Più spazio alle donne. Nello Spazio Sono aspiranti astronaute il 39% degli ammessi alla seconda fase della selezione in corso dell’Agenzia spaziale europea. E ci sono anche “parastronauti”

Più spazio alle donne. Nello Spazio

Sono aspiranti astronaute il 39% degli ammessi alla seconda fase della selezione in corso dell’Agenzia spaziale europea. E ci sono anche “parastronauti”

L’Agenzia spaziale europea (European Space Agency, ESA) sta selezionando la nuova leva di astronauti e astronaute. Al bando, aperto nel marzo 2021, hanno partecipato oltre 23mila aspiranti da tutta Europa, tra cui circa 5400 donne: il 24% sul totale. 

Secondo Ersilia Vaudo, Chief Diversity Officer dell’ESA, il numero totale di candidature ha superato le più rosee aspettative dell’Agenzia ed è probabilmente la prova di un rinvigorito interesse delle nuove generazioni per lo Spazio. “Tra questi candidati – dice Vaudo ad Agenda17 – uno su quattro si identifica con il genere femminile: è una frazione più alta rispetto alle precedenti selezioni in cui avevamo un rapporto di uno a sei rispetto agli uomini.” 

Dopo la prima scrematura, un totale di 1362 candidati – circa una donna su dieci e un uomo su venti – sono stati selezionati per la seconda fase, facendo salire la percentuale relativa di donne al 39%. 

“Questo risultato – aggiunge Vaudo – seppur possa sembrare ancora lontano dall’obiettivo della parità di genere verso il quale l’Agenzia è fortemente impegnata, è in realtà incoraggiante perché rispecchia le statistiche sul numero di donne nelle lauree in discipline STEM”  (dall’inglese: Science, Technology, Engineering and Mathematics).

La seconda fase della selezione per il corpo astronauti dell’Agenzia spaziale europea. ESA)

Chi supera questa tappa, che consiste in una serie di test cognitivi, tecnici, di coordinazione motoria e della personalità, dovrà sottoporsi, nelle prossime settimane, a colloqui psicologici e test di gruppo. Le fasi successive prevedono test medici e infine colloqui individuali per selezionare tra quattro e sei “titolari” che saranno assunti dall’ESA, oltre a una “riserva” di 10-20 astronauti e astronaute che non entreranno a far parte dell’Agenzia ma potranno essere chiamati a partecipare a progetti specifici in futuro. L’annuncio dei risultati finali è previsto in autunno.

Solo il 12% degli astronauti nel mondo sono donne

Dall’inizio dell’era spaziale, circa 600 persone hanno visitato lo Spazio almeno una volta, principalmente per conto di agenzie spaziali, ma anche a bordo di missioni private oppure a scopo di turismo spaziale. Appena settantadue di loro (il 12%) sono donne. 

La prima a volare nello Spazio fu la cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova nel 1963, seguita dalla collega Svetlana Savitskaya nei primi anni Ottanta. Negli Stati Uniti, dopo il nulla di fatto del programma “Mercury 13” – un gruppo di aviatrici addestrate per il volo spaziale che però non partirono mai alla volta dello Spazio – la NASA ricorse all’aiuto di Nichelle Nichols, l’attrice afroamericana che aveva interpretato il tenente comandante Uhura nella serie classica di Star Trek degli anni Sessanta, con lo scopo di reclutare donne e minoranze etniche. 

La prima astronauta statunitense è stata Sally Ride nel 1983, seguita nei decenni successivi da una cinquantina di colleghe. La nuova leva NASA, annunciata a fine 2021, comprende dieci astronauti: sei uomini e quattro donne. Saranno addestrati per partecipare anche al programma Artemis di esplorazione umana della Luna, tra i cui obiettivi figura quello di portare la prima donna sul nostro satellite naturale.

L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti a bordo della Stazione spaziale internazionale nel 2015. (© ESA/NASA)

Negli altri Paesi del Mondo, le donne che hanno lasciato il nostro Pianeta si contano ancora sulle dita di una mano: tre russe, due canadesi, due cinesi, due giapponesi, una francese, un’italiana, una sudcoreana e una britannica.

Tra membri attivi e non, l’ESA ad oggi conta una ventina di astronauti, tra cui solo due donne: la francese Claudie Haigneré e l’italiana Samantha Cristoforetti. La selezione in corso, la prima dal 2008, è un’occasione quasi unica per aggiungere maggiore diversità al corpo di astronauti europeo in un’epoca storica in cui anche i privati iniziano a giocare un ruolo significativo nell’esplorazione umana dello Spazio. 

Lo scorso luglio, Sirisha Bandla, vicepresidente di Virgin Galactic – compagnia di proprietà del magnate Richard Branson – ha partecipato al primo volo suborbitale di turisti spaziali. Pochi giorni dopo, l’ultra-ottantenne Wally Funk (una delle famose “Mercury 13”) ha preso parte a un simile volo, questa volta organizzato dalla Blue Origin, società privata creata dal miliardario Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Anche l’equipaggio del primo volo spaziale con a bordo solo cittadini che non fanno parte di nessuna agenzia spaziale, lanciato lo scorso settembre dall’azienda di un altro miliardario, la SpaceX di Elon Musk, era formato da due uomini e due donne. 

Rappresentare l’intera umanità nello Spazio

Secondo Vaudo, i dati sulla selezione in corso “rispecchiano il cambio di paradigma trainato da una rivoluzione inarrestabile sulla quale l’ESA ha deciso di puntare.”

Ersilia Vaudo, ESA Chief Diversity Officer (© ESA)

Oltre a incoraggiare attivamente le donne a partecipare al nuovo bando, l’ESA ha previsto anche un programma sperimentale per reclutare persone con alcune disabilità fisiche: assenza di piedi o gambe, gambe di lunghezza molto diversa, statura inferiore a 1,30 m. Quasi 300 persone hanno partecipato a questo programma di “parastronauta” e ventinove di loro – otto donne e ventuno uomini – sono state scelte per la fase successiva delle selezioni.

“Se gli astronauti desiderano rappresentare l’intera umanità, come penso debbano fare, allora dovrebbero includere tutti coloro che formano quell’umanità, tutto lo spettro di genere e orientamento sessuale”, dice ad Agenda17 Priya Satalkar, ricercatrice in bioetica e antropologia medica presso il Bioethics Institute Ghent, in Belgio, che ha avuto esperienza diretta della selezione. 

“Se si parla dell’intero spettro degli esseri umani, bisogna includere anche le persone con disabilità – aggiunge. – È strano raggruppare insieme donne e persone con disabilità, ma per molti versi anche le donne sono emarginate, anche se il grado di emarginazione è diverso. Ritengo una buona iniziativa il programma di fattibilità per para-astronauti annunciato dall’ESA. Nelle situazioni difficili preferirei collaborare con qualsiasi gruppo emarginato, perché come gruppo siamo più forti.”

“Penso che vedere una persona di colore, una persona immigrata, che può farcela, se osa e lavora sodo, possa avere un enorme impatto sulle ragazze più giovani che non hanno la pelle bianca ma hanno un aspetto simile al mio – aggiunge la ricercatrice di origine indiana e nazionalità svizzera –. Nella mia vita, sono stata influenzata molto da donne che hanno intrapreso un percorso inesplorato: mi hanno ispirata a diventare una scienziata.”

Priya Satalkar, ricercatrice presso il Bioethics Institute Ghent, in Belgio. (© Institute for Biomedical Ethics, University of Basel)

La professione dell’astronauta interessa meno di una persona su dieci milioni al Mondo. Eppure la visibilità mediatica che l’accompagna ne amplifica l’impatto ben oltre la cerchia ristretta di persone direttamente coinvolte nell’esplorazione spaziale. Vedere donne astronaute impegnate in esperimenti scientifici a bordo della Stazione spaziale internazionale tanto quanto le loro controparti maschili può contribuire a sfidare alcuni di questi stereotipi.

“Non mi illudo che, solo perché adesso avremo più astronaute europee, improvvisamente scompariranno i pregiudizi nella formazione delle ragazze – nota Satalkar –. In questo modo, però, chi vuole mettere in discussione quegli stereotipi, compresi gli insegnanti, avrà delle donne verso cui puntare per dire: guarda, lei è lì, può farlo, quindi possiamo farlo anche noi.”

Le astronaute statunitensi Christina Koch e Jessica Meir, che nel 2019 hanno partecipato al primo intervento tecnico extraveicolare sulla Stazione spaziale internazionale formato da sole donne. (© NASA)

Il nodo cruciale dei modelli di ruolo

In un’intervista rilasciata prima di morire, Sally Ride, che prima di diventare la prima astronauta della NASA aveva conseguito laurea e dottorato di ricerca in Fisica presso l’Università di Stanford, racconta di non aver mai pensato di poter essere un modello di ruolo quando ha iniziato gli studi o è entrata nel corpo degli astronauti. Dopo il suo primo volo a bordo dello Shuttle, tuttavia, capì chiaramente di essere diventata un modello, e cominciò a comprenderne l’importanza per le persone, in particolare per le ragazze. “Non puoi essere ciò che non puoi vedere” è una frase che le viene spesso attribuita.

“Avere dei role model positivi di certo aiuta a rafforzare l’interesse delle bambine verso i mestieri legati all’avventura spaziale – commenta Vaudo – e le aiuta a immaginare il loro futuro con occhi diversi. Il potenziale di ispirazione dello Spazio per incoraggiare le ragazze a perseguire studi nelle materie STEM è straordinario. È anche con questo spirito che l’ESA è entrata in partnership con Mattel, per una Barbie dedicata a Samantha Cristoforetti.”

“In fondo abbiamo tutti bisogno di modelli di ruolo – conclude Satalkar –. Trovo ancora molto strano pensare che Kamala Harris sia oggi la prima donna Vicepresidente degli Stati Uniti. Durante la mia infanzia, Indira Gandhi era il Primo ministro dell’India, ed è stata davvero un modello per me da giovane. Queste figure, le donne che hanno in qualche modo rotto quel soffitto di cristallo, hanno un vero potere. Chiaramente non tutte le donne in India possono diventare Indira Gandhi, suo padre è stato il più grande statista del Paese e lei ha avuto moltissimi vantaggi, ma per il semplice fatto di essere lì, sapevamo tutte che era possibile, quanto meno in alcune circostanze.”

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