La pandemia ha aumentato i disturbi mentali, soprattutto nei giovani. Lo stigma persiste, ma le risorse investite per la cura della salute mentale restano insufficienti  (2) In Italia è carente l’intervento tempestivo e molti faticano a chiedere aiuto

La pandemia ha aumentato i disturbi mentali, soprattutto nei giovani. Lo stigma persiste, ma le risorse investite per la cura della salute mentale restano insufficienti (2)

In Italia è carente l’intervento tempestivo e molti faticano a chiedere aiuto

In Italia, dal 2013 è in vigore il Piano d’azione nazionale per la salute mentale (Pansm), che definisce gli obiettivi di salute per la popolazione e gli strumenti per conseguirli. Le aree di intervento individuate come prioritarie riguardano l’intervento precoce, i disturbi comuni (ad alta incidenza, come depressione e disturbi d’ansia), i disturbi gravi e persistenti e i disturbi di infanzia e adolescenza.

Nel tavolo tecnico sulla salute mentale che il Ministero della salute ha tenuto a maggio emerge però che solo il 49,5% degli obiettivi programmatici sono stati attuati. In generale, il sistema di cura appare centrato maggiormente sulla cronicità, piuttosto che su identificazione e intervento precoce, e non è garantita continuità nel percorso di cura.

Le Regioni che presentano le maggiori criticità sono Basilicata, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Lazio, Campania e Liguria. Tra gli obiettivi che più si fatica a raggiungere, invece, rientrano la lotta allo stigma, il trattamento di disturbi psichici legati all’invecchiamento e l’identificazione precoce delle patologie neuropsichiche, con la conseguente difficoltà a garantire una cura tempestiva.

Inoltre, è particolarmente difficile da valutare la situazione giovanile a causa di una carenza nei flussi informativi. I pochi sistemi informativi regionali attivi e un’importante disomogeneità nella rete dei servizi di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (Npia) rendono difficile garantire risposte eque sul territorio. Mancano infatti posti letto, ma anche strutture semiresidenziali che sono fondamentali per garantire gli interventi più complessi e per prevenire, dove possibile, il ricovero ospedaliero.

Negli ultimi dieci anni, c’è stato un raddoppio degli accessi ai servizi di Npia, soprattutto in ambito psichiatrico. Nel solo biennio 2017-2018 i ricoveri di minori per disturbi neurologici sono aumentati dell’11%, quelli per disturbi psichiatrici del 22%.

Prima della pandemia si stimava che 200 giovani su 1000 soffrissero di un disturbo neuropsichiatrico, ma solo sessanta di essi hanno accesso a un servizio territoriale di Npia e, tra questi, solo la metà ottiene risposte terapeutiche adeguate. 

“Le risorse economiche sulla salute mentale – afferma Luigi Grassi, docente di Psichiatria presso l’Università di Ferrara – restano un problema risolto solo parzialmente, con disparità rispetto alle risorse date ad altre aree mediche e soprattutto in termini di prevenzione e identificazione precoce. 

Luigi Grassi è docente di Psichiatria presso l’Università di Ferrara

In medicina vi è poi l’abitudine consolidata di intervenire sui problemi una volta che questi si sono manifestati, nonché, in ambito psichiatrico, si tende a minimizzare i propri disturbi in funzione dello stigma che ancora esiste in quest’area. Sia nell’immaginario collettivo sia nelle manifestazioni comportamentali, infatti, manifestare un disturbo psichico, di qualunque natura esso sia, corrisponde tout court a follia e pazzia.”

Il disturbo mentale è una condizione vissuta dall’individuo che non riesce a risolvere una situazione di disagio (©Ministero della salute)

In Italia ci sono oggi circa 140 Dipartimenti di salute mentale (Dsm) dislocati sul territorio, con forti discrepanze rispetto all’estensione della popolazione trattata, alla struttura organizzativa, ma anche ai livelli di finanziamento e alle culture professionali.

Inoltre, negli ultimi anni c’è stato un calo generale sia di medici e psicologi sia del personale infermieristico, cui si aggiunge la carenza di formazione specifica (attualmente i dati indicano competenze acquisite per meno del 50% del personale), a fronte di un aumento del 2,5% dei casi di contatto con i Dsm dal 2016.

A questi casi si aggiunge però anche una quota di bisogni non intercettata, definita “inappropriatezza per difetto”. In particolare, le analisi sui dati di accesso alle strutture suggeriscono difficoltà a intercettare i disturbi all’esordio o in fase precoce, momenti indispensabili soprattutto per diagnosticare e trattare le psicosi schizofreniche.

Maggiormente colpiti sono gli anziani e le donne, ma ancora molti non chiedono aiuto

Dai dati 2017-2020 sulla depressione della sorveglianza sui Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia (Passi), condotta sulla popolazione adulta tra 18-69 anni, una quota contenuta di adulti (6%) riferisce sintomi depressivi.

Questi sintomi sono però più frequenti con l’avanzare dell’età, nella popolazione femminile (8% contro il 5% tra gli uomini), tra le classi economicamente svantaggiate e con livelli più bassi di istruzione, tra chi non ha un lavoro regolare continuativo, tra chi ha patologie croniche e tra chi vive solo. 

Gli stessi fattori incidono anche nella crescita dei sintomi depressivi tra la popolazione over 64: dai dati raccolti nel periodo 2017-2020, si stima che ne soffrano tredici persone su 100, con percentuali che crescono fino al 22% oltre gli ottantacinque anni di età.

I dati Passi per la fascia d’età 18-64 mostrano variazioni regionali non particolarmente rilevanti, ma dal 2015 il trend è in crescita nelle Regioni settentrionali (©epicentro.iss)

A qualsiasi età, però, rimane alta la difficoltà ad affrontare la malattia. Per la fascia d’età 18-34 anni solo il 62% di chi riferisce sintomi depressivi ricorre all’aiuto di qualcuno, in particolare medici e operatori sanitari. Tra gli over 64, invece, il 28% non chiede aiuto mentre, tra chi lo fa, il 23% si rivolge a famigliari e amici, il 16% a medici e il 33% a entrambi.

“La sofferenza psichica – conclude Grassi – è percepita come qualcosa inerente l’essere deboli, incapaci. Sul piano specifico è in genere riconosciuto come lo stigma sia un processo che riguarda, da un lato, come gli altri giudicano e si pongono verso chi ha un disturbo psichico, definito ‘stigma sociale’, dall’altro, come la persona con disturbo psichico percepisce se stessa, quindi con l’impossibilità di condurre una vita normale, avere amici, trovare lavoro e così via. Questo rappresenta il cosiddetto ‘auto-stigma’.”

Come rileva lo stesso Ministero della salute, infatti, molte persone con disturbi mentali non cercano adeguato aiuto a causa di esperienze negative, mancanza di informazione e comprensione dei problemi legati alla salute mentale, incertezza su come cercare sostegno e vergogna o paura di essere etichettate come matte. Oltre a ciò, rimane diffusa la tendenza tra la popolazione a mantenere la distanza sociale con le persone che soffrono di disturbi mentali, allontanandole ulteriormente dai percorsi di cura.

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