Mettersi alla prova senza stereotipi e condizionamenti socioculturali. Questo lo scopo di Ragazze Digitali ER, il progetto di orientamento all’informatica e alla programmazione dedicato a studentesse del III e IV anno delle scuole superiori.
Per tre settimane a partire dal 20 giugno, quarantacinque ragazze saranno accolte presso il Dipartimento di ingegneria di Unife, per prendere confidenza con l’informatica e soprattutto con sé stesse.
Le ragazze e le facoltà STEM
Da anni è vivo il dibattito sulla presenza femminile nei percorsi Science, Technology, Engineering and Mathematics (STEM): secondo l’ultimo report di Almalaurea, in Italia solo il 18.9% delle donne sceglie un corso di laurea STEM, mentre tra gli uomini la percentuale sale al 39,2%. Il problema è particolarmente sentito nell’area di informatica e tecnologie (Information and Communication Technologies, ICT), dove le laureate sono solo il 15% del totale. Secondo l’ultimo report di She figures, la percentuale di donne che successivamente decide di intraprendere la professione di ricerca in ambito STEM, scegliendo il dottorato, rimane altrettanto bassa, sia in Italia che in Europa: le donne sono sottorappresentate nella fisica (38.4%), nella matematica e statistica (32.5%), nell’ICT (20.8%) e nell’ingegneria (27%).
È ormai evidente che questa situazione sia anche frutto del pensare diffuso che le donne non sono portate per le materie tecnico-scientifiche, uno stereotipo che scoraggia le ragazze nella scelta del corso di laurea e della professione da intraprendere.
Elena Bellodi, docente dell’Università di Ferrara e referente per il progetto, racconta ad Agenda17 che Ragazze Digitali ER nasce con l’idea di lasciare il tempo alle studentesse di capire cosa sia l’informatica e di mettersi alla prova immergendosi direttamente nelle attività laboratoriali.
“Le ragazze, divise in gruppi, saranno coinvolte in diversi progetti basati su Arduino, Internet of Things e Intelligenza artificiale – spiega Bellodi –. Alcune lavoreranno sulla raccolta dati della qualità dell’aria; altre avranno a disposizione un modellino di casa domotica. Il terzo gruppo lavorerà su una serra automatizzata. Tutte saranno coinvolte nelle rilevazioni e nella visualizzazione web dei dati ottenuti in diverse condizioni, con il fine ultimo di effettuare analisi e sviluppo di modelli descrittivi e previsionali, applicando principi di machine learning.”
Bellodi sottolinea che il progetto può aumentare la consapevolezza delle ragazze che stanno per scegliere la loro professione, arricchendo di talenti sia il mondo del lavoro che quello della ricerca.
L’assenza delle donne nei gruppi di lavoro e nelle posizioni strategiche
I progetti di orientamento sono uno strumento utile per superare il gender gap in ingresso al mondo della ricerca e del lavoro in ambito STEM. Tuttavia, il divario di genere si accentua, se si considerano le progressioni in carriera, i gruppi di lavoro e le posizioni strategiche.
Il report She figures rileva infatti che, a livello europeo, le donne occupano solo un terzo delle posizioni più alte in tutti gli ambiti della ricerca. Nei consigli, nelle commissioni, nei gruppi di lavoro decisionali in media su dieci membri solo tre sono donne e solo in un quarto dei casi ne sono a capo. La situazione rischia di diventare un circolo vizioso, perché minore presenza vuol dire minore popolarità e quindi minore accesso ai finanziamenti, senza i quali è difficile costruire un buon gruppo di ricerca.
Il problema persiste anche negli ambienti dove l’attenzione alle politiche sociali è alta.
Ad esempio, recente è la notizia che, nel gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC), persiste ancora un notevole squilibrio di genere, sebbene il numero di donne coinvolte nella stesura dei rapporti stia aumentando costantemente dagli anni Novanta. All’interno dello stesso IPCC le barriere che limitano la partecipazione alle donne sono ancora molte e includono le molestie, il senso di sfiducia e le maggiori responsabilità familiari rispetto agli uomini.
Aumentare la partecipazione femminile nella ricerca, nelle posizioni strategiche e nei gruppi di lavoro non è solo una questione di equità ma è fondamentale per la qualità dei risultati. Evidenze scientifiche suggeriscono che le pubblicazioni prodotte da gruppi di autori eterogenei per genere ricevono in media il 34% di citazioni in più rispetto a quelle a firma solo maschile.
Spiega ad Agenda17 Sveva Avveduto, capo della delegazione W20 Italia per il 2022, presidente dell’associazione Donne e scienza e ricercatrice emerita del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr): “In generale avere dei gruppi di lavoro troppo omogenei rischia di innescare dinamiche poco produttive e molto polarizzate, che lasciano poco spazio alla creatività e all’innovazione. La diversità, non solo di genere, può produrre una ricerca di qualità migliore perché amplia i punti di vista, le domande e le soluzioni ai problemi affrontati dalla ricerca. Solo se inclusiva la ricerca può essere davvero socialmente utile.”
Azioni per incrementare la presenza delle donne a tutti i livelli della ricerca
Nell’ottica di incrementare la presenza delle donne a tutti i livelli è importante agire anche dall’alto, a livello istituzionale e giuridico. In questo ambito la Commissione europea si è spesa molto, ribadendo l’integrazione della dimensione di genere in tutte le politiche e in tutti i programmi di finanziamento.
Avveduto, che coordina il gruppo di lavoro per la redazione del bilancio di genere e del gender equality plan (GEP) al Cnr, ricorda l’importanza di tali strumenti: “Il bilancio di genere è uno strumento fondamentale per analizzare il dato di partenza per poi produrre un gender equality plan, cioè una strategia per superare le asimmetrie di genere.”
“Le azioni previste includono azioni di mentoring- spiega Avveduto -, formazione dei nuovi assunti e del top management su pregiudizi e stereotipi di genere e sulle strategie per promuovere la diversità e l’inclusione nel lavoro scientifico, azioni di conciliazione fra vita e lavoro, e tutte le politiche che possano promuovere la parità tra uomo e donna anche negli ambiti decisionali.”
Non da ultima va ricordata la misura contenuta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che prevede che il 40% di tutte le assunzioni su questi fondi debbano essere destinate a donne. Una quota rosa nella ricerca, insomma, strumento spesso dibattuto, ma che secondo Avveduto può essere una misura emergenziale temporanea in grado di scardinare un meccanismo di esclusione femminile ormai troppo evidente.
“È chiaramente una forzatura – afferma Avveduto – che però ha funzionato molto bene ad esempio nella politica svedese: a trent’anni dalla sua introduzione, la misura oggi non è più necessaria in Svezia perché avere delle donne politiche è ormai una cosa normale.”
Il rischio che alcune di queste misure siano solo pinkwashing c’è. Di certo il percorso è lungo ma davvero sembra che qualcosa si stia muovendo e a beneficiarne non saranno solo le donne, ma anche la qualità dei risultati della ricerca.
2 thoughts on “Donne e ricerca. Per la qualità serve inclusione: il progetto di Unife
In giugno, Ragazze Digitali ER: l’orientamento all’informatica e alla programmazione per le studentesse delle superiori
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