Il giudizio dei magistrati può dipendere da “pregiudizi cognitivi” Secondo una ricerca UCL, l'arbitrarietà delle scienze forensi può riguardare anche test “sicuri” come impronte digitali e DNA

Il giudizio dei magistrati può dipendere da “pregiudizi cognitivi”

Secondo una ricerca UCL, l'arbitrarietà delle scienze forensi può riguardare anche test “sicuri” come impronte digitali e DNA

Sono stati circa un migliaio ogni anno, dal 1991 al 2021, gli innocenti condannati ingiustamente in Italia. Questo ha comportato una spesa di quasi 28 milioni di euro in indennizzi e risarcimenti vari da parte dello Stato e severe ripercussioni a livello sociale e psicologico. Perché tanti errori giudiziari e investigativi? Itiel Dror, ricercatore dello University College London (UCL), ha dedicato la sua carriera ventennale a individuare i pregiudizi cognitivi che possono falsare l’esito di tali procedimenti, con risultati già adottati da diversi Paesi per ridurre i margini di errore che possono determinare condanne ingiuste. 

I “pregiudizi cognitivi” sono condizionamenti della nostra mente, di vario tipo e diversa origine, che ci portano a cercare, percepire, interpretare e creare nuove prove a supporto delle nostre credenze preesistenti e influiscono sui nostri processi decisionali. 

Otto possibili sorgenti di bias individuate da Dror e classificate in tre categorie secondo uno schema piramidale: al vertice le più specifiche, relative al singolo caso; più in basso quelle collegate a chi realizza indagini e analisi; alla base le sorgenti più generali, relative alla natura umana (©I. Dror, Anal. Chem. 2020, 92, 7998−8004)

Con i suoi studi, inoltre, Dror ha dimostrato che anche test considerati del tutto sicuri, come il confronto tra impronte digitali e l’analisi del DNA, possono portare l’esaminatore a risultati diversi, se eseguiti in contesti diversi. Questo ha evidenziato la necessità di adottare procedure isolate da elementi esterni che ne potrebbero compromettere l’affidabilità. 

Il caso George Floyd: anche i bias influenzano le indagini

Non a caso, in questi giorni Dror sta lavorando alle indagini per la morte di George Floyd, il ragazzo nero ucciso in Minnesota (USA) il 25 maggio 2020 durante una perquisizione da parte della polizia. Il suo compito è valutare se i nuovi elementi sul quadro clinico del ragazzo emersi dall’autopsia, che potrebbero scagionare il poliziotto accusato per il suo omicidio, non siano in realtà un bias pro-forze dell’ordine.

Il caso George Floyd ha sollevato proteste diffuse negli Stati Uniti. La frase che il ragazzo avrebbe pronunciato durante la perquisizione della polizia si è trasformata in uno slogan di protesta e denuncia (©pexels)

Questi bias di conferma sono automatici, naturali e occorrono a livello di subconscio, senza quindi averne la piena consapevolezza. Inoltre tendono a guidare i nostri processi decisionali in situazioni dominate dall’incertezza. Ad esempio è stato dimostrato come la visione di un numero, un oggetto, un volto umano, un animale, prima di esaminare un’immagine poco chiara, possa influenzare ciò che distinguiamo in quell’immagine. 

Le nostre aspettative, inoltre, interferiscono con le nostre percezioni visive. Siamo più portati a trovare somiglianze nei tratti somatici di due persone se ci viene detto che sono legate da vincoli di parentela, anche se ciò non corrisponde a realtà. Bisogna perciò tener conto di tutti questi elementi nel contesto che, per definizione, è dominato dal dubbio e dall’incertezza, vale a dire il corso di un’indagine.

Anche gli esperti sono condizionati dai processi mentali

È lo stesso Dror a definire le scienze forensi “polarizzabili”, cioè influenzate da credenze preesistenti, situazioni che condizionano la raccolta, l’analisi e la valutazione delle prove di un reato. Nel corso di un’indagine, gli esperti forensi non sono di certo protetti da stimoli e influenze, che vanno dal conoscere la natura e i dettagli del crimine all’essere messi sotto pressione dalle forze dell’ordine o dalle autorità giudiziarie. 

In uno studio del 2006, ad esempio, il ricercatore dell’UCL chiese a cinque esperti di impronte digitali di analizzare il match tra alcune coppie di impronte. Di proposito gli esperti non erano stati informati di aver già valutato tali match in passato con esito positivo. Prima di procedere all’esame, però, era stato comunicato loro che si trattava di importanti casi di errata identificazione, lasciando supporre non vi fosse un match. Ebbene, solo uno dei cinque ricercatori aveva poi confermato il match ottenuto in passato. Ciò è sintomatico di come il contesto in cui i test sono realizzati possa comprometterne l’affidabilità. 

Anche i risultati del DNA sono caratterizzati da una certa flessibilità, come mostra un altro studio di Dror e colleghi su un caso reale di stupro di gruppo, in cui uno degli aggressori aveva deciso di confessare per ottenere uno sconto di pena, rivelando il nome dei suoi complici. I DNA dei colpevoli erano stati tutti trovati sulla scena del crimine, sebbene uno degli accusati continuasse a dichiararsi innocente.

Per scovare il possibile bias, Dror decise di far esaminare il suo DNA a diciassette esperti esterni, senza fornire loro nessuna indicazione sul contesto in cui era stato raccolto. Solo uno degli esperti confermò il risultato precedente, quattro ritennero l’esame inconcludente e ben dodici non trovarono alcun match, scagionando l’innocente. 

Evitare le informazioni non necessarie: la soluzione di Dror adottata in diversi Paesi

Questo dimostra come la confessione abbia un effetto particolarmente incriminatorio: può arrivare a creare delle echo chamber investigative all’interno delle quali, secondo Dror, il bias è amplificato perché i polarizzati agiscono a loro volta da polarizzatori.

La soluzione che Dror suggerisce per evitare tali condizionamenti è tenere al riparo le persone coinvolte nei processi investigativi da tutte le informazioni non strettamente necessarie. In questa procedura, nota come Linear Sequential Unmasking (LSU), i vari esperti forensi hanno modo di esaminare solo le prove del proprio specifico settore di competenza. 

L’LSU ha ricevuto l’endorsement del Forensic Science Regulator del Regno unito ed è stato già adottato dal Federal Bureau of Investigation (FBI). Anche l’Olanda, dopo aver chiesto specificamente un consulto di Dror, ha deciso di affidarsi a un esame cieco delle impronte digitali, svelando cioè agli analisti solo i dettagli investigativi ritenuti indispensabili.

In Italia però manca un’iniziativa mirata da parte dello Stato

In Italia la questione è affrontata da iniziative come The Italy Innocence Project, l’analogo nazionale del più famoso e internazionale The innocence project. The Italy Innocence Project è un’organizzazione no profit, nata da un’iniziativa del Dipartimento di Legge dell’Università di Roma III. Si occupa non solo di studiare casi di condanne ingiuste e di proporre soluzioni e rimedi, attraverso studi e ricerche, ma anche di fornire assistenza legale e scientifica agli avvocati che assistono innocenti condannati per ottenere la riapertura del processo. 

A livello giornalistico e d’inchiesta, ci sono poi progetti come “errorigiudiziari.com”, che tengono traccia dei numerosi errori giudiziari per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Tuttavia, diversamente da Regno unito e Olanda, manca ancora un intervento preventivo da parte dello Stato, volto a migliorare l’affidabilità delle tecniche d’indagine. Ciò contribuirebbe a evitare dal principio gli errori giudiziari e garantirebbe maggiori possibilità di assicurare alla giustizia il vero colpevole.

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