La resilienza della Laguna vista dallo Spazio Studio italiano di telerilevamento satellitare alla Biennale di Venezia

La resilienza della Laguna vista dallo Spazio

Studio italiano di telerilevamento satellitare alla Biennale di Venezia

Monitorare la Laguna di Venezia dallo Spazio per valutare la sua capacità di resilienza a fronte di cambiamenti climatici e, soprattutto, dell’intervento dell’uomo. Lo rende possibile uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani, recentemente pubblicato sulla rivista Sustainability.

Lo studio, frutto della collaborazione fra l’Istituto universitario di studi superiori (Iuss) di Pavia, Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), ha usato le immagini rilevate dai satelliti per analizzare l’evoluzione della Laguna negli anni. 

Una “fotografia del tempo” per capire come proteggere questo ecosistema tanto sensibile quanto unico in termini di biodiversità. La metodica di telerilevamento satellitare sviluppata per Venezia è stata impiegata dai ricercatori per monitorare altre realtà resilienti in diverse parti del Mondo. Le loro immagini sono ora parte di un’installazione alla Biennale di Venezia in corso.

Un ecosistema sensibile ma resiliente

La Laguna di Venezia è la più grande zona umida d’Italia, con una superficie di 550 km2. Un ecosistema in continuo mutamento, soggetto all’influenza reciproca di fattori naturali e antropici: cambiamenti climatici, degrado dell’ecosistema, innalzamento del livello del mare e subsidenza, il lento e progressivo sprofondamento del fondo del bacino marino. 

Un tratto della Laguna di Venezia con le barene, distese di suolo limoso e argilloso, che emergono durante le basse maree più pronunciate. Hanno un ruolo importante nell’equilibrio tra gli ecosistemi marini e terrestri (© foto di Paolo Toffoli)

Da secoli l’uomo modifica attivamente l’habitat lagunare per contrastare l’insabbiamento naturale. “Le lagune quali ambienti effimeri hanno la tendenza a scomparire – ha spiegato ad Agenda17 Andrea Taramelli, primo autore dello studio e professore di geografia fisica e geomorfologia allo Iuss Pavia, oltre che coordinatore dello User forum nazionale di Copernicus – I continui lavori effettuati dall’uomo vanno a incidere sulla loro evoluzione. Si tratta di ambienti caratterizzati da un sottile equilibrio, in cui la vegetazione è resiliente, ed è in grado di aumentare la propria capacità di adattarsi a cambi repentini.”

Andrea Taramelli è professore di Geografia fisica e Geomorfologica presso la Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia (© milano.corriere.it)

L’esempio di intervento antropico più recente – e noto per le sue controversie – è il Modulo sperimentale elettromeccanico (Mose), un sistema di dighe mobili finalizzato alla difesa della città e della sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta. Gli effetti sugli ecosistemi della Laguna da parte di interventi antropici di questa portata sono difficili da prevedere: stabilizzeranno il sistema o saranno dannosi? 

Per poter comprendere questi processi servono innanzitutto metodi per monitorare i processi di evoluzione e risposta ambientale della Laguna. Solo così, sostengono gli autori dello studio, si può dare la possibilità a policymaker e stakeholder di optare per interventi realmente sostenibili e rispettosi della biodiversità. 

L’antefatto: la scomparsa del fraticello selvatico 

“Tutto è partito dal calo costante della presenza del fraticello selvatico sull’isolotto di Bacan, nella parte settentrionale della Laguna”, ha raccontato Taramelli. L’Italia ospita infatti la più grande popolazione in Europa di fraticello selvatico (Sterna albifrons) e circa l’85% degli esemplari vive lungo la costa dell’Alto Adriatico.

Esemplare di fraticello selvatico immortalato nella Laguna di Venezia (©foto di Emanuele Stival)

La grandezza delle colonie di questi piccoli uccelli migratori fluttua in base ai cambiamenti dello stato dei sedimenti e la sua presenza è considerata come un indicatore dello stato ecologico degli ecosistemi marini. Ecco perché la sua scomparsa desta preoccupazione.

Usare i satelliti per capire l’evoluzione della laguna

“Nel 2012 è stato chiesto ad Ispra di monitorare l’area dove questo uccello era solito depositare le uova, per capire se il suo allontanamento fosse legato in qualche modo alla realizzazione delle opere per la costruzione del Mose – spiega Taramelli – Non sono però state rilevate evidenze in tal senso. Peraltro i trend della sedimentazione in quest’area erano già in evoluzione prima dell’avvio della sua realizzazione. Ci sono stati diversi interventi di nature base solution nel corso degli anni per riportare le barene, i terreni tipici della Laguna, periodicamente sommersi dalle maree, a una grandezza sufficiente.”

È in questo contesto specifico che è nata l’idea di monitorare l’evoluzione dell’ecosistema lagunare. Si è scelto di usare immagini satellitari perché queste, rispetto alle osservazioni sul campo, sono in grado di fornire dati quantitativi su larga scala. I ricercatori si sono quindi concentrati sul bacino settentrionale del Lido di Venezia, che non solo è un’area di nidificazione del fraticello, ma rappresenta anche una zona di grande interesse ecologico e biologico, che include diversi habitat elencati nelle Direttive habitat e uccelli (1992/43/Cee e 2009/147/Cee). 

La metodica sviluppata ha combinato dati acquisiti da satelliti Landsat e misure in situ, permettendo di osservare gli effetti reciproci dei processi naturali e degli interventi dell’uomo sulla vegetazione della Laguna. Per fare questo, i ricercatori hanno elaborato retrospettivamente una grande quantità di immagini raccolte nell’arco di vent’anni, dal 1991 al 2011, e hanno identificato i punti e le variabili spazio-temporali che portano a stati critici dell’ecosistema. 

Immagine della Laguna di Venezia scattata da uno dei satelliti Landsat (©earth.esa.int)

È stata creata così una sorta di “fotografia del tempo”, che mostra la risposta e il grado di resilienza della vegetazione del bacino del Lido ai fattori di stress, come ad esempio i cambiamenti climatici. Un risultato di particolare utilità se si pensa che, secondo dati forniti da Enea, entro il 2100 oltre 5.600 km2 e più di 385 km di coste italiane rischiano di essere sommerse a causa dell’innalzamento del livello del mare provocato dal surriscaldamento globale.

Applicazioni future: Il Mose e gli interventi antropici

La metodica a immagini satellitari sviluppata si presta all’analisi dell’evoluzione di ecosistemi complessi, come quello della Laguna di Venezia, e proprio in questo ambito sono in programma ulteriori ricerche per la valutazione degli effetti dell’intervento umano sul territorio. 

“La metodologia di analisi dei cambiamenti morfologici e di vegetazione della laguna attraverso rilevazioni di immagini satellitari verrà testata anche per monitorare eventuali effetti derivanti dall’utilizzo del Mose – ha aggiunto Taramelli – L’obiettivo è quello ad esempio di sperimentare se attraverso l’apertura e chiusura delle sue barriere si potrà evidenziare una correlazione sulla dinamica dei sedimenti all’interno della Laguna e quindi sulle barene. 

Dal 2014, con l’avvio dell‘operatività di Copernicus, è stato possibile effettuare il monitoraggio della Laguna anche grazie alle missioni Sentinel 1 e 2 di Copernicus, che forniscono immagini ogni quattro-sei giorni, rispetto a una al mese di Landsat.” 

La resilienza della Laguna come concept grafico alla Biennale

Proprio di “Comunità resilienti” si parla quest’anno alla Biennale di architettura di Venezia, che ha intitolato così il Padiglione Italia. In questo contesto, le immagini satellitari Sentinel 2 elaborate dal gruppo coordinato da Taramelli sono inserite in una installazione grafica, che rimarrà in esposizione per tutta la durata della mostra.

“Comunità resilienti” è il nome del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2021 (©costruttoridifuturo.com)

Dataframes: a journey through global data accosta immagini spazio-temporali ad alto impatto visivo, che giocano sulla nostra percezione dei colori e descrivono la resilienza come un processo universale: da un campo profughi in Giordania, che nel tempo è diventato più strutturato delle grandi città del Paese, alla frammentazione delle foreste dell’Indonesia o, appunto, della Laguna di Venezia.

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