È il 1964 quando Erich Fromm definisce la biofilia come “empatia che muove gli uomini verso le altre forme viventi”, un termine che il biologo Edward O. Wilson vent’anni dopo pone al centro di un volume omonimo, individuandola come “la tendenza innata [dell’uomo] a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali”.
Da allora, esplorare l’approccio biofilico a differenti discipline sta a significare avere cura del vivente, andare oltre l’antropocentrismo che ha fino a pochi anni fa connotato il rapporto tra uomo e ambiente, e che tuttora contraddistingue gran parte dell’azione umana in relazione alla natura.
Se ancora Wilson sostiene che “la natura va padroneggiata ma (speriamo) non del tutto”, appare oggi evidente come la sfida della risposta agli esiti dei cambiamenti climatici richieda un cambiamento nei modi in cui l’umano – considerando con questo termine anche l’ambiente da lui creato – si rapporta con la natura. E, dal punto di vista dell’urbanistica, il ruolo che la natura può giocare nello spazio urbano, o più in generale, antropizzato.
Queste riflessioni tornano alla mente ogni qualvolta un evento catastrofico trasforma le città in spazi dove gli eventi meteoclimatici estremi portano morte e distruzione: se da un lato le piogge diventano sempre più violente e intense, dall’altro le strade e gli spazi aperti delle nostre città – ma soprattutto la gestione di fiumi, torrenti, canali e degli altri corpi idrici che costituiscono le “reti blu” che attraversano città e territori – dimostrano come non si stia garantendo alla natura adeguato spazio e ascolto .
Imparando dalle alluvioni degli ultimi anni: rispettare il principio della connettività fluviale
Ed eventi quali quello della disastrosa alluvione di Valencia dello scorso autunno rendono ancora più evidente questa carenza, quando si rifletta sul fatto che a breve distanza da una città che, nello stesso 2024, ha basato sulla capacità di tutelare e gestire acque e verde urbano la propria investitura a Capitale Verde Europea, solo poco più a sud l’impermeabilizzazione del suolo densamente urbanizzato e la scarsa attenzione alla gestione dei piccoli fiumi ha portato, di fronte a precipitazioni eccezionali, tanta devastazione.
La necessità di adottare un approccio biofilico alla gestione del territorio e della città di fronte all’aumentare della loro vulnerabilità idrogeologica suggerisce di andare oltre le risposte meramente tecniche o tecnologiche, prestando particolare attenzione a tre aspetti.
Il rapporto tra acqua e suolo da un lato, dove assegnare un ruolo di primo piano alla lotta al consumo di suolo, ma anche alla sua degradazione e all’eccessiva impermeabilizzazione; connesso a questo è il rapporto tra acque e vegetazione, in relazione sia alla possibilità delle aree verdi di filtrare e infiltrare le acque, sia alla indispensabile funzione regolatrice e di depurazione delle vegetazioni ripariali e prossime ai fiumi. Ma, soprattutto, è necessario promuovere interventi che non considerino le acque unicamente come “reti”, ma come un sistema connettivo che innerva città e territori.
Il principio della connettività fluviale ha diverse dimensioni, alcune spaziali, altre temporali. Gestire il rapporto tra i fiumi e l’opera dell’uomo richiede quindi di rispettare la connettività longitudinale del fiume, liberando gli alvei da dighe, briglie e difese spondali impattanti, in modo da garantire lo scorrimento di acqua e sedimenti; di assecondare la connettività laterale, che si esplicita specie nella mobilità laterale degli alvei, troppo spesso infrastrutturati e irrigiditi, ma anche nella necessità di assicurare aree disponibili per l’esondazione, quando essa sia necessaria.
Questa dimensione connettiva è fondamentale, in quanto i corsi d’acqua sono naturalmente dinamici, e ne consegue che anche la dimensione temporale del loro modificarsi va rispettata, così come la connessione tra acque superficiali e sotterranee.
Il mancato rispetto di questa connettività tra acque, suoli e vegetazione, che costituisce l’elemento di base di un approccio innovativo alla gestione dei fiumi quale la riqualificazione fluviale, spesso poi si somma alla frammentazione della rete idrografica, al suo parziale smantellamento o all’irrigidimento attraverso canalizzazioni o, peggio, tombinamenti.

Progettare la relazione tra acqua e città oltre la difesa come rigenerazione territoriale
Proprio nelle città, attraverso l’utilizzo di strumenti di pianificazione del verde e delle acque integrati a quelli urbanistici, o attraverso progetti urbani di rigenerazione e adattamento, abbiamo oggi un rilevante banco di prova della nostra capacità di mantenere la connettività e di avere cura dei corsi d’acqua come parte del vivente.

La maggiore qualità e quantità del verde urbano proposta da piani che si occupano di infrastrutture verdi e blu, così come dai piani di resilienza climatica, si coniuga in queste visioni alla sicurezza contro gli allagamenti data dall’uso delle cosiddette NBS (Nature Based Solutions) pensate per l’equilibrio idrologico e all’applicazione dell’invarianza idraulica come principio imprescindibile di ogni trasformazione urbana.
In questo modo vanno a coniugarsi tecniche che imitano le capacità naturali di autoregolazione dell’ecosistema e interventi infrastrutturali, che consentono di non aumentare il picco delle acque piovane in arrivo nei corsi d’acqua a seguito della trasformazione e dell’urbanizzazione di nuove aree.

Ma il progetto della relazione tra acque e città, visto in un’ottica di sicurezza idraulica, non deve necessariamente essere trattato solo in una prospettiva di difesa, ma può anche divenire opportunità, fornendo nuovi preziosi spazi fruibili dall’intera città: zone umide, parchi esondabili, aree de-impermeabilizzate e rinverdite, un ripensamento generale dell’accessibilità urbana legato alla mobilità lenta.
Numerosi esempi di progetti realizzati in Europa, Asia, Americhe ci permettono di vedere come l’interfaccia fiume/città può essere trasformata da area di conflitto a occasione di riconversione e integrazione, costruendo sistemi di spazi che trovano così un nuovo equilibrio, a volte instabile, ma in grado di rispettare e adattarsi al respiro del fiume.
Infine, tra i criteri di scelta progettuale e gestione delle trasformazioni urbane, quello dell’applicazione del climate proofing – ovvero del processo di verifica climatica dei progetti infrastrutturali – appare rilevante. Il suo portare attenzione agli obiettivi di neutralità climatica, favorendo efficienza energetica e basse emissioni, e di resilienza climatica, elaborando progetti infrastrutturali in grado di garantire bassa vulnerabilità a lungo termine, ne fa uno strumento rilevante per la promozione di scelte di progetto urbano rispettose dei processi naturali.