Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Committee for the Prevention of Torture, CPT), un organo del Consiglio d’Europa, ha denunciato nel suo ultimo rapporto le condizioni di vita dei migranti trattenuti in quattro Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani: Milano, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Potenza e Roma.
Come avevano già fatto il progetto “Chiusi dentro. Dall’alto” di PlaceMarks, Altreconomia e RiVolti ai Balcani, il CPT ha criticato la struttura simil-carceraria dei centri, con schermi a tripla maglia metallica alle finestre e cortili recintati da gabbie.
È stata evidenziata inoltre la carenza di attività di natura propositiva, di cibo di qualità e di prodotti per la toilette, oltre alla scarsa manutenzione dei servizi igienici.
Il rapporto ha segnalato l’uso eccessivo della forza da parte del personale di polizia a seguito di atti di disturbo o di vandalismo nei centri, unitamente all’assenza di un monitoraggio rigoroso e indipendente di tali interventi e delle lesioni subite dalle persone detenute.
Secondo il CPT sono le restrizioni securitarie sproporzionate, la mancanza di valutazione delle vulnerabilità individuali e la carenza di attività per occupare il tempo a portare a episodi violenti.
È stata anche documentata la sovra-prescrizione di psicofarmaci: la proporzione di detenuti a cui ne è prescritto almeno un tipo è 46,7% a Milano, 41% a Roma, 36,5% a Potenza e 34,6% a Gorizia.
A Potenza è stata trovata evidenza di somministrazione di psicofarmaci non prescritti. Un’inchiesta di Altreconomia del 2023 aveva trovato che, rispetto ai centri delle aziende sanitarie locali che prendono in carico le persone senza permesso di soggiorno, l’incidenza della spesa di psicofarmaci rispetto al totale dei farmaci era almeno decine di volte più alta nei Cpr.
Il CPT ha raccomandato la creazione di un corpo specifico di agenti di custodia capaci di riconoscere i segnali di reazione da stress e formati nelle abilità relazionali, un maggiore accesso agli avvocati, ai mediatori culturali e agli psicologi per le persone detenute e la revisione del modello basato su un approccio securitario non proporzionato e carcerario e affidato a enti gestori privati.
È necessario inoltre migliorare l’assistenza sanitaria rivedendo la sovra-prescrizione di psicofarmaci e adottare protocolli strutturati per la prevenzione del suicidio e di atti auto-lesionisti. Infine, i medici che stabiliscono l’idoneità dei migranti a entrare in un Cpr dovrebbero avere conoscenza specifica delle condizioni di vita in una struttura ristretta: la stessa Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) ha lanciato un appello per una presa di coscienza circa il (non) rilascio dell’idoneità.