Ogni anno i cambiamenti climatici causano la morte di circa tredici milioni di persone nel mondo (dati Onu Italia). Ma l’impatto non è lo stesso su tutti gli individui.
L’esposizione al rischio non varia solo nel tempo, con il peggioramento del clima, ma anche nello spazio: tra città esposte a diversi eventi estremi e con diverse capacità adattative, e tra gruppi sociali con diverse abilità a fronteggiare i cambiamenti.
“Isole di calore”(Urban Heat Island-UHI) e rischi si possono misurare e localizzare nella città per poter intervenire. Ci sono diversi progetti europei in questa direzione, come ad esempio “H2020 MINDMAP, finalizzato a conoscere i parametri che impattano sul benessere mentale della popolazione anziana nei centri urbani, e EURO-HEALTHY (finanziato da Horizon 2020) che intende individuare le pratiche e le politiche europee mirate alla promozione di un’equità della salute nella popolazione.
Su scala nazionale è di recente pubblicazione l’analisi sulla città di Torino che fornisce dati oggettivamente analizzabili e misurabili. L’articolo evidenzia la possibilità di misurare la vulnerabilità delle fasce di popolazione ai cambiamenti climatici utilizzando un framework strutturato dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per la valutazione, a livello urbano, del rischio sanitario.
Esso è la risultante dell’interazione di tre componenti fondamentali che interagiscono strettamente tra loro: la pericolosità, ossia la probabilità che un evento climatico pericoloso si verifichi; l’esposizione, che tiene conto della presenza di persone o strutture o ecosistemi nell’area interessata; la vulnerabilità, che rappresenta la fragilità di tutti questi elementi al cambiamento climatico. L’impatto del rischio complessivo aumenta con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici (naturali o antropogenici) e la diminuzione degli sforzi di adattamento e mitigazione rappresentati dagli scenari socioeconomici e dalla governance.

Lo studio nel complesso evidenzia una maggiore vulnerabilità delle aree cementificate ed industriali rispetto a quelle verdi e dimostra una “distribuzione diseguale di salute” misurabile.
Essa rappresenta inoltre uno strumento di valutazione del rischio (risk assessment) da cui far scaturire politiche e investimenti virtuosi che possono prevedere, prevenire, contenere e promuovere dimensioni resilienti ai cambiamenti climatici in corso, convergendo verso l’obiettivo comune di una “Salute più equa in tutte le politiche”.
Il rischio per la salute dipende dal tipo di città e dalla sua evoluzione
A livello globale miliardi di persone oggi vivono in piccole, medie o grandi aree urbane. Le metropoli contribuiscono in modo attivo al cambiamento climatico per densità di popolazione, sistemi di trasporto e di comunicazione, infrastrutture energetiche, attività economiche che vi si svolgono quotidianamente.
Ma allo stesso tempo, le aree metropolitane subiscono più delle aree rurali gli effetti dei cambiamenti climatici da esse stesse alimentati.
Questi ultimi sembrano avere un impatto maggiore – a livello globale – sulle piccole e medie città che crescono molto velocemente nelle regioni meno sviluppate di Asia, Africa e, in minor misura, America latina, dove tuttavia persistono grandi diseguaglianze sociali.
Si stima che la popolazione nell’Africa subsahariana possa crescere da 596 milioni a 666 milioni nel 2030, e da 1069 milioni a 1258 milioni nel 2050.
Invece ci si aspetta un rallentamento della crescita per le megacities con meno di 10 milioni di abitanti stimando che esse rappresenteranno fino al 16% (862 milioni di persone che vivono in 48 agglomerati urbani) della popolazione urbana mondiale entro il 2035.
I centri urbani con meno di un milione di abitanti, senza una pianificazione urbana, con un’organizzazione limitata, si dimostrano maggiormente impreparati ad affrontare le sfide amplificate dai cambiamenti climatici. E l’esposizione ripetuta ad eventi estremi può ulteriormente ridurre la capacità dei sopravvissuti di affrontare e gestire eventi futuri, innescando il circolo vizioso che chi era vulnerabile ed esposto lo diventerà ancora di più e incrementando le diseguaglianze sociali all’interno dei centri urbani.
La cementificazione e la disposizione dell’ambiente costruito, nonché il rilascio di calore antropico di gran parte dei centri urbani determina cambiamenti fisici nel bilancio energetico superficiale del sito urbano esponendo larghe superfici impermeabili a sempre più frequenti precipitazioni estreme, con il conseguente aumento del rischio di inondazioni urbane.

E questo rischio è anche maggiore nei centri costieri dove l’aumento del livello del mare aggiunge la possibilità che si verifichino mareggiate a seguito di cicloni.
Molte città sono attualmente esposte a molteplici pericoli legati al clima: più di 100 città analizzate nell’ambito di uno studio su 571 città in Europa sono state considerate vulnerabili a due o più impatti climatici.
E tutto questo peggiorerà senza un intervento adattativo ai cambiamenti climatici. Entro il 2050 le differenze in capacità adattativa e resilienza tra le diverse città e tra gruppi sociali all’interno dello stesso centro urbano, molto probabilmente saranno ancora più evidenti.
Le città con minori risorse finanziarie, autorità regolatorie e capacità tecniche saranno meno equipaggiate a rispondere ai cambiamenti del clima. E allo stesso modo fasce di popolazione più povere e con meno risorse e limitate opportunità, affronteranno un maggiore livello di rischio a causa della maggiore vulnerabilità.
A livello locale i cambiamenti climatici colpiscono soprattutto i più deboli dal punto di vista socio-economico
A livello locale appare sempre più evidente che la vulnerabilità ai cambiamenti climatici è in relazione alla classe sociale, all’etnia, al genere, alle abilità, al tipo di lavoro e all’età.
I cambiamenti demografici, le pressioni sociali ed economiche, il fallimento delle politiche generano disuguaglianze e marginalità, espongono sempre più persone che vivono in aree urbane a eventi estremi come allagamenti, ondate di calore e insicurezza nell’approvvigionamento idrico e di cibo.
Nei Paesi meno sviluppati, meno del 60% della popolazione ha un accesso diretto all’acqua corrente e ai servizi igienici, con una ricaduta evidente sulla salute e il benessere della popolazione. E proprio nelle regioni meno sviluppate, si è registrato tra il 2015 e il 2020 il maggior incremento di densità abitativa che rappresenta più del 90% della crescita globale registrata in questo quinquennio (397 milioni di persone) esasperando le criticità già presenti.
Un’analisi dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) del 2021 sottolinea come le comunità e le minoranze etniche siano quelle più a rischio di subire l’impatto negativo dei cambiamenti climatici.
All’interno del medesimo centro urbano si assiste quindi ad un gap adattativo tra le classi sociali più agiate che possono permettersi di investire in strategie di adattamento per ridurre la propria vulnerabilità ai cambiamenti climatici, e le persone più povere che non possono fare lo stesso.
Nelle aree urbane il fenomeno sempre più frequente dell’esposizione alle isole di calore (UHI) dovuto alla combinazione tra riscaldamento globale e crescita demografica (amplificato in città già calde di regioni come Africa, India e Medio Oriente) ha un impatto drammatico soprattutto sulle temperature minime con ricaduta disomogenea sulle fasce della popolazione: ancora una volta appaiono più esposti i fragili, tra cui comunità a basso reddito, bambini, anziani, persone con problemi di obesità, disabili e minoranze etniche.
Serve un approccio integrato per adattamento e resilienza delle città
Quale direzione prendere in risposta a tutto questo?
Molti sono i progetti e le strategie messe in campo per promuovere azioni di adattamento e resilienza nei centri urbani dove l’impatto del riscaldamento globale è particolarmente amplificato da fattori antropici e socio economici.
È importante promuovere soluzioni nature-based integrate nell’assetto urbano per ridurre i rischi delle inondazioni e delle ondate di calore e fornire allo stesso tempo benefici sulla salute e la biodiversità (corridoi di vegetazione, spazi e infrastrutture verdi).
C’è infatti un interesse crescente per il ruolo dell’urban design nel modulare le risposte adattative del centro urbano ai cambiamenti del clima.
Inoltre bisogna lavorare sulla consapevolezza delle comunità riguardo a questi temi e ai rischi ad essi correlati, rinforzando le conoscenze soprattutto delle fasce più vulnerabili, incorporando questi gruppi sociali in processi e politiche di adattamento e fornendo servizi ed infrastrutture necessarie.
Nel rapporto di valutazione dell’IPCC si sottolinea come le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici necessitino dell’implementazione di azioni di partnership con le comunità locali, governi nazionali, istituti di ricerca, il settore privato ed il terzo settore.
I centri urbani si stanno già da tempo coordinando in network internazionali per condividere le “buone pratiche delle azioni di adattamento climatico” accelerando così la diffusione della conoscenza su questi importanti temi.
Ovviamente queste azioni da sole non possono essere sufficienti ma devono contribuire ad un approccio integrato con molte altre iniziative inclusa la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’attenzione per le politiche sulla salute pubblica e il perseguimento dei goal sulla conservazione degli ecosistemi.
