Dazi di Trump: a rischio la qualità dell’agroalimentare europeo. Mantenere standard elevati e accordi di scambio con altri Paesi, secondo Fabio Bartolini di Unife L’attacco al new deal compromette l'equilibrio aziendale di sostenibilità economica e ambientale

Dazi di Trump: a rischio la qualità dell’agroalimentare europeo. Mantenere standard elevati e accordi di scambio con altri Paesi, secondo Fabio Bartolini di Unife

L’attacco al new deal compromette l'equilibrio aziendale di sostenibilità economica e ambientale

“Finora in Europa abbiamo creato sistemi che, se pur in parte farraginosi, ci permettono di garantire ai nostri cittadini una qualità delle produzioni, anche grazie al fatto che gli agricoltori devono rispettare standard produttivi elevati. Se Trump dovesse alzare i dazi o bloccare le importazioni, per quanto gli Stati Uniti siano per noi un mercato importante, sarà fondamentale rimanere uniti, mantenere gli standard elevati e costruire opportunità commerciali con blocchi di Paesi.” È quanto dichiara ad Agenda17 Fabio Bartolini, docente di Economia e politiche agro-alimentari presso l’Università di Ferrara.

Negli ultimi decenni, la politica agricola dell’Unione europea (Ue) è notevolmente mutata a fronte di sfide quali il cambiamento climatico e l’evoluzione dei comportamenti dei cittadini. Nel recente outlook 2024-35 dell’Unione sull’agricoltura, nonostante le incertezze sugli sviluppi macroeconomici, di mercato e del clima, sono evidenziati miglioramenti nella transizione sostenibile e, di qui ai prossimi dieci anni, la prospettiva per il settore è di un crescente adattamento ai cambiamenti climatici e alle richieste dei consumatori. 

L’abbandono del green deal renderà difficile per le aziende sostenere la salubrità dei suoli e dei prodotti 

Oggi, il 60-70% dei suoli europei risulta insalubre, a causa soprattutto di regolamenti deboli e pratiche insostenibili. Tra le calamità più impattanti, inoltre, la siccità ha ripetutamente colpito l’Europa con importanti conseguenze su suolo e crescita della vegetazione, mentre le zone agricole tradizionali si stanno progressivamente spostando verso le regioni settentrionali in previsione dei cambiamenti nelle condizioni climatiche.

La Banca europea per gli investimenti ha recentemente annunciato 3 miliardi di finanziamenti per agricoltura, silvicoltura e pesca, integrati da altri istituti per un totale di quasi 8,4 miliardi, con l’obiettivo di stimolare investimenti in salute del suolo, strumenti digitali, resilienza ai cambiamenti climatici e gestione delle risorse idriche.

“Anzitutto – afferma Bartolini – bisogna fare chiarezza sull’idea che ci sia una competizione tra le varie dimensioni della sostenibilità, perché non è così. 

Le aziende agricole operano in condizioni che stanno notevolmente cambiando, tra cui l’impoverimento della salute del suolo. Il cambiamento più rilevante in atto è però di tipo strutturale: è scomparsa l’impresa familiare tradizionale, nella quale c’era una prospettiva di ricambio generazionale. Questo porta a un disinvestimento sulla salute dei terreni, che sono l’asset produttivo principale dell’azienda agricola, perché manca una visione di lungo periodo coerente con l’implementazione di strategie di conservazione del suolo.

(ⓒagriculture.ec.europa.eu)

Tuttavia sul fronte della sostenibilità c’è comunque stato un miglioramento nei sistemi di produzione e nella salubrità dei prodotti, come emerge anche dagli indicatori citati nel report europeo: tutto sta nel vedere se quello che la politica intende per miglioramento è paragonabile a quello che la comunità si aspetta. Con l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi e l’allontanamento dal green deal il rischio è che i progressi compiuti siano resettati.

In particolare, molti considerano economicamente insostenibile quanto viene fatto perché esiste un chiaro trade off tra il perseguimento di obiettivi ambientali e il carico di costi sulle imprese agricole. Trovare un equilibrio non è facile, soprattutto perché dovrebbero essere le politiche a incentivare il raggiungimento di obiettivi concreti con strumenti efficaci, ma le iniziative messe in atto finora non sembrano aver raggiunto quanto auspicato.”

Per ottenere finanziamenti la dimensione aziendale è importante ma non è l’unico fattore

Il nodo degli investimenti è stato al centro sia di un recente rapporto di Greenpeace, che attestava la scomparsa delle piccole aziende e un crescente controllo della finanza sulle grandi, sia di un’inchiesta de The Guardian relativa a 3,3 miliardi di euro di finanziamenti concessi a soli diciassette miliardari del settore. La politica degli investimenti favorisce le grandi aziende?

“La questione è complessa – spiega il docente –. Anzitutto, anziché di ambiente sarebbe più corretto parlare di ‘servizi ecosistemici’ offerti dall’attività agricola e individuarli e promuoverne la fornitura non è facile. Uscirei da una competizione tra piccole e grandi aziende: piuttosto, dipende da che tipo di benefici ambientali prendiamo in considerazione. Ci sono decine di grandi imprese virtuose, che attuano progetti di economia circolare e attività di diversificazione e, allo stesso tempo, molte piccole aziende che fanno monocoltura da decenni.

Fabio Bartolini, docente di Economia e politiche agro-alimentari presso l’Università di Ferrara (ⓒunife.it)

Quello che incide anche qui sono i cambiamenti nella struttura dell’azienda familiare, con pluri-attività dove qualcuno fa l’agricoltore a tempo pieno mentre la famiglia, spesso i giovani, si occupa di altro. In questa frammentazione pesa il carico burocratico e le associazioni di categoria spesso non sono efficaci nell’attuare programmi di formazione e aiutare le aziende meno consolidate a navigare tra opportunità di mercato, incentivi, bandi, nonché a comprendere i processi di cambiamento tecnologico in atto.

A ciò si aggiunge il fatto che disegnare politiche pubbliche è oneroso per gli amministratori locali, che tendono a privilegiare pochi investimenti proposti da grandi imprese piuttosto che migliaia dello stesso importo complessivo portati avanti da altrettante piccole aziende. Lo fanno non necessariamente per favorire le prime, ma proprio per la necessità di gestire le risorse a disposizione e anche questo va tenuto in considerazione quando si discute della distribuzione dei fondi.

Infine, non dimentichiamo che le misure agro-climatiche o gli investimenti previsti nel Psr sono misure volontarie: non si possono forzare le persone a partecipare e non sempre gli incentivi aiutano. Ci sono ad esempio persone sulle quali non funzionano perché sono guidate da motivazioni ideologiche, come chi agisce perché crede in qualcosa, ad esempio nella sostenibilità a ogni costo, e chi all’opposto non attua determinati interventi perché magari si attesta su posizioni di scetticismo. 

Oppure ci sono gli imprenditori per i quali esiste un meccanismo di convenienza che sposta l’adesione, ma presuppone che siano persone informate e non si spaventino dall’eccessivo onere burocratico. Quindi l’addizionalità delle politiche, cioè la loro capacità di modificare un comportamento, non è così scontata, anzi spesso manca.”

Il protezionismo USA deve spingere l’Europa al dialogo con altri mercati

L’agricoltura europea sta entrando in nuova fase caratterizzata anche dai cambiamenti nello scenario globale, una crescente competizione e un contesto geopolitico imprevedibile. È necessario uno sguardo di lungo periodo che assicuri al settore competitività, sostenibilità e resilienza: servono accesso agli investimenti, ma anche sforzi in ricerca e sviluppo, manodopera qualificata, migliore connettività delle aree rurali e condivisione della conoscenza.

“L’Ue è oggi tra i mercati più ricchi al Mondo – conclude Bartolini – e fa gola a molti, perché il livello di benessere medio è elevato. Inoltre, mentre un’azienda italiana che vuole esportare in due Paesi extra-Ue deve seguire standard diversi perché incontra diversi mercati, lingue, codici, un’azienda entra-Ue che entra in Italia entra anche nel resto dell’Europa: e questo ci rende ancora più interessanti. 

La condizionalità, che vincola a rispettare buone pratiche agricole e requisiti specifici per ricevere i fondi, è probabilmente il più efficace strumento della Pac, e si sta discutendo di estenderla anche agli ambiti sociali, cioè il rispetto dei diritti dei lavoratori. Gli elevati standard hanno portato l’European Food Safety Authority (EFSA, Agenzia europea per la sicurezza alimentare) a essere presa come modello di riferimento in tema di sicurezza alimentare ormai ovunque, tranne negli Stati Uniti.

Finché si mantiene unita e conserva valori come la tutela del territorio e dei consumatori e il benessere della collettività, l’Europa sarà sempre un’avanguardia. 

Sarà poi cruciale la sua capacità di aprirsi con altri Paesi, creando opportunità di libero scambio con le quali ci arricchiamo e, al contempo, evitiamo tensioni, perché il passaggio da guerre commerciali a conflitti geopolitici è breve. Certo a monte c’è la crisi della visione multilaterale: se riuscissimo a mantenere un quadro nel quale sono stabilite regole comuni, che magari stanno strette ma stanno strette a tutti, sappiamo che anche il Paese più debole potrà essere tutelato. Se invece puntiamo sui rapporti bilaterali, allora il rischio che sia il Paese più forte a imporre le proprie regole sarà concreto.”

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