Accesso universale ai vaccini. Troppi ostacoli: esclusi i deboli dei Paesi ricchi e quelli poveri Blocco dei brevetti, l’opinione dell’economista Emidia Vagnoni di Unife

Accesso universale ai vaccini. Troppi ostacoli: esclusi i deboli dei Paesi ricchi e quelli poveri

Blocco dei brevetti, l’opinione dell’economista Emidia Vagnoni di Unife

Assicurare l’equità di accesso ai vaccini per la Covid-19 è una sfida che stiamo perdendo. Lo dice Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Ed è una condizione essenziale, oltre che eticamente obbligatoria, per la ripresa economica su scala mondiale.

La disuguaglianza di accesso ai vaccini anti-Covid, seppure con percentuali e caratteristiche diverse, è presente anche nel nostro Paese.

Ogni 100 italiani che scaricano la Carta verde o sbuffano pensando al terzo richiamo, c’è un cittadino dal profilo giuridico e sociale “non convenzionale” e con i piedi entro i confini nazionali che la prima dose deve ancora vederla.

Per quanto sia difficile contare una popolazione che sfugge agli appelli, l’Istituto nazionale migrazione salute e povertà (Inmp) stima che siano 700mila le persone a cui non è garantito un accesso equo alla vaccinazione anti-Covid.

Promozione di una vaccinazione equa dell’International Organization for Migration/IOM (© Twitter IOM)

Parliamo, tra molti, di cittadini italiani senza fissa dimora, malati cronici più vulnerabili all’infezione, persone con disabilità e i loro caregiver, minoranze etniche, rom, sinti o migranti, anche irregolari, una definizione che niente ha a che vedere con losche strategie di ingresso nel nostro Paese. Per diventare “irregolari” basta perdere una delle condizioni dichiarate al rilascio del visto (come il lavoro o la casa) o nascere da genitori sprovvisti di documenti in un Paese che non riconosce la cittadinanza di nascita.

Le campagne che procedono a suon di “nessuno è al sicuro, finché non lo siamo tutti” ci danno la misura di quanto la faccenda ci riguardi: le popolazioni non vaccinate diventano bacini in cui il virus si diffonde e muta con nuove varianti, trascinando tutti in una spirale da cui è difficile uscire.

Equità significa anzitutto rimuovere gli ostacoli

Un antico concetto di equità suggerisce di trattare nella stessa maniera gli uguali e in maniera diversa i disuguali. E’ un po’ come dire che per correggere il difetto visivo di due diverse persone non si devono dare a entrambi gli stessi occhiali ma fare in modo che entrambi possano vedere bene nelle medesime condizioni.

Distribuire contemporaneamente il vaccino a tutti è impossibile e diventa inevitabile (e molto difficile) definire delle priorità.

Meglio vaccinare prima le persone con una maggiore probabilità di contrarre l’infezione o quelle che potrebbero avere un danno maggiore? Prevenire il danno economico, il maggior numero di vite o la maggior parte degli anni di vita? Decidere a chi dare priorità nella somministrazione del vaccino è un pò come trovare la distanza tra le tessere di un domino perchè cadano solo quelle colpite in maniera accidentale.

© larepubblica.it

Molte categorie sono sistematicamente svantaggiate per quanto riguarda l’accesso all’assistenza sanitaria, e garantire l’equità significa anche rimuovere gli ostacoli per accedere alla vaccinazione o alla sua prenotazione.

Il nostro sistema sanitario tende a non lasciare indietro nessuno assicurando a tutti i trattamenti medici essenziali, la tutela della maternità e della gravidanza, le vaccinazioni previste a livello nazionale.

Regioni in ordine sparso

Le prestazioni sanitarie per i non iscritti vengono erogate dietro rilascio di codici temporanei: STP per lo straniero temporaneamente presente o Eni (Europeo non iscritto) che però non vengono riconosciute (salvo poche eccezioni) dalle piattaforme regionali di prenotazione con differenze tra una Regione e l’altra o all’interno della stessa.

Secondo Andrea Bellardinelli, responsabile del Progetto Italia di Emergency che ha messo a disposizione strutture mobili e sportelli di aiuto a chi ne ha bisogno: “la campagna vaccinale per gli irregolari sta soffrendo di una estrema frammentarietà: non ci sono linee guida nazionali, e così le Asl si stanno muovendo in ordine sparso, con approcci e strategie diverse anche all’interno della stessa Regione, e lasciando fuori alcune categorie.”

Andrea Bellardinelli, coordinatore del Programma Italia di Emergency (© youtube)

“Se vogliamo davvero mettere al sicuro gli irregolari – spiega Bellardinelli – e di conseguenza tutto il Paese, servirebbe una strategia unica, in grado di far fronte all’emergenza.” E’ necessario quindi che le Regioni che non si sono ancora mosse adeguino la piattaforma di prenotazione permettendo la prenotazione anche agli irregolari.

Migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria per i gruppi emarginati e vulnerabili promuove tra l’altro un’assistenza che non è lasciata alla bontà d’animo ma è prevista dai diritti delle persone con disabilità ratificati dall’Unione Europea e da tutti i suoi Stati membri e dalla Convenzione di Oviedo.

Più povero sei, meno dosi hai

E’ una spiacevole evidenza che l’allocazione dei vaccini e delle risorse contro la Covid-19 dipenda dalla ricchezza dei singoli Stati: il 77% di tutte le dosi disponibili di vaccino viene somministrato in solo dieci dei circa duecento paesi esistenti.

Nei paesi ad alto reddito, una persona su quattro è stata vaccinata, ma il rapporto scende a uno su 500 nei paesi più poveri.

© EPA-EFE/NIC BOTHM

Il primo passo per una soluzione nel medio e lungo periodo potrebbe essere la sospensione dei brevetti, una norma prevista dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).

Sospendere i brevetti. L’opinione dell’economista Emidia Vagnoni

Secondo Emidia Vagnoni, docente di Economia aziendale dell’Università di Ferrara e direttrice del Centro di ricerca sull’Economia e management della salute (Crisal-Fondazione Ettore Sansavini) “la sospensione del brevetto avrebbe effetti sia sul piano della salute, sia sul piano economico. Circa il primo, si darebbe l’opportunità ad aziende farmaceutiche presenti in varie parti del mondo, in primis nei Paesi in via di sviluppo e nei Paesi a economia emergente, di produrre il vaccino a uso delle popolazioni locali, favorendo la diffusione della copertura vaccinale (come richiesto a primavera da India e Sudafrica).

Emidia Vagnoni, docente di economia aziendale presso Unife (© unife.it)

Riguardo alla dimensione economica, potrebbero esserci ripercussioni sui mercati finanziari circa le quotazioni delle Big Pharma oggi primariamente coinvolte nella produzione del vaccino e detentrici del brevetto ed eventuali ripercussioni sulle catene di fornitura nei Paesi dove queste operano.”

© itad.com

Sospendere la proprietà intellettuale non è sicuramente l’unico modo per ridurre le disuguaglianze “salvo – continua Vagnoni – si palesi uno scenario in cui i governi dei Paesi europei e nordamericani creino un contesto regolatorio per il mercato farmaceutico in cui venga pianificata una distribuzione dei prodotti (i vaccini) equa tra le rispettive popolazioni e le altre che ne necessitano. Dall’inizio dell’anno si sono osservate corse al vaccino, forzando anche le tappe del piano vaccinale talvolta. C’è da chiedersi anche quanto la società occidentale sia edotta della necessità di ridurre le disuguaglianze, soprattutto quando c’è una pandemia in corso.”

In Italia, per un centinaio di anni, il brevetto sulle “invenzioni farmaceutiche” era vietato dal Decreto Regio n° 1127 del 1939. Si temeva che i prezzi sarebbero aumentati e la descrizione del farmaco come bene sociale faceva attrito con l’interesse di pochi. Per non parlare del diritto di accesso al farmaco come un diritto fondamentale di ognuno.

Fu solo nel 1978 che la Corte di Cassazione lo ritenne costituzionalmente illegittimo e necessario a promuovere l’innovazione e la crescita della nostra industria. Attualmente gli standard per la tutela della proprietà intellettuale a livello mondiale sono definiti dall’ accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) promosso dalla Omc che, in condizioni di emergenza, prevede lo sfruttamento del brevetto senza autorizzazione dopo aver corrisposto un equo compenso al titolare.

Secondo Vagnoni “il fatto che in primavera il presidente USA abbia dato l’ok all’ipotesi di autorizzare l’uso aperto di tali brevetti è stato un segnale importante vista la posizione inizialmente (in autunno) contraria dell’Unione europea. Tuttavia, la strada non è semplicissima!”

In un periodo di emergenza sanitaria in cui molti dei progressi fatti dalle industrie farmaceutiche derivano da soldi pubblici, Vagnoni ci ricorda che i Governi “hanno avuto un ruolo molto importante nel finanziare la ricerca che ha condotto ai brevetti in questione, fornendo, secondo i dati del British Medical Journal circa otto dei quattordici miliardi. Inoltre, a oggi, gli acquirenti dei vaccini sono sostanzialmente Paesi/Governi, e i prezzi sono stati definiti con i Paesi stessi, tenendo conto del loro contributo alla ricerca”, che risultano diversi per ogni Paese. 

Vaccinare conviene anche economicamente. A tutti

Una campagna vaccinale di successo, oltre che eticamente giusta, ha il suo ritorno economico ed è collegata all’aumento del PIL. “Se condotta su ampia scala, non solo in un Paese – afferma l’economista di Unife – porta a ripristinare le condizioni per cui la società torna a muoversi, ad acquisire e consumare prodotti e servizi, generando ricavi per le imprese.

Allo stesso tempo, le persone sono in condizioni di lavorare nella massima efficienza produttiva. La pandemia ha bloccato o ridotto la produzione, ha cambiato i processi di commercializzazione dei prodotti, la modalità di fruizione dei servizi. Tutto si è quasi fermato, ed essendo la situazione generalizzata il Pil dei vari Paesi ha visto un arresto della crescita o una riduzione.” In quest’ottica è chiaro come potremo pagarne tutti il fallimento.


Infografica sul danno economico mondiale provocato dalla pandemia (© corriere.it)

Non è facile capire quanta economia ci sia nelle priorità d’accesso scelte dal nostro Paese. Vagnoni concorda sul fatto che “le priorità di accesso non siano state diverse da quelle della maggior parte dei Paesi in Europa, e che abbiano seguito la necessità di mettere in sicurezza la popolazione maggiormente a rischio. Diverso sarebbe stato se si fosse scelto di vaccinare prima la popolazione in età lavorativa (o categorie di questa).”

Il principio dell’equo accesso all’assistenza sanitaria è sancito dall’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la Biomedicina. Applicato alla vaccinazione, significa garantire a tutti, senza discriminazioni, un’equa opportunità di ricevere un vaccino sicuro ed efficace. A prescindere dalla propria condizione socioeconomica, età, condizione di salute o nazionalità.

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