
“La decisione della Corte Suprema americana – continua Giulia Crivellini – era attesa da tempo e rappresenta l’abbattimento di una barriera rispetto a diritti riconosciuti. Tra le righe della sentenza possiamo leggere come la Corte Suprema sia pronta a rivedere altri diritti fondamentali come la contraccezione e le relazioni intime tra persone dello stesso sesso.
Dal nostro punto di vista, questa è la dimostrazione che i diritti non viaggiano a carrozze separate ma quello dei diritti è un unico treno e non bisogna mai abbassare la guardia.”
Negli Stati Uniti la situazione è preoccupante, tanto da spingere il presidente Biden a emanare un ordine esecutivo che garantisce il diritto alla pratica e alle piattaforme tecnologiche come Google ad annunciare che i dati di localizzazione degli utenti saranno automaticamente cancellati se visitano una clinica dove si pratica l’aborto, per paura che le informazioni personali delle donne possano essere usate contro di loro dai procuratori degli Stati che vietano l’aborto.
Il Parlamento Europeo ha invece condannato subito la decisione della Corte americana.
Cronologia del diritto all’aborto in Europa
La situazione peggiora anche in Europa
Nella maggior parte dei Paesi europei, le donne sono legalmente autorizzate ad abortire su richiesta, con Malta l’unico stato dell’UE con un divieto totale della procedura.
In Germania dal 2003, il numero di strutture che offrono procedure per l’interruzione di gravidanza si è quasi dimezzato e l’opposizione organizzata all’aborto, comprese le proteste davanti alle cliniche, si è intensificata. L’aborto è regolamentato dal Codice penale ed è inserito nei “reati contro la vita” e perseguibile con tre anni di carcere eccetto se eseguito in determinate circostanze di pericolo per la madre o in casi di stupro. C’è però un vuoto normativo che consente la pratica entro le 12 settimane. Da pochi giorni il Parlamento ha abolito una legge che risaliva all’epoca del nazismo che vieta la comunicazione delle strutture che praticano l’interruzione di gravidanza, rendendo difficile per le donne trovare informazioni online.
In Polonia, invece, la Corte costituzionale ha revocato il diritto delle donne a interrompere la gravidanza nel 2021, stabilendo che le donne possono abortire solo in caso di stupro, incesto o se la loro vita è in pericolo. I medici che eseguono aborti rischiano fino a tre anni di carcere.
Per quanto riguarda l’Italia, la legge 194 del 1978 consente alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica ma spesso il diritto all’aborto è negato dai troppi obiettori.