Un segnale lo abbiamo avuto nelle scorse settimane: un frammento di razzo fuori controllo – come è avvenuto in occasione del residuo di razzo cinese Lunga Marcia 5B, in caduta libera fra il 5 e il 9 maggio scorso – può tenere l’intero Pianeta con il fiato sospeso.
Ormai gli allarmi sul rischio di caduta di frammenti dallo Spazio sono sempre più frequenti. Ciò non dipende solo dal maggior numero di oggetti mandati in orbita ma anche dal riscaldamento globale. Ma come influiscono i cambiamenti climatici sulla spazzatura spaziale?
L’effetto serra non agisce in modo uniforme sull’atmosfera. Infatti, se nella bassa atmosfera – al di sotto di 30 km di altitudine – la maggiore densità dell’aria consente un rapido assorbimento dell’energia termica prodotta principalmente da attività antropiche, la rarefazione e la minore densità degli strati superiori favoriscono la dispersione di energia verso gli strati adiacenti, provocando il loro progressivo raffreddamento.
Ciò comporta anche l’espansione della bassa atmosfera, fenomeno che avviene a discapito degli strati più esterni, come la termosfera e l’esosfera, proprio là dove orbitano satelliti artificiali e sonde spaziali. La riduzione della densità a queste altitudini determina una diminuzione della resistenza atmosferica opposta agli oggetti orbitanti e ciò aumenta il tempo necessario per il loro decadimento dall’orbita.
Il progressivo raffreddamento e assottigliamento della termosfera, poi, ne limita anche la naturale funzione di inceneritore naturale, a circa 100 km di altitudine, in caso di caduta verso la Terra.
Questo emerge da un nuovo studio presentato alla Ottava conferenza europea sui detriti spaziali tenutasi dal 18 al 21 aprile scorso a Darmstadt in Germania, dove ricercatori della Southampton University hanno illustrato la relazione esistente tra le emissioni antropogeniche di anidride carbonica (CO2) a livello del suolo e i cambiamenti degli strati atmosferici più esterni.
A partire dal 1957, anno di esordio della missione Sputnik 1, sono stati effettuati quasi 6000 lanci spaziali che hanno generato una popolazione orbitale di oltre 26.000 oggetti tracciati e di essi solo circa 2.800 unità è rappresentato da veicoli spaziali funzionanti. Ciò che resta è solo spazzatura, oggetti vaganti senza alcuno scopo utile.
Negli ultimi anni si è avuto un incremento senza precedenti di messa in orbita di satelliti, soprattutto commerciali. Nel complesso, dei quasi 9000 oggetti a oggi catalogati, circa il 22% sono satelliti non più operativi, tra i quali molti già usati per scopi militari. Un ulteriore 17% è costituito da stadi propulsivi di razzi rilasciati nella fase finale di un lancio. Circa il 13% è costituito da elementi normalmente impiegati nella costruzione dei satelliti artificiali, quali bulloni, coperture termiche, scaglie di vernice. Il 43% è infine costituito da frammenti dovuti a esplosioni e collisioni.
Le distribuzioni spaziali e di massa di questi detriti all’interno della Low Earth Orbit (LEO) – orbita bassa terrestre che si estende da 300 a 1000 km – mostrano che a 800 km risiede l’area più affollata e in particolare che le altitudini di 600, 800 e 1000 km costituiscono le fasce più dense di detriti aventi rottami con massa superiore a 50 chilogrammi.
Impiegando il Whole Atmosphere Community Climate Model – eXtended (WACCM-X), il team di scienziati britannici ha compiuto simulazioni riguardanti la variazione di densità della termosfera all’aumentare dei livelli di concentrazione di anidride carbonica, tenendo conto anche dell’influsso dei cicli solari (undici anni circa).
I risultati mostrano che, a partire dall’anno 2000, a 400 km di altitudine si è già verificata una diminuzione del 21% della densità termosferica. Altri scenari di simulazione indicano che livelli elevati di concentrazione di CO2 (890 ppm) possono portare a una riduzione fino all’80% della densità termosferica a parità di condizioni di attività solare.
Concentrazioni di CO2 inferiori, come i 480 ppm stabiliti dell’Accordo di Parigi, portano a riduzioni di densità dal 15 al 31%, simulando rispettivamente condizioni di alta e bassa attività solare.
Per l’ambiente spaziale dei detriti è stato creato un nuovo modello statistico denominato Binned Representative Atmo-sheric Decay (BRAD). I risultati mostrano come il numero di oggetti tracciabili (quelli di dimensioni minime di circa 10 cm) fino a 500 km sia proporzionale all’aumentare delle concentrazioni di CO2.
Anche prefigurando lo scenario migliore, comprendente basse emissioni di anidride carbonica, il tasso di crescita della popolazione di rottami spaziali è destinato comunque a raddoppiare entro l’anno 2100.
Queste evidenze non solo rappresentano una conferma indiretta degli effetti delle emissioni di gas serra e del conseguente rapido avanzamento del cambiamento climatico, ma risultano di particolare interesse per le future missioni spaziali.
Infatti, l’elevata concentrazione di detriti, soprattutto su orbite commerciali e scientifiche, costituisce un rischio di danneggiamento dei satelliti operativi e un serio pericolo anche per le missioni con equipaggio umano.