Carcere: sovraffollamento e necessità di dialogo con la società (2) Nel Pnrr troppi fondi destinati solo all’edilizia carceraria, nonostante la lezione della pandemia, secondo Alessio Scandurra di Antigone

Carcere: sovraffollamento e necessità di dialogo con la società (2)

Nel Pnrr troppi fondi destinati solo all’edilizia carceraria, nonostante la lezione della pandemia, secondo Alessio Scandurra di Antigone

Nella Missione 5, Coesione e inclusione, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), alla voce “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” il Ministero della giustizia ha previsto lo stanziamento di 132,9 milioni di euro, da distribuire tra il 2022 e il 2026, per la costruzione e il miglioramento degli spazi delle strutture penitenziarie.

In particolare, si prevede la costruzione di otto nuovi padiglioni “modello” per detenuti adulti e l’adeguamento strutturale di quattro edifici sede di istituti per minori.

“Consideriamo – commenta Alessio Scandurra, dell’Osservatorio Adulti sulle condizioni di detenzione presso l’associazione Antigone – che oltre la metà dei detenuti sono già stati in carcere una o più volte. Qualunque iniziativa finalizzata a diminuire la recidiva ridurrebbe anche la popolazione detenuta totale.

Detto questo, non c’è dubbio che il patrimonio di edilizia penitenziaria sia vecchio e sarebbero necessari molti soldi per la manutenzione di tutto. Per molto tempo ho pensato che concentrarsi solo su questo aspetto fosse un errore di impostazione culturale, ma comincio a credere che, più banalmente, sia una bugia. 

Alessio Scandurra, dell’associazione Antigone (©paeseitaliapress.it)

Se per risolvere il problema della difficile e costosa manutenzione, proponi la costruzione di nuove carceri, di fatto non devi fare nulla, perché costruirle richiede tempo. Non è una soluzione sbagliata, ma dopo tanti anni di piani straordinari di edilizia credo che si tratti di un voler procrastinare, piuttosto che occuparsi di ciò che possiamo fare adesso.

Nel caso del Pnrr, i fondi saranno utilizzati per costruire non nuove carceri, ma padiglioni già progettati tempo fa. Quindi sono stati recuperati soldi stanziati, coprendo l’impegno di spesa con il Pnrr. Vedremo cosa succederà, ma non si tratta di idee nuove e, soprattutto, non bisogna dimenticare che parallelamente servono anche fondi per assumere tutto il personale necessario.”

La necessità primaria, dunque, è la ristrutturazione delle strutture esistenti, senza però dimenticare il potenziamento del personale che si occupa di rieducazione e valutazione della personalità dei detenuti. In Italia, infatti, nelle carceri visitate da Antigone per il rapporto di metà anno, si evidenzia un forte squilibrio tra il personale di custodia e quello deputato al reinserimento sociale dei detenuti.

I dati della casa circondariale di Ferrara, aggiornati al 31.01.2022 (©Ministero della giustizia)

Il rapporto medio, infatti, è di un poliziotto penitenziario ogni 1,6 detenuti, a fronte di un educatore ogni 91,8. Solo nel 22% degli istituti visitati, inoltre, è stata rilevata la presenza di un mediatore culturale.

La pena non deve spezzare i legami sociali del detenuto

“È senza dubbio un limite culturale – sostiene Stefania Carnevale, docente di Diritto penale presso l’Università di Ferrara – che dipende da noi più che dalla politica. Purtroppo abbiamo caricato il carcere di tutte le nostre aspettative di sicurezza e redenzione, perché chiudere chi ha sbagliato in scatole separate crea l’illusione di una maggiore sicurezza collettiva. Questo può anche essere vero inizialmente, ma non bisogna dimenticare che gran parte della popolazione detenuta ha una pena residua inferiore a tre anni e a breve uscirà. 

Concentrarsi sul momento della contenzione porta a dimenticare il problema della fine, e del fine, della pena. Affidarsi esclusivamente al carcere, senza magari passaggi intermedi verso il reinserimento gradualmente in società, comporta grandi controindicazioni per la sicurezza collettiva.”

Stefania Carnevale, docente di Diritto dell’esecuzione penale presso l’Università di Ferrara (©Unife)

Nella sua relazione finale dello scorso dicembre, la Commissione Ruotolo, istituita nel settembre 2021 per l’innovazione del sistema penitenziario, ha avanzato delle possibili soluzioni per migliorare la qualità della vita nell’esecuzione penale.

Nel testo si legge che “la pena, quale che sia la forma dell’espiazione, deve tendere a restaurare e ricostruire quel legame sociale che si è interrotto con la commissione del reato” e, per farlo, si insiste sulla necessità di attivare un “processo di autodeterminazione che possa permettere al singolo di riappropriarsi della vita”.

“Le varie commissioni – afferma Carnevale – hanno sempre sostenuto che il carcere deve responsabilizzare il detenuto, non fargli perdere la sua autonomia e i legami con l’esterno. Negli ultimi anni sono stati fatti molti tentativi, che poi si sono scontrati con l’opinione pubblica, che continua a considerare il carcere la soluzione a tutti i mali. Invece tante volte è un generatore di problemi.”

“Prevenire – aggiunge Scandurra – oltre a essere costituzionalmente più corretto è anche meno costoso rispetto a intervenire ex post. Se ci sono molte città con consolidata attenzione all’integrazione delle fasce più deboli, ce ne sono altre dove va costruita. È un’operazione anche culturale, cui siamo chiamati tutti.”

Nelle carceri il Covid ha trovato condizioni di salute fisica e mentale già compromesse

A gennaio i detenuti positivi al Covid erano oltre 1500, cui si aggiungono quasi altrettanti operatori e agenti. Gli spazi per isolare i contagiati non ci sono e, nel frattempo, il totale delle presenze ha ripreso a salire.

“Anzitutto – afferma Scandurra – teniamo presente che la normalità in carcere è ad alta intensità di malattie infettive. Di base è un luogo dove molte patologie si presentano a livelli di incidenza e di gravità molto peggiori rispetto a fuori, e già questo complica la situazione.

Ciò vale anche per l’incidenza di problemi di salute mentale, che è molto elevata. Molte persone compiono reati perché hanno difficoltà a gestire la frustrazione, anche senza la presenza di patologie psichiatriche gravi e conclamate. 

In tutto questo, se all’esterno l’esperienza della pandemia è stata scioccante per tutti noi, in carcere diventa terribile perché ha tolto ulteriori spazi e libertà a una comunità già compressa.”

In Europa, da marzo a settembre 2020 i Paesi hanno adottato soprattutto misure restrittive per fronteggiare la pandemia in carcere (©openpolis) 

Antigone ha continuato a monitorare la situazione della pandemia nelle carceri. Durante la prima ondata i contagi sono stati più contenuti, con un picco massimo di 160 positivi e quattro decessi. Nella seconda fase, a dicembre 2020, i positivi sono arrivati a oltre mille, per poi scendere nuovamente. Il tasso di positività rispetto alla popolazione generale è rimasto comunque tendenzialmente più alto.

Già a febbraio 2020 sono state introdotte le prime restrizioni, con la sospensione di ingressi, attività e colloqui, inizialmente nelle zone più colpite dal contagio e poi in tutto il Paese. In parallelo, è stata estesa la possibilità di telefonate e videochiamate, ma la tensione, già forte, ha portato a rivolte e proteste un po’ ovunque.

L’andamento della pandemia in base ai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La curva dei contagi ogni 10mila detenuti segue quella della popolazione libera e risulta accentuata durante i periodi dei picchi (©Antigone)

“Possiamo imparare molte cose da questa esperienza – conclude Scandurra –. Ad esempio l’importanza delle nuove tecnologie: è stata un po’ una prima volta per il carcere, sarebbe bene che il loro utilizzo andasse a sistema anche oltre i momenti di emergenza.

Poi sicuramente alzare gli standard di igiene avrebbe una ricaduta positiva sulla vita quotidiana dei detenuti. In questo momento mancano gli spazi per isolare i positivi: durante la prima ondata sono state fatte uscire temporaneamente delle persone per rispondere a quest’esigenza, e tra l’altro abbiamo visto che non ha inciso sull’andamento della criminalità.

Infine, la pandemia ci ha mostrato che un carcere più chiuso è anche più pericoloso. Tanti episodi accaduti dall’inizio della pandemia sono il frutto anche di questo isolamento e il carcere abbandonato a se stesso degenera. È bene quindi che la società civile, il mondo dell’informazione, il volontariato, facciano ognuno la sua parte per tenere d’occhio questa situazione.”

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